Basta essere cultori di storia della filosofia, senza essere particolarmente esperti di lullismo, per cogliere i pregi della lezione dello studioso scozzese Robert Pring-Mill (Stapleford Tawney 1925, Oxford 2005): una lezione di metodo, atta a comprendere come confrontarsi con qualsiasi filosofo. Come Michela Pereira mette in luce nella Introduzione al volume (che tra l’altro è corredata da una ampia bibliografia dei lavori lulliani di Pring-Mill, pp. 19-21, mentre a fine volume viene presentata una bibliografia italiana curata da Sara Muzzi e Paolo Capitanucci, pp. 157-178), Pring-Mill è divenuto una pietra miliare negli studi sul lullismo del Novecento, perché con estrema chiarezza ha mostrato la necessità di considerare le dottrine del Beato Raimondo Lullo (Palma di Maiorca, 1232- 1316) in relazione allo sfondo più ampio della sua vita, del suo tempo, delle sue finalità. Senza compiere questo sforzo, esse restano incomprese o mal comprese, magari disperse in quella cornice alchemica ed esoterica entro la quale amavano inserirla i Rinascimentali. Pring-Mill va a difendere un’altra immagine di Lullo, in cui è tolta la centralità all’astrologia nella concezione ermetica del cosmo. L’autore è chiaro nelle premesse metodologiche: «Le opere del passato sono come iceberg, con un decimo in vista e gli altri nove sotto l’acqua dell’oblio: e come accade all’iceberg, il decimo che affiora alla vista si vede solo perché ci sono gli altri nove che lo sostengono» (p. 33). Per comprendere Lullo vanno recuperati, per quanto si può, quei nove decimi ora invisibili ma pressoché visibili ai suoi contemporanei: per farlo occorre studiare almeno i “contesti” biografico, geopolitico e ideologico. L’intenzione di Pring-Mill è studiare il contesto ideologico, ovvero l’ambiente e i luoghi comuni dell’epoca del Beato, e mostrare fino a che punto il suo pensiero, con particolare riguardo all’esemplarismo, «dipende dal contesto, e come le sue idee caratteristiche e personali si differenziano entro questo quadro comune che le include» (p. 41). Per questo Pring-Mill guarda a quel mondo dal punto di vista della storia delle idee e delle grandi tradizioni culturali che lo costituivano, quando mondo latino e mondo bizantino non erano ancora divisi e quando le tre grandi religioni cristiana, giudaica e islamica erano mutuamente dipendenti da una comune (se pur ripensata) eredità intellettuale greca. A tal scopo lo studio si articola in tre sezioni. Nella prima sezione, intitolata Punti di vista, Pring-Mill distende una ricerca volta ad evidenziare almeno due grandi fasi nel pensiero lulliano: una fase in cui il Beato si concentrava sulla dottrina delle dignità divine, ed una fase successiva in cui sviluppò la dottrina dei correlativi per mostrare la struttura trinitaria del mondo (cap. II). In seconda battuta, Pring Mill enuncia i concetti fondamentali che, ripensati mediante le revisioni neoplatoniche del Dio di Aristotele, furono assorbiti e diversamente accentuati dalle tre tradizioni monoteistiche (cap. III). Questi concetti, che l’autore ama definire “luoghi comuni”, erano essenzialmente quattro: l’idea di una gerarchia spirituale con Dio all’apice; la natura spirituale della realtà, natura che era raggiungibile dall’anima umana; il ritorno dell’anima all’unità percorrendo la via contemplativa e recuperando la sua condizione di Idea nel Logos; la fede nella bontà e pienezza dell’essere. Sopra questa quadruplice eredità concettuale, Lullo inserì alcuni elementi estremamente personali che Pring-Mill aspetta a presentare volendo dapprima soffermarsi sui luoghi comuni. Così muove la seconda parte, La visione medievale, in cui vengono studiati gli aspetti pregnanti della visione medievale del mondo: la scala delle creature (cap. IV), la teoria dei quattro elementi (cap. V), le sfere celesti (cap. VI), la strutturazione numerica del cosmo (cap. VII), la numerologia nel Medioevo (cap. VIII), il microcosmo e il macrocosmo (cap. IX). Come anche Pring-Mill dichiara (cfr. p. 30), si sente in queste pagine la frequentazione di S. Sambursky (The Physical World of the Greeks, London 1956), oltre che di V. F. Hopper (Medieval Number Symbolism, New York 1938) e di G. Leff (Mediaval Thought, London 1958); ma ancor più, sono pagine che mettono in evidenza il ruolo storico e l’importanza teoretica avuti dall’antica scienza greca, al di là dei risultati e dei tecnicismi che poté produrre. Lo studioso scozzese è capace di rendere evidente questo legame quando delinea il passaggio dall’astronomia babilonese alle concezioni medievali, passando per la grecità: nell’antica astrologia babilonese l’osservazione scientifica dei fenomeni astronomici era stata legata ad una credenza cieca nella forza degl’influssi celesti sui fenomeni terrestri. Nonostante questo, i Greci svilupparono due distinte fisiche: la teoria degli elementi per spiegare quanto accade sulla terra, e la teoria delle sfere celesti per spiegare quanto accade nel cielo. Sarà l’epoca medievale ad insistere sull’interazione tra le due teorie (cfr. p. 59): ecco che allora la progressività e la immutabilità delle sfere celesti veniva a complicarsi con la ripetitività e la ineluttabilità di una materia costituita dai quattro elementi. In Lullo tali