Ritenuti a torto un mero retaggio del passato, i vizi capitali costituiscono un'autentica enciclopedia delle passioni umane, una lettura geniale dell'agire umano nelle sue derive negative e nei beni cercati attraverso di essi. Chiunque consideri con attenzione questi vizi potrebbe trovarvi ogni possibile situazione di vita, di classe sociale, di attività proprie della giornata dell'uomo di sempre. Si potrebbe dire dei vizi capitali quello che il regista polacco Kiesloswski aveva osservato a proposito dei comandamenti: "Essi riassumono l'intera nostra esistenza, ciò che siamo e ciò che vorremmo essere: tutti li disattendiamo eppure tutti ci riconosciamo in essi". Questa polarità di trasgressione e ideale evidenzia la perenne attualità del discorso sui vizi, mettendo in guardia da una suggestione mortale: la tentazione di eliminare gli ideali della vita, rassegnandosi ad accogliere passivamente ciò che capita, con indifferenza. L'importanza di studiare i vizi capitali si giustifica infine per la profonda saggezza di cui sono portatori. Non a caso sono stati lungo i secoli oggetto di indagini da parte di artisti e studiosi delle discipline più diverse: le loro analisi delineano un profilo dell'uomo di tutti i tempi. Questo libro, che esca in una nuova edizione, con una biografia aggiornata e alcune integrazioni nel testo, intende esplorare tale saggezza, avventurandosi in un percorso affascinante che coinvolge teologia, psicologia, arte e letteratura.
PREFAZIONE
di Hans Zollner SJ
Occuparsi del tema dei vizi capitali al giorno d'oggi porta a galla ilproblema universale del male, da cui non possiamo fuggire. Il male è una realtà decisiva — e dopo decenni in cui è stato più o meno negato, questa certezza ritorna in primo piano di fronte alle notizie quotidiane di terrore, guerra e ingiustizie. E compito dell'uomo riconoscere questa realtà e confrontarsi con essa.
Per i Padri della Chiesa, i vizi capitali, sia considerati singolarmente sia nel loro influsso reciproco, conducono alla morte: sono contrari alla legge divina, distruggono l'amicizia tra Dio e l'uomo e portano alla morte dell'anima. Agli inizi del cristianesimo non era difficile per l'uomo credere all'esistenza della sua anima. Aveva una paura mortale di perderla. In seguito, la concezione dell'anima all'interno del pensiero cristiano ha subito molte trasformazioni e di conseguenza parecchie cose sono cambiate. Negli ultimi due secoli, ad esempio, è cambiato profondamente ciò che l'uomo pensa del suo mondo psichico e della responsabilità morale per il suo agire. Mentre da una parte si proclama un'apertura tollerante verso la libertà di ogni singolo, il che ha certamente i suoi lati positivi, dall'altra si cade un sentimentalismo sdolcinato che impedisce di costruire vere relazioni e di giungere ad autentiche scelte di vita. La causa di questo sviluppo sta nel fatto che la morale è diventata questione che dipende unicamente dalla coscienza del singolo.
I valori cristiani tradizionali, che per secoli sono stati la fonte indiscussa di norme morali oggettive, sembra abbiano perso la loro validità. Oggi però si iniziano a vedere le conseguenze pesanti di questa perdita dei valori generalmente riconosciuti come tali e condivisi a livello sociale. Il cambiamento profondo si ripercuote sull'individuo, estremamente insicuro nella sua posizione morale personale. Il singolo esita ad assumere una posizione morale che non corrisponde all'atteggiamento comune di tolleranza e di autonomia rispetto ai valori, anche se nel suo intimo sente che alcuni comportamenti ed alcune mentalità sono immorali. La paura di dover resistere di fronte alla (presunta) opinione collettiva porta a considerare dei comportamenti asociali o addirittura sociopatici, morale valevole per tutti.
I sette vizi capitali hanno una attualità quasi centrale quando si tratta di mostrare i classici errori dell'uomo. In cima alla lista dei vizi non per niente ci sta la superbia, l'orgoglio. Il punto di partenza di ogni allontanamento da Dio è la pretesa di voler essere come Dio, di mettere l'io al centro, di non riconoscere la propria creaturalità. Tutti gli altri vizi sono conseguenze logiche: voler avere tutto per sé (invidia), non dare nulla agli altri (avarizia), usare gli altri per il proprio piacere (lussuria) ecc.
