EAN 9788871520995
PREFAZIONE
di M. B. Artioli e M. F. T. Lovato
Abbiamo cercato di approntare questo II volume della Filocalia entro un tempo relativamente breve dalla pubblicazione del I, nell'intento di venire al più presto incontro all'esigenza dei lettori, che con tanto interesse hanno accolto il I volume di quest'opera.
La nostra intenzione è proseguire il lavoro nello stesso sforzo di fedeltà al testo, nella traduzione, e di una certa sollecitudine — per quanto ci sarà possibile — nella pubblicazione dei volumi: in modo da non tardare troppo a mettere a disposizione del pubblico italiano l'intera raccolta. Aggiungeremo all'ultimo volume un indice delle parole più importanti: esso potrà costituire un aiuto efficace per chi volesse rintracciare attraverso tutta l'opera il pensiero di questi padri su molti aspetti fondamentali della vita spirituale.
Desideriamo infine ringraziare vivamente il nostro confratello d. Umberto Neri per l'aiuto davvero prezioso che ci ha dato nella revisione finale di questo II volume.
INTRODUZIONE
Il II volume della Filocalia raccoglie vari scritti di Massimo il Confessore, che occupano quasi due terzi del volume; quindi una serie di brevi o anche brevissimi scritti di parecchi autori: Talassio, Giovanni Damasceno, Filemone, Teognosto, Filoteo Sinaita, Elia Presbitero e Teofane Monaco. Il volume appare dunque dominato dagli scritti di Massimo. Fatto, questo, rilevante non solo quantitativamente, ma determinato dal posto che questo padre occupa nella tradizione mistica, particolarmente orientale.
Perciò in questa introduzione ci soffermeremo quasi esclusivamente su Massimo, limitandoci a qualche parola soltanto per gli altri autori: ciò anche in considerazione delle difficoltà molto maggiori che i testi massimiani presentano rispetto a tutti gli altri.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
LA TEOLOGIA MISTICA DI MASSIMO IL CONFESSORE
In realtà non tutti gli scritti che vanno sotto il nome di Massimo in questo volume sono da attribuirsi a lui. Infatti alle quattro centurie Sulla carità e ai Duecento capitoli sulla teologia e sull'economia dell'incarnazione del Figlio di Dio, seguono altre cinque centurie che il testo greco indica con numero progressivo rispetto ai Duecento capitoli... Ora, queste cinque centurie sono una specie di antologia di scritti vari di Massimo, con l'aggiunta però di qualche testo proveniente quasi letteralmente dallo Pseudo-Dionigi, e di altri testi presi da commenti all'opera massimiana Questioni a Talassio (che è — insieme agli Ambigua — tra le più rappresentate in questa antologia). I redattori di Filocalia — come è possibile capire dalle note che hanno posto a margine del testo greco — si erano resi conto di ciò. Non sono ben chiari, tuttavia, i motivi per cui abbiano comunque scelto questa compilazione mista, aggiungendola ai Duecento capitoli... come se formasse un tutt'uno con questi.
In generale, negli scritti massimiani qui raccolti si possono riscontrare notevoli affinità con certi aspetti del pensiero di Evagrio e dello Pseudo-Dionigi. I punti di contatto sono così numerosi che, data la natura del nostro lavoro, abbiamo dovuto rinunciare ad appesantire il testo con troppe note di richiamo. Soltanto nel caso di passi riportati letteralmente abbiamo indicato in nota.
Dal punto di vista della struttura, gli scritti di Massimo non si presentano come un insieme organico, ma piuttosto come una serie di pensieri spesso discontinui tra loro, e tuttavia saldamente connessi in una forte sintesi di fondo.
Il collegamento tra le diverse sentenze delle centurie è dato, quando lo si può riscontrare, soprattutto dalla continuità del commento a certi passi biblici che sono seguiti nello sviluppo del discorso 3. Questo dimostra come Masimo, pur essendo dotato di una mente sistematica, segua tuttavia strutture bibliche. Questo mostra anche come egli vedesse la Scrittura organicamente connessa in un discorso 'spirituale' coerente: il senso spirituale per lui non consiste quindi in istantanee illuminazioni di parole isolate.
Infine, come già faceva notare il Patriarca Fozio citato da Nicodimo, occorre dire che si tratta di testi di difficile lettura. Qualche sforzo per far emergere e spiegare alcuni temi di fondo non può impedire che essi richiedano a chi vi si accosta un serio impegno di attenzione e penetrazione. Inoltre, Massimo è tradizionalmente considerato il più metafisico dei padri, e anche questo va tenuto presente nel leggere e nel considerare il modo dell'autore di esprimere le realtà spirituali.
