Dalla controversia palamitica alla polemica esicastica
EAN 9788872570661
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DETTAGLI DI «Dalla controversia palamitica alla polemica esicastica»
Tipo
Libro
Titolo
Dalla controversia palamitica alla polemica esicastica
Autore
Fyrigos Antonis
Editore
Antonianum Pontificio Ateneo
EAN
9788872570661
Pagine
458
Data
2005
Peso
870 grammi
Dimensioni
17 x 23 cm
COMMENTI DEI LETTORI A «Dalla controversia palamitica alla polemica esicastica»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Dalla controversia palamitica alla polemica esicastica»
Recensione di Giorgio Fedalto della rivista Studia Patavina
Continuano a susseguirsi studi e ricerche su un personaggio interessante da un lato, ma discusso da un altro. Nato verso il 1290 in Calabria, a Seminara, egli aveva seguito la vita monastica in un centro di tradizione italo-greca, probabilmente nel monastero S. Elia di Galatro o nel S. Filarete di Seminara, i cui legami col patriarcato costantinopolitano non s’erano ovviamente interrotti. Se greca era la lingua e la cultura, ortodossa era la sua formazione teologica, come si poté constatare forse nel 1325 alla sua prima venuta a Costantinopoli. In quell’occasione infatti, egli sbalordì i Bizantini per la sua lingua e la sua cultura, al punto da conquistare il favore della corte, dove aveva una forte influenza la sposa latina dell’imperatore greco, Anna di Savoia, e se sul suo atteggiamento religioso è difficile un giudizio definitivo resta il fatto che ella intervenne più volte nelle questioni interne dell’impero e della Chiesa, specie nel 1341 ma anche in seguito, quando Barlaam e le sue dottrine vennero condannate. Comunque, «il gran domestico» Giovanni Cantacuzeno affidava a Barlaam una cattedra nella grande scuola di Costantinopoli, diventando inoltre egumeno nell’importante monastero di S. Salvatore.
Per rendersi conto della personalità di Barlaam occorre ricordare a Costantinopoli la tradizione filo-occidentale ora rinvigorita dalla presenza dell’imperatrice, in qualche modo favorevole ai Latini e all’unione delle Chiese e che in un certo senso continuava quanto rimaneva dell’impero latino d’Oriente. Già nel 1228 il capitolo generale dei Frati predicatori aveva eretto in provincia i conventi domenicani là situati; nel 1299 si trova il loro primo convento a Pera, dove i Genovesi si erano installati dietro la concessione loro fatta dall’imperatore bizantino, costituendovi un grosso borgo. L’importanza del luogo era connessa pure al fatto di essere una base per gli Occidentali in transito verso Oriente, il mar Nero ed oltre, per cui si comprende l’interesse degli ordini mendicanti di crearvi un centro di appoggio.
Accanto ad una residenza domenicana, dopo il 1307 gli stessi Domenicani costruirono due conventi, uno per i frati ed uno per le suore. In tal modo, di fronte alla capitale bizantina Pera era un punto di contatto tra due mondi, testa di ponte del cattolicesimo, punto di appoggio della Chiesa latina e con i suoi conventi la presenza domenicana era importante per l’attività pastorale presso la comunità latina locale, come per le relazioni con le autorità greche. Nel 1333, nel convento di S. Domenico, i religiosi avevano pure una scuola di lingue, con un ruolo importante nella formazione dei missionari prima della loro partenza per località più lontane, e così per i teologi che approfondivano la dottrina latina in rapporto alle posizioni della Chiesa ortodossa. Da un lato dunque i Domenicani assicuravano la direzione pastorale delle comunità latine lungo le rotte commerciali, dall’altro cercavano di ricucire gli strappi dello scisma greco, preparandosi ad evangelizzare i popoli delle lontane steppe. Pera ebbe dunque una notevole importanza pure per gli incontri unionistici che si dovevano tenere tra le due Chiese, anche perché era proprio di quei religiosi ribadire i punti fondamentali della dottrina cattolica, utilizzando i nuovi indirizzi della scolastica, che includevano l’uso del sillogismo e dell’argomentazione pur distanti quanto mai dalla teologia ortodossa; per tale loro carattere furono spesso chiamati al palazzo imperiale per discutere con le autorità religiose.