complicazioni sono evidenti nell’Arbre de Ciència, dove si cerca di calcolare ogni combinazione e concordanza: della natura dei corpi celesti, della loro interazione con i corpi quaggiù, dei sette pianeti, dei segni zodiacali, delle ore, dei giorni e così via fino alla medicina, che deve saper conto, seppur empiricamente, di tutto questo. Ecco che allora Pring-Mill giunge a dimostrare la tesi che risuona più fortemente nell’opera: «Correggere una tendenza moderna, completamente erronea, di legare l’astrologia all’alchimia, le quali debbono essere assolutamente dissociate, se vogliamo giungere a comprendere la visione specificatamente lulliana del mondo. […] Raimondo Lullo non fu mai un alchimista» (p. 81). Guadagnata questa posizione, diventa tanto più evidente la concezione del cosmo di Lullo quando si va a vedere il peso avuta nella sua riflessione dalla numerologia medievale, di chiara ascendenza pitagorica. Tutto questo per dipingere un cosmo che, per l’appunto, è strutturato gerarchicamente: una gerarchia così attraente che instancabilmente il Beato tenta di seguire e rintracciare, ed in cui l’uomo veniva ad occupare un posto così privilegiato tanto da affermare: «Nessun potere creato partecipa di tante cose come il potere dell’anima razionale» (p. 99). Il microcosmo lulliano si ricomprende, allora, entro una visione di mondo ampia, astronomica e metafisica al contempo, e soprattutto così profonda e strutturata che non è difficile immaginare il fascino che dovette suscitare sugli uomini rinascimentali. «Per Raimondo Lullo l’idea del microcosmo è di fatto importante quasi come la concezione del cosmo stesso come una scala delle creature» (p. 100). Si giunge alla terza parte del volume: La visione lulliana. Tale visione scaturisce, ovviamente, dai “luoghi comuni” fin qui analizzati; ma, si badi bene, “luoghi comuni” tipici della teologia, più che della filosofia. In particolare è strettissimo il legame di Lullo con il pensiero agostiniano e degli agostiniani (cfr. cap. X, Il punto di partenza agostiniano), in special modo con la dottrina delle tre potenze dell’anima, essenziale per capire l’idea di microcosmo e gli stessi meccanismi dell’Arte; con la dottrina degli attributi divini, fonte della dottrina lulliana delle dignità; ed in terzo luogo con la dottrina dell’ilemorfismo, sviluppo medievale della dottrina aristotelica di materia e forma. «La sua visione definitiva si regge sull’idea d’un universo integrato e sostenuto da una complessa rete di relazioni attive basate sull’interazione dei ternari di correlazioni che si dispiegano nelle nove Dignità» (p. 106); «di fatto la mistica lulliana è essenzialmente un sistema di contemplazione metodica e minuziosa della scala delle creature, salendo da un gradino all’altro per via dei sensi e per vie intellettuali» (p. 111) fino al punto che la ragione deve cedere il passo alla fede. Chiaramente la visione lulliana diventerà completa solo quando la dottrina delle dignità sarà completata dalla dottrina dei correlativi (cfr. cap. XI, La dottrina dei correlativi e cap. XII, L’universo correlativo), atti a dimostrare la Trinità e l’Incarnazione e la partecipazione del cosmo al ritmo triadico. Per sviluppare la dottrina dei correlativi Lullo denota in maniera del tutto originale la concordanza che deve aversi come nesso tra materia e forma (cfr. p. 117). Accanto agli influssi agostiniani, Lullo risente delle posizioni neoplatoniche finanche del linguaggio arabo, capace di certe forme dinamiche intraducibili e di cui però il Beato tenta di imitare il concetto: un esempio chiaro è il termine latino quidditas ricalcato sopra un termine filosofico arabo, ma molti sono gli esempi analoghi che si potrebbero trarre dalla dottrina dei correlativi. «Nessuno degli arabisti che ho consultato », dichiara Pring-Mill, «mi ha potuto citare una fonte filosofica netta e chiara per la dottrina dei correlativi, ma tutti erano d’accordo che la derivazione della terminologia correlativa basilare corrispondeva direttamente alle possibilità – ed anche alle tendenze – della lingua araba» (p. 120). Con tutto ciò il Beato creava una visione «che oggi diremmo teologica, ma entro i sistemi filosofico-teologici del medioevo è forse una di quelle che più obbedivano alla domanda scientifica di trovare una sola ipotesi generale […] per “salvare i fenomeni” (ma tutti i fenomeni)» (p. 126-127). Non va però dimenticato che motore del pensiero lulliano è il suo zelo missionario e lo scopo è quello di convincere del cristianesimo i non cristiani, mostrando i punti di appoggio comuni. Conclusa la lettura di Pring-Mill, il volume si arricchisce di una parziale traduzione di un articolo di un altro eminente lullista, E. M. Platzeck, in dialogo con Pring-Mill. E il dialogo sul lullismo si rende vivo grazie all’attività dal Centro Italiano di Lullismo “E. M. Platzeck”, al quale si deve questa traduzione di Pring-Mill: la pagina sul lullismo italiano sembra ormai dispiegata.
Tratto dalla rivista Aquinas n. 1-2/2008
(http://www.pul.it)
-
-
-
-
20,00 €→ 19,00 € -
-
-
22,00 €→ 20,90 €
-
-
18,00 €→ 11,70 € -
-
24,00 €→ 12,00 € -
-
12,00 €→ 6,00 € -
cattolicesimo, filosofia, teologia, chiesa cattolica, filosofi cattolici, filosofi, Raimondo Lullo, filosofi catalani