La deificazione
Il punto centrale intorno al quale ruota il pensiero di Massimo è il mistero dell'incarnazione divina e quello, inscindibilmente connesso, della deificazione dell'uomo 5, mistero al quale tende tutta la creazione: « Dio ci ha fatti perché fossimo consorti della divina natura (cfr. 2 Pt. 1, 4) e partecipi della sua eternità, e perché apparissimo simili a lui (cfr. 1 Gv. 3, 2) in forza della deificazione per grazia, per la quale esistono e permangono gli esseri e per la quale le cose che non sono vengono prodotte e hanno origine » 6.
Cristo, Dio-Uomo risorto, vincitore della morte che teneva l'uomo sotto il suo dominio, ha già immesso nella limitatezza del tempo creato l'infinito della sua eternità; sin da ora egli trasporta l'uomo nell'ottavo giorno, primizia del secolo escatologico, in cui si manifesterà pienamente il modo di essere — divino e definitivamente libero da mortalità — dei figli di Dio. Innestato nel Cristo, il cristiano si trova sin da ora collocato in questo modo di essere completamente nuovo, grazie al quale è reso capace di rispondere con libera volontà alla grazia divina che progressivamente lo trasforma: « Con la preghiera del 'Padre nostro' impariamo a proclamare la grazia a noi concessa della filiazione, perché siamo fatti degni di chiamare Padre per grazia colui che è nostro creatore per natura. Così, pieni di riverenza per il titolo del nostro genitore per grazia, siamo solleciti nel mostrare nella nostra vita i caratteri di chi ci è padre, santificando il suo nome sulla terra, imitandolo come padre, mostrandoci figli con le nostre azioni, e magnificando, con ciò che pensiamo e facciamo, il Figlio naturale del Padre, autore di questa filiazione ».
Questo cammino verso la piena immersione in Dio, per Cristo, passa secondo Massimo attraverso tre fasi.
La prima, quella della 'pratica', consiste nel disciplinare le passioni, che non sono semplicemente da eliminare, ma da volgere di nuovo al loro oggetto 'naturale', cioè corrispondente al primitivo disegno divino. Cosi, la concupiscenza ritornerà ad essere la brama dell'unione con Dio, e la potenza irascibile che, per sua natura, difende l'oggetto del desiderio, tornerà a sorreggere con il suo impeto lo slancio della concupiscenza risanata. Questa disciplina ha di mira la liberazione della potenza di visione spirituale dell'intelletto, in vista della contemplazione. Il cristiano che, con la virtù, ritrova l'ordine morale del suo essere, è liberato dalle tenebre dell'intelletto provocate dal peccato. Può perciò cominciare a percepire e contemplare gli esseri creati, spogliati ormai, per lui, dell'involucro passionale entro il quale gli si presentavano prima. Ne scopre così le 'ragioni, cioè il vero intimo principio della sussistenza e della dinamica di ogni cosa creata, nella sua relazione profonda con il Verbo di Dio: perché è lui che ha dato l'impronta di sé a tutta la creazione e le ha impresso il movimento che la ricollega a Dio, come sua origine e termine.
Questa dottrina delle ragioni degli esseri come oggetto della prima forma di contemplazione, giunge a Massimo attraverso Evagrio, ma ancor più attraverso lo Pseudo-Dionigi. Le ragioni degli esseri, strettamente legate al Verbo divino ordinatore dell'universo, sono come eterne volontà di Dio. Esse si mostrano nella creazione quali energie di Dio e, insite intimamente nelle cose stesse, le rendono intelligibili allo spirito purificato nella loro verità, che è strettamente connessa alla loro Causa e Termine. La contemplazione di tali ragioni — che è spesso definita 'naturale' perché verte intorno ai principi e alle leggi pure della natura uscita dalle mani di Dio e in movimento verso di lui — è però già 'in Spirito'. E non può di fatto essere altro che tale: solo la grazia rigenerante dello Spirito, infatti, ricostituisce nell'uomo la possibilità di una operazione pura delle sue capacità di conoscenza e, risanando l'uomo, risana la natura tutta, ferita dal peccato dell'uomo.