Andava premesso l’antefatto per comprendere il senso dell’accurata ricerca, dove l’Autore propone la ricostruzione di una disputa storica tra due contendenti del tempo, appunto Barlaam Calabro e Gregorio Palamas, più tardi vescovo di Tessalonica. Proprio l’esame analitico dei due momenti della disputa, quello palamitico e quello esicastico, inseriti nel loro sviluppo cronologico andava compiuto per comprendere il vero senso del disagio intellettuale dei due. Il lavoro di Fyrigos, che offre pure una edizione critica delle epistole greche di Barlaam, oltre a puntualizzare le tematiche inerenti a ciascuna delle due fasi e l’analisi filologica della tradizione manoscritta, ricostruisce in una consistente appendice vita ed opere di Barlaam con una ricca bibliografia.
Il personaggio Barlaam interessa per il dialogo tra le Chiese in quanto negli incontri constantinopolitani del 1334, mentre da parte latina papa Giovanni XXII aveva inviato i domenicani Riccardo Inglese e Francesco da Camerino da poco creati vescovi di sedi missionarie in Crimea, il patriarca greco di Costantinopoli Giovanni Caleca aveva incaricato appunto Barlaam a rappresentare la Chiesa greca. Si trattava semplicemente di discussioni unionistiche e la scelta di Barlaam era felice per più motivi: egli conosceva il latino, il volgare italiano, era dotto sulla dottrina greca come sulla latina, specialmente sul tomismo, ormai diventato dottrina ufficiale della Chiesa latina. Designando dunque Barlaam, la Chiesa greca «compiva un gesto diplomaticamente felice».
Da notare che sia pure greco di cultura, Barlaam conosceva perfettamente le tecniche di discussione filosofica occidentale, in altre parole la scolastica, ma qui cominciavano i problemi anche se egli riteneva essenziale per la teologia la conoscenza delle opere filosofiche classiche di Pitagora, Aristotele, Platone. La reazione nei suoi confronti iniziava appunto sulla funzione che la filosofia doveva avere riguardo la teologia.
Le discussioni unionistiche, iniziate nel febbraio 1334 si sarebbero protratte fino a dicembre dello stesso anno, quando la notizia della morte di papa Giovanni XXII (dicembre 1334) e l’immediata elezione di Benedetto XII poneva fine ad esse. Va anche aggiunto che tali incontri non devono essersi svolti in modo troppo sereno: esposte le condizioni per il dialogo, da parte greca si rifiutava l’uso del sillogismo nella questione teologica ritenendo inopportuno argomentare sui dogmi.
A detta di Barlaam, gli interlocutori pontifici avevano tenuto un atteggiamento intransigente, fondato troppo sul principio di autorità per quanto riguardava il Filioque. Tale giudizio però rende più problematica la comprensione del passaggio successivo di Barlaam dalle file ortodosse a quelle latine, anche perché egli aveva scritto dei trattati antilatini, che avrebbero dovuto aumentare il suo prestigio nell’ambiente costantinopolitano, e che invece furono violentemente attaccati da Gregorio Palamas.
La polemica con Palamas fu dura e Fyrigos ne ricostruisce contenuti e argomentazioni. Nel 1337 essa si estese anche sul terreno del misticismo monastico, quando Barlaam attaccò gli esicasti, portando ormai la contesa sul piano filosofico e teologico. Praticamente il contrasto verteva sulle due correnti che interessavano allora la teologia bizantina. Da un lato Barlaam dipendeva dalla filosofia greca: in particolare egli riteneva che lo spirito umano non potesse giungere alla conoscenza di Dio in ragione dei suoi limiti rispetto all’apprensione del mondo sensibile. Dall’altro, in base alla tradizione ortodossa, Palamà non accettava il razionalismo della teologia occidentale distinguendo nella trascendenza di Dio essenza e operazioni divine: solo in virtù di queste, l’uomo poteva superare la propria umanità e partecipare alla sua elevazione.