Mancanza di amore e mancanza di relazioni sono strettamente legate tra loro. In questo senso i vizi capitali hanno a che fare con la freddezza che rischia di far morire la relazione: con il prossimo con Dio, con se stessi, ma anche con la creazione. Ci sono atteggiamenti e abitudini che possono bloccare il flusso della vita fino a distruggerla. Che l'avarizia, ossia le esagerazioni nel nostro stile di vita e nel nostro rapporto con la natura e con le sue risorse è incontestabile.
La psicologia e la psicoterapia non danno un giudizio morale su questo dato di fatto. Ciò che fanno vedere è la presenza di un'emozione inconscia e dunque non riconosciuta o di un atteggiamento distruttivo. È di somma importanza per la vita psichica così come per la salute fisica riconoscere questo contenuto inconscio. Lo psicologo e lo psicoterapeuta hanno il compito di portare alla consapevolezza del cliente le cause della sua sofferenza, cause che i Padri della Chiesa, nella loro sapienza, individuavano nei vizi capitali. Nell'atmosfera attuale, caratterizzata da un'apertura tollerante, si esita ad utilizzare un'espressione così forte per ira, lussuria, invidia, avarizia, superbia, gola o accidia. Eppure non chiamare il male con il suo nome significherebbe non riconoscerne l'importanza.
Oggi l'interesse della psicoterapia si rivolge ai correlati psichici dei vizi capitali che causano disturbi e difficoltà. Le caratteristiche attribuite ai vizi come "fossilizzazione, acquisizione, abitudine, amore disordinato di sé, disorientamento personale" possono essere segni di disintegrazione psichica.
L'aspetto essenziale dell'antico concetto di vizio sembra conservato soprattutto nella concezione psicoanalitica della nevrosi e del narcisismo. Secondo questa concezione, la mancanza di affetto e/o un affetto sbagliato nelle fasi dello sviluppo libidico portano a tipici traumi e fissazioni, che in successive situazioni di stress ricompaiono come sintomi e regressioni. Come sintomi di un narcisismo sproporzionato sia personale sia culturale si possono considerare fantasie di onnipotenza e grandiosità, manie di perfezione, consumo eccessivo, incapacità di posporre la gratificazione e di amare gli altri. Al centro di tutto ciò c'è un amore di sé disturbato, derivante da una mancata soluzione della complessa e fondamentale relazione madre-bambino.
Mentre la psicoanalisi pone l'accento sulle dinamiche intrapsichiche, la teoria comportamentale prende in considerazione maggiormente i fattori ambientali. Soprattutto nei suoi tentativi di spiegazione delle dipendenze, basati sulle teorie dell'apprendimento, essa offre stimoli nuovi per poter valutare meglio i processi e i risultati dello sviluppo morale dell'uomo. Dipendenza da alcool e da sostanze, disturbi alimentari, ad esempio, vengono concepiti in questo quadro come un comportamento appreso che obbedisce ai normali principi dell'apprendimento e dunque è determinato in parte dalle condizioni sociali e dai meccanismi di rinforzo. Lo scarico della tensione emotiva, la diminuzione dì inibizioni, di tensioni e dei sintomi di astinenza rinforzano il comportamento di dipendenza.
Le spiegazioni psicologiche spostano i correlati psichici ancora oggi attuali dei vizi capitali dal livello della colpa a quello del disturbo o della patologia. Naturalmente in questo modo non si toglie al singolo la sua responsabilità ultima. Resta a lui il compito, in base alle possibilità che gli sono date, di cooperare attivamente, nel processo di accettazione del proprio sé, alla (re-) integrazione di parti della personalità che non hanno raggiunto il pieno sviluppo o sono scisse (cfr. R. Guardini, Accettare se stessi, Morcelliana, Brescia 1992).
In tutto ciò la fede, per cui crediamo nella promessa di poter essere semplicemente creature sotto lo sguardo di Dio, può preservarci dal rischio di far diventare la costruzione del nostro sé un compito che va al di là delle nostre forze.