Così, l'uomo 'secondo natura' sarà solo l'uomo partecipe dello Spirito in forza del suo innesto nel Cristo e dell'attuazione nella vita, mediante le virtù, delle potenze battesimali. Quindi questa contemplazione naturale è tutt'altro che un fatto puramente intellettuale: essa è anzi strettamente connessa da un lato con un'intima rigenerazione ad opera dello Spirito — primaria a tutto — e dall'altro con un risanamento di ogni sregolatezza dei costumi, del pensiero e del sentire. Solo questo risanamento radicale e totale può ridonare all'uomo l'occhio chiaro e penetrante che vede e conosce le divine ragioni delle cose.
Dopo questa prima forma di conoscenza che contempla gli esseri, si accede a quella forma suprema di conoscenza di Dio stesso — per quanto possibile — che è la grazia della 'teologia'.
Quest'ultimo grado, benché sia conseguenza dei primi due, resta però un dono totalmente gratuito e può essere solo subito, 'patito':
« Subiamo quando, superate completamente le ragioni delle cose create, perveniamo, al di là della conoscenza, alla Causa degli esseri e sospendiamo l'attività delle nostre potenze, insieme a tutto ciò che è per natura limitato. Diveniamo allora ciò che in nessun modo è produzione di una nostra potenza naturale, poiché la natura non possiede la capacità di afferrare ciò che è oltre la natura ».
Questa vita immersa in Dio si apre ormai agli orizzonti escatologici del secolo futuro, nel quale troverà la sua pienezza e la sua continuità infinita, conforme all'infinito di Dio. A questo stadio parlare; come un folle egli guarda al mondo, non lo vede e neppure lo desidera. Gli uomini non sanno che sta contemplando l'adorato Signore: il mondo è stato dimenticato, come se fosse restato indietro... ».
Il piacere e il dolore
Abbiamo dunque visto come la deificazione sia una trasformazione totale dell'essere: essa comporta un cambiamento sostanziale in tutti gli ambiti della vita, anche nelle esperienze più elementari; è una trasformazione che si esprime in tutti i momenti e modi delle esperienze umane fondamentali.
Come si pone, all'interno di questa logica, il problema del piacere e del dolore?
All'origine dello stato attuale della natura umana Massimo vede una scelta volontaria dell'uomo che lo ha portato a orientare verso la conoscenza e il piacere dei sensi quella capacità di gioia di cui era stato dotato perché godesse di Dio: « Il Verbo Dio che ha creato la natura degli uomini, non ha creato insieme ad essa né piacere né dolore sensibile; ha invece immesso nella creazione una potenza intellettuale in forza della quale essa potrà godere inesprimibilmente di lui. Questa potenza, che è il desiderio naturale dell'intelletto verso Dio, il primo uomo, appena creato, l'applicò alla percezione sensibile, in un suo movimento primo verso le cose sensibili e, mediante la percezione sensibile, conseguì il piacere operante contro natura ».
La nascita stessa dell'uomo è ora presieduta dal piacere carnale, e da esso l'uomo si trova dominato appunto perché, in forza della sua scelta primitiva, la sua capacità di gioia spirituale e divina si è oscurata.
L'anima entra già da ora nel grande riposo sabbatico dell'eternità: « I sabati dei sabati sono la quiete spirituale dell'anima razionale, che ha ritratto l'intelletto da tutte le stesse più divine ragioni che sono negli esseri, e lo ha interamente legato a Dio solo con l'estasi dell'eros e l'ha reso del tutto inamovibile da Dio mediante la mistica teologia ».
Il processo conoscitivo procede dunque come progresso di tutto l'uomo. Si tratta di un processo di trasformazione totale che ha nei diversi stadi del progresso conoscitivo un riflesso, una manifestazione e una verifica, ma non il suo unico contenuto. A differenza di Evagrio, la cui concezione del processo spirituale resta eminentemente intellettuale, Massimo, più cristianamente, vede nel progresso intellettuale solo un aspetto di un cammino che tende a sfociare nell'amore, nell'estasi dell'eros divino: l'unione divina si realizza solo mediante l'amore.
