Fare teologia nella tradizione
(Forum ATI) [Libro in brossura]EAN 9788871053479
Il volume raccoglie gli atti del XXIII Congresso nazionale dell’ATI (Seveso, 2-6 settembre 2013) che aveva lo stesso titolo. Non si tratta solo di una riflessione sulla tradizione, ma sul fare teologia nella tradizione, in un’epoca in cui la crisi della modernità utopista e disprezzatrice del passato non sta significando nel postmoderno una ripresa del senso e del valore della tradizione: essa sembra sussistere con vigore sotto forma di tradizioni da riscoprire e valorizzare, senza però che abbia alcun valore normativo per la vita concreta delle persone. Tra i diversi e validi interventi mi limiterò a presentarne più analiticamente solo alcuni.
Il testo è aperto dal contributo di S. Noceti, Teologia e tradizione. Questioni aperte (3-15); seguono poi tre interventi a carattere più riflessivo-speculativo sulla realtà della tradizione e i legami necessari con l’evento fondatore e la storia. Il saggio di M. Nardello, Il contesto in cui si pone il problema della Tradizione (17-38) rappresenta una riflessione per mettere a fuoco le ragioni che rendono complesso e problematico il tema della traditio fidei per l’attuale contesto culturale e la riflessione teologica. L’autore constata una certa debolezza della teologia della traditio fidei dopo il Vaticano II, ragion per cui occorre ripartire mettendo a tema una questione decisiva: il rapporto tra rivelazione, fede e storia. Per fare ciò egli presenta anzitutto la posizione di Congar mostrandone le ambiguità e i rischi; nel teologo domenicano si assiste, infatti, ad una ipervalorizzazione del magistero conseguente all’opzione più originaria, cioè la considerazione della storia solo nella sua inevitabile ambiguità che ne fa quasi un male necessario da cui la chiesa deve difendersi e non ciò che rende possibile la rivelazione e la sua accoglienza nella fede. Le suggestioni contestuali che l’autore riprende da Ch. Taylor evidenziano la necessità di parlare della fede cristiana nei termini non di un deposito di origine divina, che una forma di autorità quale il magistero deve tutelare, ma di una realtà che intanto è credibile in quanto è capace di favorire una vita felice e di umanizzare l’esistenza. Pertanto la profonda diversità dei contesti rende urgente sia un’interpretazione teologica della storia, che la intenda come forma della rivelazione e della sua accoglienza, sia una rielaborazione teoretica della traditio fidei nell’orizzonte più ampio del rapporto rivelazione, fede, storia.
Segue il contributo di A. Cozzi (39-84) che riflette sul principio cristologico e pneumatico della tradizione. Dopo aver presentato alcune forme di disagio contemporaneo che nascono dal sospetto che la tradizione abbia tradito l’originario e che l’esperienza attuale della realtà non abbia nulla da imparare dalla tradizione (le posizioni di Ch. Théobald e Ch. Yannaras), l’autore ripercorre tre istanze propositive riguardanti la realtà trasmessa dalla tradizione: l’istanza Blondel nell’ambito della crisi modernista, l’istanza Congar nel contesto dei dibattiti attorno al Vaticano II, l’istanza Colombo nel contesto della questione del metodo teologico. Un punto di armonizzazione e rilettura della dinamica della tradizione è individuato nell’idea presente in R. Schaeffler della Chiesa come “comunità di comunicazione” di un’esperienza religiosa. Si incontrano infine ampie riflessioni sul principio cristologico e pneumatologico della tradizione.
G. Ruggieri nel suo testo mette a tema il rapporto tra tradizione, storia e teologia. Dal suo punto di vista oggi resta teologicamente da precisare il rapporto «fra tradizione e storia, non soltanto nella costitutiva dimensione della storicità implicita nella concezione della tradizione viva, opera dello Spirito nella chiesa […] ma soprattutto come rapporto tra tradizione e storia nella dimensione critica di questa, come storia criticamente conosciuta» (89-90). Storia e tradizione si autoimplicano necessariamente perché l’evento salvifico fondatore nel cristianesimo si dà una volta per tutte nella storia e perché tale evento può essere fatto proprio dal soggetto che lo riceve e lo accoglie solo attraverso un processo di tradizione. La questione viene poi sviluppata ripercorrendo la discussione teologica dalla fine dell’Ottocento a oggi. Emerge, grazie soprattutto alla third quest, l’eccedenza di Gesù rispetto ad ogni tradizione ecclesiale della fede e, allo stesso tempo, il problema della storia dei soggetti umani che accolgono il Vangelo che viene loro tramandato. Ruggieri riprende a tale proposito la categoria di “segni dei tempi” evidenziandone la ricchezza ma anche il limite, qualora non la si collochi in un’ermeneutica della storia sotto il segno della speranza messianica.
Seguono poi tre contributi a carattere storico, G. Jossa (Il passaggio dall’epoca apostolica all’epoca post-apostolica), L. Casula (Il caso Nicea. La teologia nicena e la tradizione) e, infine, l’ampio saggio di A. Maffeis (Il Concilio di Trento tra tradizione e modernità).
C. Ciancio riflette su verità e storia in un momento storico in cui il rapporto fra queste due parole non interessa più per il ridotto interesse sia verso la verità come senso della totalità, sia verso la storia come totalità dotata di senso. La mediazione tra verità e storia storicamente si è data in tre modelli: la storia quale luogo (piuttosto irrilevante) di possibile e imperfetta manifestazione dell’eterno (cf.Aristotele); l’eterno che manifestandosi nella storia imprime ad essa la sua impronta (Vico su tutti ma anche l’idealismo di Schelling ed Hegel, Marx e Bloch); infine l’eterno nella storia come reale presenza ma non coerente con la storia stessa e perciò paradossale (Kierkegaard e Benjamin). Questi modelli sono diversamente insoddisfacenti e il superamento dei loro limiti può avvenire ridefinendo «l’essere originario stesso per renderlo effettivamente compatibile con la storicità, il che significa pensare la storia come possibilità di incremento o decremento ontologico» (213). Questo presuppone e salvaguarda che l’originario sia libertà e che ciò che proviene da tale libertà costituisca una modificazione ontologica dello stesso originario. Inoltre tale prospettiva permette di sostituire al concetto di eterno quello di indefettibilità che fonda l’irrevocabilità della decisione originaria di Dio (il suo decidersi per l’essere) e l’inesauribilità storica delle configurazioni originarie della verità.
Seguono tre interventi, quello di G. Canobbio, Come si fa teologia nella tradizione. I soggetti, l’autorità e le autorità (221-262), quello testimonianza di G. Gutierrez, Fare teologia nella tradizione in America Latina (263-272) e infine il testo di G. Routhier, La Chiesa “soggetto” di tradizione. Riflessioni a partire dal concilio Vaticano II (273-296). Il volume si conclude con uno sguardo retrospettivo sul percorso dell’ATI attraverso gli ultimi tre congressi a firma del presidente R. Repole.
Tratto dalla rivista Lateranum n.3/2015
(http://www.pul.it)
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