Un uomo che ama, il grande, sconvolgente romanzo, il «caso letterario» della Germania riunificata, va diritto al cuore del suo cuore: Johann Wolfgang Goethe. Non per un’ennesima messinscena culturale più o meno «olimpica» e mummificata, ma per cogliere nella Marienbader Elegie, «questa folle, suprema poesia d’amore della lingua tedesca», il luogo dove Goethe esprime tutta la tragicità dell’esperienza vissuta « nell’apprendistato dell’Aporia » che lo trasforma radicalmente: « Per me perduto è l’Universo, perduto io stesso, / Io che fui l’amato degli Dei ». Il 73enne Goethe – vedovo e così famoso che il suo domestico Stadelmann vende in segreto i suoi capelli – ama la 19enne Ulrike von Levetzow. «Alcune nature sperimentano la ripetizione della pubertà, mentre altre sono giovani una volta sola». 54 anni è la differenza di età tra i due, ma Goethe confessa: « Il mio amore non sa che ho più di settant’anni. E nemmeno io lo so». Si scambiano parole, i due si baciano: nel baciare quello che conta non sono le bocche, le labbra, ma le anime. «Questo era il suo stato: Ulrike o nulla». Ma la sua età lo raggiunge, lo ferisce. Cade in un ballo in costume e durante un tè danzante uno più giovane vuole sedurre Ulrike. La proposta di matrimonio la coglie quando con la madre è in viaggio verso Karlsbad.
Goethe, oscillante tra speranza e disperazione, scrive in viaggio sulla carrozza la Marienbader Elegie. Sublime espressione di un amore che nella sua classica tragicità fa apparire come narcisistico rococò tutto ciò che l’ha preceduto. Di ritorno a Weimar, Ottilie, la nuora gelosa, non lo perde di vista un attimo. La credibilità, l’impeto delle sensazioni e della loro espressione testimoniano un’incomparabile potenza, una passione linguistica che nella scrittura, inseparabile dall’amore, sonda fulminea, tenera e conturbante gli abissi delle relazioni umane e ci svela un «altro», un «nuovo» Goethe. La saggezza olimpica è un’incredibile commedia culturale. Non c’è rinuncia, non c’è superamento. In realtà nemmeno per un istante Goethe cessa di soffrire. Nulla è vivo come il dolore...
Martin Walser è nato a Wasserburg/Bodensee il 24 marzo 1927, vive a Nußdorf/Bodensee. Dal 1944 al 1945 ha partecipato alla seconda guerra mondiale ed è stato in un campo di prigionia americano. Ha studiato germanistica, teologia, filosofia, storia, psicologia a Ratisbona e a Tubinga. Ha conseguito il dottorato nel 1951 con un lavoro su Kafka. Tra i suoi romanzi ricordiamo: Morte di un critico (2004), I viaggi di Messmer (2004), L’istante dell’amore (2005) e Una zampillante fontana (2008), pubblicati da Sugarco. Per il 2010 è annunciato un nuovo romanzo: Muttersohn.