Come spesso avveniva a Costantinopoli, oltre che presso l’autorità patriarcale, la controversia si trasferì anche nel piano politico. Nel 1339 la fortuna di Barlaam era ancora salda, quando l’imperatore bizantino lo inviava in Occidente per una importante missione diplomatica. Il 30 agosto 1339 egli si trovava ad Avignone, e il viaggio gli era diventato estremamente utile, in quanto poté conoscervi il Petrarca e la relazione gli fu probabilmente determinante per la successiva nomina vescovile alla sede latina di Gerace: infatti ina-spettatamente pochi anni più tardi troveremo lui, greco, vescovo di una diocesi latina in Calabria.
Tornato a Costantinopoli, dopo la sua presa di posizione contro gli esicasti e la reazione di Palamas, le stesse autorità politiche interessate a conservare la pace religiosa in momenti di pericolo, erano seriamente preoccupate, per cui nel giugno 1341, nel concilio presieduto dallo stesso imperatore a S. Sofia, Palamas e il suo partito ottennero vittoria mentre la dottrina di Barlaam venne formalmente condannata. L’umiliazione che questi subiva e la morte dell’imperatore, seguita di qualche giorno alla riunione del concilio, lo inducevano a ritornare in Occidente, a Napoli e ad Avignone, città papale. Egli era un ortodosso, anche se unionista, ed abate del monastero di S. Salvatore di Costantinopoli, profugo in Occidente a seguito di divergenze dottrinali con la dottrina ufficiale bizantina. Il papa provvide per la sua sistemazione economica, passandogli dal 23 agosto in poi una provvigione per lui, per il compagno Giorgio da Tessalonica e per tre servi.
Il soggiorno avignonese diventava ormai determinante per la sua vita futura. Fu forse la ricordata amicizia del Petrarca o l’indubbia reputazione che godeva ad Avignone o, ancora, il volerlo utilizzare per finalità pastorali in regione bilingue e di fede filo-bizantina, che indussero Clemente VI ad elevarlo al seggio episcopale di Gerace. A seguito di tale nomina, il 2 ottobre 1342, il cardinale Bertrando del Poggetto lo consacrava vescovo.
Anche se la sua permanenza in sede non si protrasse a lungo - la sua morte è del 1348 - è interessante come le discussioni sui temi caldi della discordia tra le Chiese, portate avanti attraverso l’opera dei Domenicani e di altri, agitassero l’ambiente costantinopolitano in modo articolato e teologicamente appropriato. La controversia palamitica e la polemica esicastica, qui bene ricostruite da Fyrigos, confermano la curiosità che può restare - dopo la lettura del libro - sul passaggio del monaco Barlaam in campo latino al punto da essere premiato con una diocesi latina nella nativa Calabria.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Per rendersi conto della personalità di Barlaam occorre ricordare a Costantinopoli la tradizione filo-occidentale ora rinvigorita dalla presenza dell’imperatrice, in qualche modo favorevole ai Latini e all’unione delle Chiese e che in un certo senso continuava quanto rimaneva dell’impero latino d’Oriente. Già nel 1228 il capitolo generale dei Frati predicatori aveva eretto in provincia i conventi domenicani là situati; nel 1299 si trova il loro primo convento a Pera, dove i Genovesi si erano installati dietro la concessione loro fatta dall’imperatore bizantino, costituendovi un grosso borgo. L’importanza del luogo era connessa pure al fatto di essere una base per gli Occidentali in transito verso Oriente, il mar Nero ed oltre, per cui si comprende l’interesse degli ordini mendicanti di crearvi un centro di appoggio.
