INTRODUZIONE
PREMESSA
Nel presentare al pubblico italiano il primo volume di quella che sarà la traduzione integrale — come speriamo — della Filocalia greca, non ci proponiamo di fare una vera e propria introduzione che analizzi sotto i vari aspetti — testuali, teologici, storici — l'enorme materiale riunito da Nicodimo Aghiorita in questa raccolta. Riteniamo che una tale impresa non solo sarebbe molto ardua e in ogni caso prematura, ma significherebbe forse anche una certa pretesa di credere di sapere — e saper dire — già tutto di un libro al quale appena ci affacciamo e che ha in generale un sapore ancora troppo poco familiare al nostro palato spirituale e al nostro mondo intellettuale.
Vogliamo piuttosto fissarci sul nucleo centrale della raccolta e sul suo scopo, cercando di dare qualche linea per una collocazione sufficientemente esatta del libro entro il suo quadro storico e teologico.
BREVI CENNI STORICI
Nel 1782 viene pubblicata per la prima volta a Venezia, grazie al mecenatismo di Giovanni Mavrogordato, principe rumeno, la raccolta della Filocalia, alla quale hanno collaborato Nicodimo Aghiorita, monaco del Monte Athos (1749-1809), e il vescovo Macario di Corinto (1731-1805). Si trattava di un voluminoso in-folio di XVI-1207 pagine, divise in due colonne. Il suo nome riprendeva quello già dato da Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno a una loro raccolta di passi scelti di Origene.
La Filocalia è uno dei molti testi o raccolte di opere patristiche di cui si occupò Nicodimo , proprio per l'ansia di mettere nelle mani di tutti i grandi testi dei Padri. In modo particolare egli non si stancò di ricercare tutto quello che potesse servire a trasmettere a tutti la dottrina sulla preghiera continua e, mediante ciò, l'incentivo a praticarla. Il suo genio, ma soprattutto la sua grande anima cristiana formata alla scuola delle idee in ogni modo derivate dalla Scrittura e dalla tradizione, gli aveva fatto intuire come il respiro profondo della preghiera continua debba essere — al di là delle diverse forme che può assumere — l'espressione viva di una vita cristiana alimentata dai sacramenti e, insieme, mezzo potentissimo per l'unione divina. Una preghiera però che — come vedremo — nasce, progredisce e perviene alla sua pienezza solo mediante la costante applicazione alla sobrietà del cuore e dell'intelletto. « Sobrietà » è quello stato di continua vigilanza che mantiene l'anima in una specie di digiuno spirituale, non eccitata dai pensieri e dalle immaginazioni, che producono passioni e quindi distruggono la preghiera, e perciò corrompono la sanità trasmessa dai sacramenti e ostacolano la loro potenza deificante. Proprio per questo la raccolta di Nicodimo porterà il nome di Filocalia dei Padri niptici (= sobri).
La Filocalia conosce ora la sua quarta edizione greca con i cinque volumi apparsi presso Astir di Atene negli anni 1974-76: su questi si basa la nostra traduzione.
Un'opera che porta praticamente gli stessi testi e un titolo di uguale significato (Dobrotolubiye) trovò grande accoglienza presso le cristianità slave. Fu pubblicata in paleoslavo dallo staretz PaissyVelichkovsky nel 1793, e ristampata nel 1822. In realtà, per l'opera di Paissy non possiamo parlare di una traduzione della raccolta di Nicodimo. Infatti, mentre Macario e Nicodimo si occupavano dei testi che avrebbero riunito nella Filocalia greca, anche Paissy lavorava alla raccolta e traduzione sostanzialmente dei medesimi testi, collocandoli tuttavia in un ordine diverso da quello cronologico seguito da Nicodimo. Una volta pubblicata la Filocalia greca, Paissy continuò il suo lavoro, ed è ben probabile che lo abbia confrontato con la raccolta di Nicodimo. La coincidenza resta tuttavia singolare e certo provvidenziale. La Filocalia slava, che era destinata a promuovere la rinascita spirituale russa dell'800, fu così composta ricorrendo spontaneamente alle stesse fonti a cui si erano rivolti Macario e Nicodimo. Solo pochissimi testi presenti nel greco sono omessi nell'edizione slava. Il « Pellegrino russo » — ormai ben noto in Occidente — portava con sé una vecchia copia della Filocalia di Paissy.