Siamo qui nel cuore della teologia mistica della Chiesa d'Oriente in particolare. Se non è sempre facile seguire Massimo nel complesso sviluppo del suo pensiero, che spesso lo porta ad accumulare concetti e frasi per esprimere l'inesprimibile, tuttavia la realtà viva di questa incessante ricerca della pienezza dell'amore estatico — che trasporta l'uomo in Dio, al di là di tutto, nella forza della grazia deificante — resterà al centro dello slancio mistico della santità orientale. In una forma meno dottrinale, con espressioni che rispecchiano con umile semplicità la grandezza di un'esperienza ineffabile, ritroviamo questa stessa estatica adesione d'amore in una delle ultime parole degli scritti di un monaco molto vicino a noi nel tempo, Silvano del Monte Athos: « L'anima per amore del Signore è diventata come insensata: l'uomo resta seduto, silenzioso, e non vuole ora strettamente legata alla legge della morte e del peccato dal quale la morte proviene.
Misericordia, dunque, sono anche nella catastrofe umana del primopeccato, íl dolore e la morte. Ma contro questo dolore ineludibilmente unito al piacere, l'uomo lotta una lotta disperata, cercando di separare il dolore dal piacere. Nell'impeto della passione ha talvolta l'impressione di essere riuscito nell'impresa e di poter far sussistere il piacere da solo, senza il suo triste compagno: ma in realtà non ha fatto che rinsaldare le catene che lo legano al dolore e alla morte. « La pena del dolore è infatti mescolata al piacere, anche se questo sembra sfuggire a quelli che lo provano, a motivo della presa passionale del piacere: poiché ciò che è predominante è sempre maggiormente evidente e vela la percezione di ciò che si presenta insieme con esso. Reclamando dunque il piacere, a causa del nostro amor proprio, e, per lo stesso motivo, studiandoci di fuggire il dolore, noi volgiamo nell'animo inaudite passioni corruttrici ».
Cosi, sebbene il dolore, non cercato, sia già una purificazione rispetto al piacere cercato da cui nasce, di fatto la situazione sarebbe restata senza via d'uscita: in tutti i modi l'uomo si sente spinto ad allontanare il dolore studiandosi di alimentare il piacere, né accetta di riconoscere tramite l'esperienza stessa che l'aumento del piacere stringe ulteriormente la successiva morsa del dolore, e che il tutto, in ogni caso, finisce nella morte.
Solo il Creatore della natura poteva ormai cambiarne le sorti mediante una totale ristrutturazione della natura stessa: « Per la distruzione dell'ingiustissimo piacere c'era bisogno anche delle giustissime sofferenze che procura... Ma per la riforma della natura soggetta a passione occorreva escogitare una sofferenza e una morte che fossero ad un tempo ingiuste e senza causa. Senza causa per non esserci stato assolutamente alcun piacere precedente alla loro origine e senza che in nessun modo il piacere derivato dalla trasgressione avesse presieduto alla sua nascita nel tempo da una donna... E la morte del Signore, a differenza di quella degli altri uomini, non era un debito pagato per il piacere, ma piuttosto qualcosa che era gettato contro il piacere stesso. E così, attraverso questa morte distrusse la giusta fine della natura ».
Il primo segno di questo riscatto sta nel 'modo' stesso della generazione verginale del Dio-Uomo: « Adamo, con la sua trasgressione, ha insegnato alla generazione della natura a compiersi in forza del piacere. Il Signore, bandendo il piacere dalla natura, non ebbe nulla a che fare con una concezione per mezzo di seme. La donna, trasgredito il comandamento, ha insegnato alla generazione della natura a cominciare col dolore. Il Signore, estromettendo questo dalla natura con la sua nascita, non ha permesso subisse corruzione colei che lo aveva partorito. Espulse in tal modo dalla natura sia il piacere volontariamente cercato che il dolore non cercato che ad esso consegue ».
Dio si fa uomo e la natura viene rinnovata: segno di questo rinnovamento, la Vergine che concepisce e genera, colei alla quale la Chiesa d'Oriente canterà: « Ave, tu per cui si rinnova la creazione; ave, compendio dei dogmi di Cristo; ave, tu che hai ricongiunto verginità e maternità; ave, che in te risplende il tipo della risurrezione ». Lo sconosciuto modo di generazione che, secondo Massimo, sarebbe stato proprio dell'uomo prima della caduta, trova ora, dopo la nascita verginale del Cristo, un'attuazione nella nascita dei figli di Dio dal fonte battesimale, nel Cristo, secondo un nuovo principio dí fecondità e di vita, lo Spirito santo e deificante: Ha dato loro potere di divenire figli di Dio, a coloro che credono nel suo nome. Essi che non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
Restano, nell'economia provvisoria che riempie lo spazio tra la prima venuta del Cristo e il ritorno escatologico, in quello che icon lui gli procura il regno, perché è verace colui che ha detto: ... se solo soffriamo con lui, per essere con lui glorificati (Rm. 8, 17) ».