Accanto ad una residenza domenicana, dopo il 1307 gli stessi Domenicani costruirono due conventi, uno per i frati ed uno per le suore. In tal modo, di fronte alla capitale bizantina Pera era un punto di contatto tra due mondi, testa di ponte del cattolicesimo, punto di appoggio della Chiesa latina e con i suoi conventi la presenza domenicana era importante per l’attività pastorale presso la comunità latina locale, come per le relazioni con le autorità greche. Nel 1333, nel convento di S. Domenico, i religiosi avevano pure una scuola di lingue, con un ruolo importante nella formazione dei missionari prima della loro partenza per località più lontane, e così per i teologi che approfondivano la dottrina latina in rapporto alle posizioni della Chiesa ortodossa. Da un lato dunque i Domenicani assicuravano la direzione pastorale delle comunità latine lungo le rotte commerciali, dall’altro cercavano di ricucire gli strappi dello scisma greco, preparandosi ad evangelizzare i popoli delle lontane steppe. Pera ebbe dunque una notevole importanza pure per gli incontri unionistici che si dovevano tenere tra le due Chiese, anche perché era proprio di quei religiosi ribadire i punti fondamentali della dottrina cattolica, utilizzando i nuovi indirizzi della scolastica, che includevano l’uso del sillogismo e dell’argomentazione pur distanti quanto mai dalla teologia ortodossa; per tale loro carattere furono spesso chiamati al palazzo imperiale per discutere con le autorità religiose.
Andava premesso l’antefatto per comprendere il senso dell’accurata ricerca, dove l’Autore propone la ricostruzione di una disputa storica tra due contendenti del tempo, appunto Barlaam Calabro e Gregorio Palamas, più tardi vescovo di Tessalonica. Proprio l’esame analitico dei due momenti della disputa, quello palamitico e quello esicastico, inseriti nel loro sviluppo cronologico andava compiuto per comprendere il vero senso del disagio intellettuale dei due. Il lavoro di Fyrigos, che offre pure una edizione critica delle epistole greche di Barlaam, oltre a puntualizzare le tematiche inerenti a ciascuna delle due fasi e l’analisi filologica della tradizione manoscritta, ricostruisce in una consistente appendice vita ed opere di Barlaam con una ricca bibliografia.
Il personaggio Barlaam interessa per il dialogo tra le Chiese in quanto negli incontri constantinopolitani del 1334, mentre da parte latina papa Giovanni XXII aveva inviato i domenicani Riccardo Inglese e Francesco da Camerino da poco creati vescovi di sedi missionarie in Crimea, il patriarca greco di Costantinopoli Giovanni Caleca aveva incaricato appunto Barlaam a rappresentare la Chiesa greca. Si trattava semplicemente di discussioni unionistiche e la scelta di Barlaam era felice per più motivi: egli conosceva il latino, il volgare italiano, era dotto sulla dottrina greca come sulla latina, specialmente sul tomismo, ormai diventato dottrina ufficiale della Chiesa latina. Designando dunque Barlaam, la Chiesa greca «compiva un gesto diplomaticamente felice».
Da notare che sia pure greco di cultura, Barlaam conosceva perfettamente le tecniche di discussione filosofica occidentale, in altre parole la scolastica, ma qui cominciavano i problemi anche se egli riteneva essenziale per la teologia la conoscenza delle opere filosofiche classiche di Pitagora, Aristotele, Platone. La reazione nei suoi confronti iniziava appunto sulla funzione che la filosofia doveva avere riguardo la teologia.
Le discussioni unionistiche, iniziate nel febbraio 1334 si sarebbero protratte fino a dicembre dello stesso anno, quando la notizia della morte di papa Giovanni XXII (dicembre 1334) e l’immediata elezione di Benedetto XII poneva fine ad esse. Va anche aggiunto che tali incontri non devono essersi svolti in modo troppo sereno: esposte le condizioni per il dialogo, da parte greca si rifiutava l’uso del sillogismo nella questione teologica ritenendo inopportuno argomentare sui dogmi.