Tra il 1876 e il 1889, il vescovo Teofane il Recluso pubblicherà una traduzione in russo che risulterà molto ampliata, occupando cinque volumi.
Nel nostro secolo esiste un vasto rifiorire di interesse per la Filocalia. Per esempio in Romania, grazie soprattutto alla traduzione completa di Dumitru Staniloae, in 8 volumi, terminata nel 1979. In Occidente sono attualmente in corso traduzioni che si propongono di essere integrali, in francese (Abbaye de Bellefontaine, Bégrolles) e in inglese (Faber and Faber, Londra), basate sul testo greco.
Già da tempo esistevano in lingue occidentali piccoli estratti della Filocalia, basati sia sul testo greco che sulla traduzione russa di Teofane: nelle edizioni Faber and Faber, le raccolte Writings from the Philokalia on Prayer of the Heart e Early Fathers from the Philokalia tradotte da E. Kadloubovsky e G. E. H. Palmer; nelle Ed. du Seuil, la Petite Philocalie de la prière du coeur, a cura di J. Gouillard; e ancora una Kleine Philokalie nelle Ed. Benzinger e, in italiano, una scelta dalla Filocalia per la LEF, a cura del P. Vannucci.
AMORE DEL BELLO
Filocalia significa « amore del bello » (o « del bene »), amore di quel Dio che è « principio creatore di ciò che è buono e bello, buono al di là del buono e bello al di là del bello », e di tutto ciò che conduce all'unione piena con questa infinita bellezza.
La raccolta costituiva, coi limiti del suo tempo, un lavoro scientifico. Chi lo rifacesse oggi, dovrebbe ovviamente procedere con metodi diversi. Ma il problema non è questo: dobbiamo piuttosto metterci di fronte a un testo che si presenta come un tutt'uno, un libro che vuole consegnare alle generazioni successive una grande esperienza spirituale, in una lunga catena di autori che vanno dal IV al xv secolo.
Nicodimo fa precedere il suo lavoro da un Prooemio (che abbiamo tradotto e annesso a questo I vol.), dove esprime egli stesso lo scopo del libro e il suo significato unitario. D'altronde non stenterà a intenderlo così chi forse già conosce la storia del « pellegrino russo » e ricorda il modo semplicissimo con cui la Filocalia gli è presentata dal vecchio staretz che gli insegna a pregare: un libro che parla di una cosa sola, presentata sotto aspetti diversi, talora quasi contraddittori, ma che testimonia la dinamica vitale di un cammino di preghiera e di santità che si snoda lungo i secoli e che viene offerto ad ogni generazione e ad ogni singolo 6.
Questo libro rappresenta anche un evento storico importantissimo per la vita cristiana. Dinanzi al contemporaneo sorgere dell'illuminismo, questo libro — che rapidamente si diffonde nel mondo ortodosso — segna infatti la scelta di tutta una Chiesa non solo al vertice, ma anche a livello di popolo nella sua vitalità cristiana. Una scelta nella linea della conferma che già la Chiesa d'Oriente aveva dato nel xiv secolo alle tesi di Gregorio Palamas.
Di questo dobbiamo quindi dire una parola.
UNA SCELTA
Gregorio Palamas: Dio si rivela e si comunica
Naturalmente non è questo il luogo in cui soffermarsi a parlare diffusamente della complessa e importantissima vicenda costituita da questa controversia. Essa oppose, nelle persone inparticolare di Gregorio Palamas e del monaco calabrese Barlaam, una visione della vita cristiana ancorata alla rivelazione e alla tradizione — massimamente viventi nella esperienza mistica del cristiano — e una visione intellettualistica che si fonda su dati più filosofici che cristiani. Qui ne diremo solo qualche parola necessaria al nostro discorso.