La ricomposizione dell'unità universale mediante l'amore
L'uomo, dunque, all'alba della sua creazione, ha scelto se stesso in luogo di Dio, ha cercato di divenire dio senza Dio. Conseguenze di ciò sono state — lo abbiamo visto — non solo la deviazione dell'impulso che lo portava verso Dio, l'attaccamento agli oggetti sensibili e la ricerca del piacere, ma anche il lacerarsi dell'unica volontà naturale dell'uomo. Essa — destinata originariamente a cercare l'unione nella carità con Dio e gli altri — è ora divisa in miriadi di volontà personali. In forza di queste volontà molteplici, la natura si trova costantemente in lotta con se stessa. Alla base di questo frazionamento sta l'amor proprio. « L'amor proprio e l'intelligenza degli uomini, allontanandoci gli uni dagli altri e sofisticando sulla legge, hanno spezzato la natura una in molte parti. E, col loro venire nel mondo, hanno anche dato luogo a quell'insensibilità che ora domina la natura, e hanno armato la natura contro se stessa mediante la volontà personale... », mentre « [Dio] l'aveva fatta una con se stessa in tutti i sensi, aliena da lite e rivolta, pacifica, stretta a Dio e a se stessa mediante l'amore, in forza del quale avremmo aderito a Dio col desiderio e gli uni agli altri con il vicendevole affetto ».
Unico rimedio a tanto male, la carità. Ma questa carità, che è "via breve alla salvezza", è da viversi concretamente, da conquistarsi con il rinnegamento di sé e il distacco da ogni amore per il mondo n. Solo così, riscattati dalla bramosia del piacere e dalla paura del dolore, acquisteremo la libertà da noi stessi necessaria per amare veramente Dio e il prossimo.
Restare alla lettera della Scrittura non significa interpretarla più fedelmente, al contrario, significa paradossalmente eccitare le nostre passioni, soffocare lo Spirito con la carne e impedirsi il riconoscimento del Cristo: « Appena uno segue razionalmente la filosofia delle virtù, subito passa naturalmente all'interpretazione della Scrittura secondo lo Spirito. Rende culto a Dio nella pratica in novità di Spirito, mediante eccelse contemplazioni, non nella vecchiezza della lettera, secondo quel basso modo sensibile rivolto al corpo di ricevere la legge, per cui si nutrono le passioni, giudaizzando, e si diviene servi del peccato ».
Prima della venuta del Cristo esisteva un'ampia gamma di comandi che, sino a quel momento, per quella economia, andavano presi letteralmente e corporalmente: per esempio, la circoncisione, i sacrifici cruenti, la guerra santa. Il Dio vivente, infatti, si è realmente messo entro i limiti ristretti della storia umana, anzi della storia di un piccolissimo popolo seminomade. Ha preso l'uomo e ha preso il popolo eletto così com'era, accettandone la stessa carnalità, che già veniva in qualche modo riscattata e santificata in forza dell'ubbidienza di fede ai molteplici comandi di cui Dio circondava tutta la vita del popolo a lui consacrato. La lenta educazione che per secoli ha preparato un popolo — e attraverso quello l'umanità intera — esigeva determinate cose e ne ammetteva altre solo in quanto educazione, non come loro sviluppo definitivo.
La legge e i profeti, dunque, fino a Giovanni, come dirà il Cristo: dopo, col suo avvento, il regno di Dio è soggetto a violenza", all'impeto veemente di coloro che,oltrepassando lo spessore materiale della lettera, incontrano, nell'ardore dello Spirito, lo Spirito. E lo Spirito rivela Cristo, nel cui volto umano risplende perfetta la gloria del Padre: « Finché noi vediamo la parola di Dio nella lettera della sacra Scrittura, divenuta corpo in vari modi mediante gli enigmi, non abbiamo ancora contemplato spiritualmente il Padre in corpore o , semplice, eterno e uno, come egli è nell'incorporeo, semplice, eterno e unico Figlio, secondo la parola: Chi ha visto me ha visto il Padre (Gv. 14, 9), e: Io sono nel Padre e il Padre è in me (Gv. 14, 10) ». Ma non bisogna credere che questo significhi legittimare una vaga interpretazione misticheggiante della Scrittura: solo in forza di un solido progresso nelle vie dello Spirito è possibile possedere quella `scienza' tutta spirituale capace di farci contemplare « con nudo intelletto il puro Verbo ». In via normale, l'iniziazione alla vita spirituale parte dalla carne e noi entriamo in contatto prima di tutto con la lettera della Scrittura: la leggiamo con i nostri occhi di carne, ne ripetiamo le parole con le nostre labbra e ne assumiamo il senso al suo livello più esterno, più carnale. Con la crescita graduale nello Spirito santo, il nostro spirito acquista una più sottile e soprannaturale capacità di contemplazione delle realtà divine e, « affinando lo spessore dei termini », giungiamo attraverso la Parola al « puro Cristo », al Verbo di Dio incarnato che in essa si esprime: « ... progredendo dalla conoscenza del Verbo come carne, fino alla gloria di lui, come Unigenito dal Padre (cfr. Gv. 1, 14) ».