In questo libro l'autore intraprende un duplice percorso: da una parte ritorna alla Tradizione e riporta alla luce ciò che la teologia originariamente intendeva con ogni vizio capitale. Soprattutto però descrive i fenomeni e gli sviluppi a partire dall'attuale situazione sociale e si interroga sulla qualità morale di questa società. Se i vizi capitali mettono in guardia da una vita sbagliata, essi implicitamente portano con sé anche una certa concezione di una vita buona.
E guardo così che possiamo cogliere sia gli sviluppi sociali distorti, sia uno stile di vita caratterizzato da qualità, ricchezza di relazioni, orientamento circa i valori e senso. Questo messaggio è importante, per poter vivere bene in senso pieno.
INTRODUZIONE
L'inferno senza fine dell'aldilà, di cui parla la teologia, non è peggio dell'inferno che prepariamo per noi stessi in questo mondo, con il foggiare abitualmente il nostro carattere nella maniera sbagliata. (W. James)
I sette vizi capitali, così come ci sono stati tramandati dalla "morale" sia cattolica che laica, sono una cosa maledettamente seria e non separabile dalla nozione di "peccato "che, nel senso di una trasgressione alle "leggi" della natura e dello spirito, non ha frontiere. (G. Grieco)
Aliena vitia in oculis habemus, a tergo nostra sunt. Abbiamo davanti agli occhi i vizi degli altri, mentre i nostri ci stanno dietro. (Seneca)
Cosa sono i vizi? Per quale ragione alcuni di essi sono chiamati «capitali»? Quali sono? E perché questi e non altri? Probabilmente non molti saprebbero rispondere con precisione a queste domande, in ambito laico come ecclesiale, ritenendo forse che si tratti di un discorso inutile e superato, incapace di parlare all'uomo di oggi.
I vizi capitali possono essere considerati una maniera di ricomprendere ed unificare l'agire umano nelle sue derive negative, ma anche nei beni cercati attraverso di essi. Questi vizi si presentano infatti come un'enciclopedia delle passioni umane: pur ricordando infedeltà e trasgressioni, essi mostrano insieme un orizzonte più ricco rispetto a quanto realizzato, un orizzonte anche di speranza perché mettono davanti agli occhi una totalità di pienezza e di bellezza che può dare senso e compimento alla vita. Chi ha studiato i vizi ha potuto incontrare ogni situazione possibile di vita, di classe sociale, di problematiche presenti nella giornata di ogni uomo. Ecco quanto ad es. riconoscevano due studiosi presentando la loro ricerca in proposito:
Parlare dei vizi ci ha indotto a toccare temi vasti e importanti: il corpo, l'anima, le donne, gli intellettuali, il lavoro, la guerra, il denaro [.. .] rappresentano l'inevitabile retroterra di molte delle riflessioni che attorno ai vizi si aggregano e sono una delle ragioni per le quali la cultura medievale ha dedicato ai vizi capitali tante energie e tanta attenzione: il discorso sui vizi si rivela in realtà una sorta di enorme enciclopedia nella quale si trova di tutto, un efficace schema classificatorio per palare, proprio come sostenevano i monaci, del "mondo". In questo forse sta la radice del suo successo.
Classificare gli atti umani in "virtuosi" o "viziosi" presuppone infatti una visione unitaria della vita e un significato delle azioni urna-ne che consenta di valutarle, due elementi decisivi che non sono per nulla ovvi. Si potrebbe dire dei vizi capitali quello che il regista polacco Kiesloswski aveva detto dei comandamenti, quando «li fu chiesto di spiegare la scelta di dedicare ad essi una celebre serie di film: «Essi riassumono l'intera nostra esistenza, ciò che siamo e ciò che vorremmo essere: tutti li disattendiamo eppure tutti ci riconosciamo in essi». È questa dialettica di trasgressione e ideale, di ideale che riconosce le trasgressioni ed insieme mostra una possibilità di vita più alta e bella a caratterizzare la perenne attualità della riflessione sui vizi e a mettere in guardia da una suggestione mortale: eliminare gli ideali dalla vita, rassegnandosi ad accoglierla, con indifferenza.