Maschio e femmina li creò
(Disputatio) [Libro in brossura]EAN 9788871052533
In tempi di rapide e profonde trasformazioni, come sono quelli attuali, vengono messe in discussione quelle elementari evidenze che per secoli sono state la grammatica dei discorsi sull’umano. La Chiesa ha colto questa sfida da una parte aprendo la pagina del progetto culturale per una riflessione capace di comprendere e approfondire queste trasformazioni, dall’altra, soprattutto negli ultimi anni, è intervenuta nel dibattito pubblico difendendo quei «valori non negoziabili» che non possono diventare oggetto di voti e di maggioranze politiche perché ritenuti parte di quel diritto naturale su cui si fonda il diritto positivo. Maschio e femmina, o meglio ancora il maschile e il femminile nella loro somiglianza e differenza, sono uno di questi temi e la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale lo ha messo al centro del suo annuale Convegno (26-27 febbraio 2008) i cui atti sono contenuti in questo ricco volume.
Il tema sembrerebbe di competenza delle scienze umane che lo hanno svolto nelle sue categorie sociologiche e psicologiche rischiando spesso – afferma Angelini nell’introduzione – affermazioni cervellotiche e anche luoghi comuni. È stato un nodo centrale del movimento femminista che dopo aver cercato, senza riuscirvi, di confinarlo nella sfera privata lo vuole far evaporare nella generica teoria del gender che toglie alla differenza maschio-femmina il riferimento al dato della sessualità per considerarlo un transeunte fenomeno culturale sempre plasmabile rispetto a presunti codici normativi di riferimento. E così si pone la questione, anch’essa di fondo e centrale nel volume, del rapporto tra natura e cultura e sorgono due domande: se l’atto del significare sia un atto creativo del singolo o qualcosa che lo precede, e se la cultura si riferisca a un’originaria verità dell’umano oppure sia solo finzione. Su questo orizzonte si apre la questione trattata dal volume: «La differenza tra maschio e femmina – afferma Angelini – soprattutto la loro alleanza, hanno un rilievo originario per rapporto al dischiudersi di tutti i significati del vivere» (p. 12).
Carente o almeno alle prime armi sembra l’elaborazione teologica della questione che si è sviluppata soprattutto seguendo la strada del personalismo e dell’esegesi biblica. Proprio a questi due percorsi, che sono nati e cresciuti insieme, sono dedicati i primi due contributi. Sono ben conosciuti gli appunti critici che la scuola milanese ha sempre fatto all’approccio personalista colpevole di nutrire di più una certa retorica piuttosto che fondare solide teorie. In questo caso se il personalismo ha contribuito a superare l’individualismo illuminista, si è tuttavia mosso in una generica narrazione della reciprocità tra l’io e il tu senza entrare nella specifica relazione uomo-donna. Nel suo intervento dal titolo «Maschio e femmina» e reciprocità personale: la prospettiva personalista, Maurizio Chiodi afferma: «Ricercare il tema della differenza tra uomo e donna nella storia del personalismo significa cercare la storia di un’assenza» (p. 53) perché il personalismo è ancora troppo metafisico e poco attento al dato fenomenologico. Così si trova a vacillare tra una definizione del soggetto che precede l’incontro con l’altro (le filosofie dell’io) e una relazione che arriva a rendere l’io ostaggio del tu (le filosofie dell’alterità). Se avesse tematizzato l’esperienza sessuale della relazione tra le persone avrebbe evitato questi estremi e colto una dialogicità asimmetrica e una circolarità tra uguaglianza e differenza (pp. 84-85).
Cosa questa che ha cercato di fare Giovanni Paolo II il cui pensiero Livio Melina descrive nel suo contributo (Il corpo nuziale e la sua vocazione all’amore) contrapposto alle tesi sulla «relazione pura» di Antony Giddens. La trasformazione dell’intimità, avvenuta nell’epoca tardo moderna, figlia dell’individualismo e della rivoluzione sessuale, ha prodotto una relazione certamente paritaria e gratificante ma poiché è sganciata da ogni riferimento oggettivo e totalmente plasmabile dai soggetti, alla fine risulta individualista, autoreferenziale, esteriore e senza storia. Giovanni Paolo II nelle sue catechesi sull’amore umano torna al principio che non è solo il dato rivelato ma anche l’esperienza originaria dell’uomo che l’approccio fenomenologico riesce a cogliere per arrivare a pensare la differenza sessuale all’interno dell’originale chiamata all’amore inscritta nel corpo la cui «profezia»va ascoltata nella polarità di un senso oggettivo dato e di un senso plasmabile dal sog-getto.