Divenuta così vecchia quanto alla lettera, anche l'antica legge resta, quanto allo Spirito, sempre giovane e operante. D'altronde una vera lettura dell'intera Scrittura è possibile solo ora, perché solo ora abbiamo in mano la chiave che apre la Scrittura: il Figlio di Dio incarnato. Vera e genuina interpretazione della Scrittura è quella che vien fatta a ritroso, per così dire: « La legge è la carne dell'uomo che secondo la sacra Scrittura è spirituale; percezione sensibile sono i profeti; il vangelo è l'anima intelligente che opera mediante la carne della legge e la percezione sensibile dei profeti, e mostra la propria potenza con le sue operazioni ».
Con l'avvento del Cristo si è determinata un'irrevocabile frattura nella storia e una felice alterazione cosmica, per la quale tutto ciò che esiste ora geme nelle doglie del parto, proteso verso la piena redenzione in lui. Pertanto, accostare le cose di Dio restando personalmente estranei all'evento che è il Cristo Dio, significa ormai negarsi ogni possibilità di comprensione. Se il pio israelita poteva, nell'attesa del Messia, comprendere con profondità le scritture almeno secondo il limite segnato dal procedere dell'educazione divina - basandosi su una fedeltà rigorosa alla lettera, ora fermarsi alla lettera sarebbe al contrario tradire il senso della Scrittura, svelato nel Cristo. E tuttavia, in ultima analisi, niente di più realmente `storico' e 'letterale' di questa lettura che sembra presentarsi come atemporale. Essa è infatti lettura della storia vera. Poiché storia vera non è quella che si manifesta nella serie degli eventi, ma il dispiegarsi nella storia di quell'evento unico che la domina e la trascende e che — in essa e al di là di essa — attua il disegno divino che riporta l'uomo, per Cristo, al Padre.
Infine, lo stesso Nuovo Testamento, per essere pienamente compreso, va inteso non solo come rivelazione del mistero già presente e operante della salvezza in Cristo, ma come educazione alla sua seconda venuta. La salvezza è in atto, non è conclusa, e così anche la conoscenza dei misteri divini che ci è trasmessa dal Nuovo Testamento resta parziale: vediamo come in uno specchio e in modo confuso. Sebbene il vangelo, a differenza della legge, possieda già la realtà stessa delle cose, anziché un'ombra soltanto dei beni futuri, ciò non significa che questi beni siano già dati e conosciuti al loro stadio perfetto. Il Nuovo Testamento si conclude con il grido finale dell'Apocalisse Vieni, Signore Gesù, e qui la rivelazione resta come sospesa, aperta sull'infinito del secolo futuro, che verrà inaugurato con la seconda venuta del Cristo. « Come le parole della legge e dei profeti, che erano precorritrici della venuta del Verbo nella carne, educavano le anime a Cristo, così lo stesso glorioso Verbo di Dio incarnato è divenuto precorritore della sua gloriosa venuta spirituale ed educa le anime, con le sue parole, ad accogliere la sua manifesta venuta divina, che egli sempre effettua facendo passare dalla carne allo spirito, mediante la virtù, quelli che ne sono degni, e che effettuerà alla fine di questo secolo, svelando manifestamente le cose finora ineffabili per tutti ».
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Angela Mammone il 17 giugno 2017 alle 21:49 ha scritto:
Bellissima raccolta,presto acquisterò l ultimo numero.
Prof. SIMONE MILIOZZI il 5 gennaio 2020 alle 23:23 ha scritto:
Un capolavoro. Da avere in casa, leggere e rileggere per imparare a pregare