A detta di Barlaam, gli interlocutori pontifici avevano tenuto un atteggiamento intransigente, fondato troppo sul principio di autorità per quanto riguardava il Filioque. Tale giudizio però rende più problematica la comprensione del passaggio successivo di Barlaam dalle file ortodosse a quelle latine, anche perché egli aveva scritto dei trattati antilatini, che avrebbero dovuto aumentare il suo prestigio nell’ambiente costantinopolitano, e che invece furono violentemente attaccati da Gregorio Palamas.
La polemica con Palamas fu dura e Fyrigos ne ricostruisce contenuti e argomentazioni. Nel 1337 essa si estese anche sul terreno del misticismo monastico, quando Barlaam attaccò gli esicasti, portando ormai la contesa sul piano filosofico e teologico. Praticamente il contrasto verteva sulle due correnti che interessavano allora la teologia bizantina. Da un lato Barlaam dipendeva dalla filosofia greca: in particolare egli riteneva che lo spirito umano non potesse giungere alla conoscenza di Dio in ragione dei suoi limiti rispetto all’apprensione del mondo sensibile. Dall’altro, in base alla tradizione ortodossa, Palamà non accettava il razionalismo della teologia occidentale distinguendo nella trascendenza di Dio essenza e operazioni divine: solo in virtù di queste, l’uomo poteva superare la propria umanità e partecipare alla sua elevazione.
Come spesso avveniva a Costantinopoli, oltre che presso l’autorità patriarcale, la controversia si trasferì anche nel piano politico. Nel 1339 la fortuna di Barlaam era ancora salda, quando l’imperatore bizantino lo inviava in Occidente per una importante missione diplomatica. Il 30 agosto 1339 egli si trovava ad Avignone, e il viaggio gli era diventato estremamente utile, in quanto poté conoscervi il Petrarca e la relazione gli fu probabilmente determinante per la successiva nomina vescovile alla sede latina di Gerace: infatti ina-spettatamente pochi anni più tardi troveremo lui, greco, vescovo di una diocesi latina in Calabria.
Tornato a Costantinopoli, dopo la sua presa di posizione contro gli esicasti e la reazione di Palamas, le stesse autorità politiche interessate a conservare la pace religiosa in momenti di pericolo, erano seriamente preoccupate, per cui nel giugno 1341, nel concilio presieduto dallo stesso imperatore a S. Sofia, Palamas e il suo partito ottennero vittoria mentre la dottrina di Barlaam venne formalmente condannata. L’umiliazione che questi subiva e la morte dell’imperatore, seguita di qualche giorno alla riunione del concilio, lo inducevano a ritornare in Occidente, a Napoli e ad Avignone, città papale. Egli era un ortodosso, anche se unionista, ed abate del monastero di S. Salvatore di Costantinopoli, profugo in Occidente a seguito di divergenze dottrinali con la dottrina ufficiale bizantina. Il papa provvide per la sua sistemazione economica, passandogli dal 23 agosto in poi una provvigione per lui, per il compagno Giorgio da Tessalonica e per tre servi.
Il soggiorno avignonese diventava ormai determinante per la sua vita futura. Fu forse la ricordata amicizia del Petrarca o l’indubbia reputazione che godeva ad Avignone o, ancora, il volerlo utilizzare per finalità pastorali in regione bilingue e di fede filo-bizantina, che indussero Clemente VI ad elevarlo al seggio episcopale di Gerace. A seguito di tale nomina, il 2 ottobre 1342, il cardinale Bertrando del Poggetto lo consacrava vescovo.
Anche se la sua permanenza in sede non si protrasse a lungo - la sua morte è del 1348 - è interessante come le discussioni sui temi caldi della discordia tra le Chiese, portate avanti attraverso l’opera dei Domenicani e di altri, agitassero l’ambiente costantinopolitano in modo articolato e teologicamente appropriato. La controversia palamitica e la polemica esicastica, qui bene ricostruite da Fyrigos, confermano la curiosità che può restare - dopo la lettura del libro - sul passaggio del monaco Barlaam in campo latino al punto da essere premiato con una diocesi latina nella nativa Calabria.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 2
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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