Nel 1330 giunge a Costantinopoli un monaco calabrese, il filosofo Barlaam. Imbevuto dello spirito degli ambienti umanistici conosciuti in Italia, dove il rinascimento era ai suoi albori, questo monaco ortodosso cercava in Grecia le fonti della spiritualità e del pensiero della sua Chiesa. Era attirato in particolare dalle correnti apofatiche della teologia orientale, le quali — in ultima analisi conducevano all'affermazione della inconoscibilità di Dio. Le conseguenze a cui giunse Barlaam, in forza dell'ottica filosofica che gli era propria, disancorata dalla coscienza vitale del quadro biblico di un Dio che si rivela, furono tali da suscitare l'allarme di molti, dei quali si fece portavoce Gregorio Palamas, monaco del Monte Athos.
Palamas risponde a più riprese che il Dio inconoscibile si è rivelato nel Cristo e in lui ha donato agli uomini la possibilità di conoscerlo. Non si tratta di una conoscenza del semplice intelletto, in quanto lo oltrepassa, ma di realissima conoscenza e comunione con Dio.
Barlaam, nell'intento di rendersi conto dell'ambiente da cui gli proveniva la contestazione, accostò per qualche tempo i monaci greci e venne così a conoscenza della spiritualità esicasta che nel sec. XIV era fortemente incentrata — fin quasi a identificarvisi — nella pratica della « preghiera di Gesù ». Si trattava perciò di una spiritualità nella quale l'ascesi era orientata alla conoscenza mistica, poiché la preghiera di Gesù era considerata il mezzo più efficace per attualizzare la potenza dei sacramenti e scoprire nel profondo del cuore l'operazione della grazia battesimale, la stessa luce divina. Questo tipo di spiritualità è in realtà soltanto la punta più rappresentativa di quelle linee di movimento proprie della più pura tradizione patristica ed ecclesiale dell'Oriente cristiano, che dall'alimento della Parola e dalla vita sacramentale inevitabilmente si aspettavano il frutto di una comunione con Dio pienamente attualizzata. Per questo — come vedremo più avanti — nella controversia Barlaam Palamas la Chiesa d'Oriente ha individuato il punto decisivo per la continuazione o il rinnovamento della sua tradizione.
Barlaam dunque, a contatto con gli esicasti, venne a conoscenza anche di alcune « tecniche psicofisiche » (controllo del respiro, fissazione dello sguardo, concentrazione mentale, ecc.) con le quali in certi ambienti era praticata la preghiera di Gesù. Probabilmente ne conobbe pure eccessi e grossolanità, forse anche deviazioni, e identificò la sostanza con questi aspetti. In ogni caso il suo spirito razionalista reagì con violenza di fronte a certe « pretese » di conoscenza di Dio, e scatenò così un'aspra controversia, accusando questi uomini di ritenere — secondo l'eresia messaliana — di poter percepire il Dio inconoscibile mediante i loro sensi.
Attraverso scritti e discorsi la controversia divenne acutissima, condensandosi intorno al punto centrale: se realmente noi possiamo conoscere Dio, comunicare con lui e ricevere la sua operazione efficace e deificante. Evidentemente il problema metteva in gioco tutti i dati fondamentali della fede cristiana fondata sulla rivelazione e incarnazione: mentre si pretendeva, da parte di Barlaam e dei suoi, di poter ancora trovare questa fede calata in un sistema di pensiero che si muoveva prescindendo sempre di più dalla Parola e dalla grande tradizione della Chiesa.