Accanto al personalismo, e in dialogo con esso, troviamo l’approccio biblico che ci porta «al principio» dell’esperienza umana e al dato rivelato. Questo aspetto viene sviluppato dai contributi di Patrizio Rota Scalabrini (Da principio fu così… Antropologia e teologia della coppia in Genesi) e di Gianantonio Borgonovo (Monogamia e monoteismo. Alla radice del simbolo dell’amore sponsale nella tradizione dello jahvismo). Da un esegesi ricca, puntuale e aggiornata dei racconti di Gen 1-3, Rota Scalabrini trae alcune tesi sintetiche: 1) pur nell’ambivalenza di una relazione descritta nel suo carattere di bene ma anche di dramma, la Genesi cerca un modello universale e insuperabile capace di consegnarci la verità e il senso del progetto creatore di Dio; 2) l’imago Dei non va ricercata in aspetti specifici ma in quella totalità dell’umano, come suggeriva Barth, nella quale è inscritta la vocazione all’essere uomo-donna che emerge nella polarità di natura e cultura; 3) la relazione uomo-donna e la chiamata a diventare una carne sola rinvia al contesto dell’alleanza con i suoi elementi di reciprocità, promessa, legge e alla mediazione del corpo, segno di un’unione mai terminata con colei che è donata come aiuto omologo.
L’analisi che Borgonovo fa del Cantico è affascinante e ricchissima anche se il suo contributo di ben 80 pagine vuole dimostrare il rapporto tra monogamia e monoteismo più che esplicitare lo specifico della relazione uomo-donna. Un contributo che ci sembra più adatto a un volume sul matrimonio visto che i temi della sessualità e del rapporto maschio-femmina li dobbiamo cercare soprattutto nel ricchissimo apparato di note. L’opzione di Borgonovo è quella di leggere il Cantico come un «dramma» simile alle moderne operette liriche e di interpretarlo come «manifesto simbolico» del monoteismo e della monogamia che ha accompagnato come memoria fondatrice la storia di Israele e che quindi non poteva non far parte della Scrittura del popolo eletto (p. 227).
Dal personalismo alla Scrittura fino alle svolte della nostra cultura, tema affidato a Juan José Péres-Soba (L’epopea moderna dell’amore romantico) che nel suo intervento analizza il paradigma romantico, figlio di quel pensiero illuminista che pretendeva di dominare razionalmente ogni campo della vita umana ma che aveva dimenticato che gli affetti seguono logiche diverse. E così il romanticismo cade nell’estremo opposto di esaltare il sentimento e gli affetti ma sempre dentro il paradigma dell’autonomia soggettiva elaborato dall’illuminismo. I suoi frutti, a livello morale, saranno da una parte il puritanesimo, che riesce a far convivere razionalità pubblica e libertinismo privato, dall’altra la trasgressione legata al fascino e coinvolgimento dell’esperienza affettiva e sessuale (p. 241). Péres-Soba, sulla scia delle opere classiche di De Rougemont e Lewis approfondisce il legame tra romanticismo e amore cortese mostrandone anche la profonda diversità: se l’amore platonico medievale faceva fatica ad accettare il corpo, quello romantico vi si trova invece a proprio agio; e se nell’amore cortese l’esclusione del matrimonio era legata al desiderio di evadere dalla vita reale, in quello romantico è legata al primato dell’intimità e del privato sul pubblico e sull’istituzionale. Possiamo dire che col romanticismo diventa realtà ciò che nell’amore cortese era solo sogno e anelito. Ma Péres-Soba non si limita all’analisi ma arriva ad un’ipotesi precisa che ha i tratti di un bivio e di una decisione da prendere: lasciarsi condurre dalla corrente dell’amore romantico oppure risalire alla sua sorgente per indagare la verità dell’amore? Il romanticismo ha imboccato la prima strada e oggi ne vediamo tutte le ambivalenze: da una parte la netta impressione che si ami l’amore più che l’amato, dall’altra l’incapacità di far maturare l’amore in una storia d’amore. Chiaro il suggerimento di percorrere la strada inversa che porta alla sorgente dell’amore dove, senza negare la riscoperta del pathos, si può incontrare il Dio che è amore e non l’amore elevato a divinità (p. 259).