Alle tesi di Barlaam, Palamas oppose le sue Triadi per la difesa dei santi esicasti. Nel 1340-41 tutti gli igumeni del Monte Athos firmarono il cosiddetto Torno Aghioritico, dove Palamas ribadiva le maggiori affermazioni contenute nelle Triadi, proclamando che ogni cristiano ottiene, in forza delle primizie dello Spirito ricevute nel battesimo, la conoscenza di Dio e la comunione reale con lui. Grazie ad esse, egli vive e comunica sin d'ora con la vita futura, ed è reso capace di pervenire all'unione mistica con Dio, a una trasfigurante conoscenza sovrarazionale di lui. E questa comunione deificante è per tutto il suo essere, anima e corpo insieme, perché — conforme all'antropologia biblica — tutto l'uomo è decaduto, non meno la parte spirituale di quella corporale, ed è destinato, tutto, ad essere riplasmato e deificato nel Cristo. Non è dunque un'empia pretesa dei « santi esicasti » quella di vedere la luce divina in fondo ai loro cuori, perché dal momento dell'incarnazione del Cristo e della nostra incorporazione in lui col battesimo, i nostri stessi corpi sono divenuti tempio dello Spirito. La luce del Tabor che brillò un giorno, esteriormente ai discepoli, nel corpo del Cristo, brilla ora nell'intimo del nostro essere 16.
Dio non è il Dio dei filosofi, ma il Dio che si rivela e che conversa con gli uomini nella nostra carne. Si rivela a quella capacità di conoscenza sovrarazionale concessa all'uomo che è in Cristo. Ma l'uomo non può dirsi realmente tale se non in Cristo. La ragion d'essere dell'uomo, il suo costituirsi in quanto uomo, non è da ricercarsi all'interno di una sua realtà « umana » da lui stesso razionalizzata, ma nella logica del suo radicarsi nell'Uomo-Cristo. In questa logica è essenziale il movimento verso la trasfigurazione deificante del suo essere, anima e corpo. Non esistono potenzialità umane a sé stanti: tutte sgorgano dall'unica sorgente e sono ordinate all'unico fine del Cristo. In lui dunque si realizza quello che dall'inizio fu il consiglio divino 18 e in lui è dato di giungere all'uomo perfetto '9.
La Chiesa d'Oriente del '300, dopo una serie di concili e di battaglie, confermò ufficialmente la dottrina di Palamas nel concilio del luglio 1351.
Così, essa sceglieva in modo netto la via di un'antropologia cristiana integrale in opposizione al razionalismo umanista del Rinascimento iniziante. Quest'ultimo preparava di fatto la dissociazione dell'uomo, proprio mentre credeva di costituirlo nella sua libertà e verità, attribuendogli tutto un ambito di sviluppo autonomo fondato su doti e virtù proprie. Esso veniva invece a spezzare l'unità dell'uomo, quale egli è nel disegno divino e quale le Scritture ce lo rivelano. Veniva a deviarlo dal suo fine, giungendo nelle sue esplicitazioni estreme alla vanificazione della Persona del Cristo, fonte deificante e termine beato di ogni uomo e dell'umanità insieme: « A lui guardava fin dall'inizio... la creazione del mondo,... e fin dall'inizio l'uomo fu formato in ordine a lui,... per potere un giorno portare in sé l'archetipo ».
Nicodimo Aghiorita e la rinascita spirituale del '700
Dopo una lunga e difficile fase sotto il dominio turco, una grande rinascita parte dal Monte Athos con Nicodimo Aghiorita e tutta la sua opera, in particolare la Filocalia.
Il cristianesimo si trova ora di fronte a una nuova proposta atta a farlo potentemente deviare: l'illuminismo. La posizione cristiana, in seno all'ortodossia, è espressa — sia pure con un confronto non altrettanto consapevole quanto lo fu la polemica palamita — da Nicodimo Aghiorita.
Nicodimo è un uomo colto, capace di grande larghezza di vedute: lo vediamo per esempio attingere anche a quanto della spiritualità occidentale può venire in sua conoscenza e inserire ciò che ritiene valido nella sua vastissima attività di raccoglitore e traduttore di testi. Molto bene dice di lui L. Bouyer: « Se c'è un'opera che riduce al niente, con la sua sola esistenza, le sistematiche opposizioni che si sono volute talvolta frapporre tra Oriente e Occidente (fossero esse causate dai Latini incomprensivi o dagli Orientali esasperati da questa incomprensione, ma senza accorgersi di restarne le vittime) è proprio l'opera di Nicodimo ».
Ma soprattutto, come già abbiamo accennato, Nícodimo cercò di scavar fuori dalla polvere in cui erano sepolti — come egli stesso lamenta nel suo Prooemio — i testi fondamentali della tradizione spirituale cristiana relativi alla preghiera continua e alla sobrietà, temi su cui è incentrata in particolare la Filocalia.
C'è un altro aspetto importante dell'attività di Nicodimo che va ricordato: egli fu un grande promotore della comunione frequente. Il che gli valse difficoltà e pene, ma il suo zelo non rimase senza frutto per tutta la sua Chiesa, dato che nel 1819 il Sinodo di Costantinopoli approvò infine la comunione dei fedeli ad ogni Liturgia cui partecipassero, e sollecitò la comunione domenicale.
Questo lo abbiamo voluto ricordare perché dà una chiave molto sicura di quello che egli intende nel presentare la raccolta della Filocalia. Come si esprime nel Prooemio, questi testi che vanno dal IV al xv secolo sono incentrati sulla ricerca della « perfetta grazia dello Spirito che è stata donata sin dal principio nel battesimo » ricerca compiuta tramite la continua preghiera nella sobrietà dell'intelletto e del cuore. Di tale preghiera continua Nicodimo si fa dunque in tutti i modi promotore, raccogliendo e pubblicando tutto quanto possa costituire un incentivo alla « santa sobrietà » nella quale vive questa preghiera che trasfigura.
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Annibale Sampaolo il 30 settembre 2008 alle 19:15 ha scritto:
Se desideri approfondire la tua preghiera tanto da poterti sentire più unito a Dio, questo è il libro che fa per te, è inutile dirti che mi ha aiutato anche a cambiare il modo di meditare la Bibbia. Non capisco perchè in parrocchia non si venga mai a conoscenza di testi così importanti, che dopo la Bibbia dovrebbero essere alla base della vita di Fede. Non so spiegarti quanto sia bello e importante in così poche parole posso solo dirti che ho già ordinato altri due libri della stessa collana il 2 e il 3, e mi auguro che chi leggerà questa recenzione non starà a pensare se acquistarlo oppure no perchè la spesa non è sicuramente paragonabile a quello che guadagnerà nel leggerlo.
federico baronchelli il 22 aprile 2013 alle 12:09 ha scritto:
stupendo, essenziale da leggere e meditare per tutta una vita
ILARIA ROSSI il 27 agosto 2017 alle 18:27 ha scritto:
Bello
Giovanni Basile il 23 giugno 2019 alle 19:19 ha scritto:
Opera monumentale di grande valore storico e spirituale. I commenti entusiastici, precedenti al mio, sono giustificati. Ho acquistato tutti e quattro i volumi e, dopo aver letto soltanto il primo volume, dico che ne è valsa la pena.
Si entra in un'altra dimensione nella quale questi maestri hanno ancora tanto da insegnare, soprattutto a leggere e interpretare le sacre scritture con occhi e spirito nuovi.
Provate a comprare un solo volume, magari il primo: non rimarrete delusi.
Angela Mammone il 8 luglio 2019 alle 10:09 ha scritto:
Piccolo tesoro da collezionare
Désirée Doratiotto il 11 aprile 2020 alle 08:16 ha scritto:
Molto bello per approfondire le origini del pensiero cristiano
Dott. Giosuè Romano il 8 giugno 2020 alle 18:52 ha scritto:
Rappresenta con gli altri tre volumi il meglio della spiritualità orientale.