L’ultimo contributo, che chiude il volume, è quello di Angelini che mette a tema la questione attuale del gender che da parte di molte correnti dell’ultimo femminismo dovrebbe sostituire la classica teoria della differenza sessuale. Più che di un cambio di paradigma Angelini parla di un i-stanza ideologica che poggia su fondamenti retorici che non meritano l’attenzione che gli viene data. Dietro alla teoria del gender ci sta la pretesa di elaborare un’identità libera da ogni riferimento al dato sessuale ma fondata sulla cultura e sulle scelte delle persone, soprattutto di coloro che si trovano nella condizione omosessuale o transessuale per le quali viene elaborata questa teoria. E così dopo il femminismo dell’uguaglianza (Simon de Beauvoir) e quello della differenza (Luce Irigaray), ecco arrivare il femminismo che lega la liberazione della donna a quella di gay e lesbiche attraverso il superamento del paradigma eterosessuale e, con esso, di ogni codice sociale preconfezionato.
Angelini sembra dare poco peso alla teoria del gender mentre è più preoccupato della debolezza del pensiero teologico che – afferma – continua a enunciare teorie nominalmente chiare ma immunizzate dal confronto con la cultura con cui si confronta solo quando emergono queste fughe ideologiche e non nel quotidiano ascolto dei vissuti psicologici e dei mutamenti culturali (p. 270). Torna così il tema centrale, che accompagna tutto il volume, della cultura. Era emerso nell’analisi biblica di Rota Scalabrini in riferimento al linguaggio che fa da sfondo all’incontro tra Adamo ed Eva (p. 134); era emerso nell’intervento di Melina (la cultura come una prima interpretazione della natura; p. 113). Angelini critica un pensiero teologico che procede per deduzione da una presunta verità naturale e invita a percorrere una strada diversa: «L’uomo viene a coscienza di sé soltanto attraverso la mediazione della cultura; più precisamente, quella mediazione istruisce il rimando alla verità trascendente, per rapporto alla quale soltanto egli può trovare la propria identità» (p. 271). Possiamo allora capire cosa ci sia dietro la teoria del gender: da una parte il problematico rapporto tra la tradizione sociale e morale e la coscienza del singolo (rapporto che la modernità ha risolto con l’immunuitas del soggetto dalle attese della società); dall’altra la negazione di ogni valore di verità alla cultura come se essa fosse totalmente plasmabile dai soggetti (p. 296). Angelini auspica che si possa accedere alle questioni che la morale cattolica pone sotto l’egida della legge naturale non attraverso una ragione senza tempo, senza memoria e senza cultura, ma nel rapporto dialettico di natura e cultura. L’identità del rapporto uomo-donna non si può definire a monte rispetto a questa dialettica (p. 30).
La questione del maschile e del femminile continua ad essere oggetto di una bibliografia molto ampia dove l’approccio sociologico, psicologico e pedagogico la fanno da padroni. Se c’è il rischio di affermazioni cervellotiche o di considerazioni scontate, come afferma Angelini (p. 8), dobbiamo riconoscere che le scienze umane sono state e sono ancora un sito accogliente per questi temi, attente al vissuto delle persone e all’evento dell’incontro uomo-donna. Ci sembra che il loro discorso meriti comunque di essere ascoltato anche perché è stato sempre portatore di molte provocazioni per la teologia e soprattutto per la teologia morale. È vero che questo approccio rimane descrittivo e spesso le scienze umane hanno travalicato i confini della loro competenza ma l’ascolto e il discernimento delle loro ricerche, nel rispetto della loro identità epistemologica, rimane un passaggio ineludibile. Filosofia e teologia sono chiamate a fare la loro parte non limitandosi ad una teologia dei testi biblici né a decantare le acquisizioni delle diverse correnti personaliste ma compiendo ulteriori passaggi teorici.
La critica al personalismo emerge sia nella relazione di Chiodi, come abbiamo visto, sia in quella di Melina che gli rimprovera di non aver saputo integrare al suo interno l’elemento oggettivo del bene e aver ridotto l’interpersonalità all’intersoggettività (p. 106), cioè di aver teorizzato la centralità dell’incontro e della comunicazione ma senza avergli dato dei contenuti. Dobbiamo ricordare che il personalismo nasce in un contesto preciso come risposta alle ideologie. In quel contesto il tema della persona e della sua dignità non poteva non avere una centralità previa ai discorsi sulla relazione uomo-donna. Oggi una sensibilità personalista può aprire pagine nuove sviluppando i suoi presupposti e anche correggendoli proprio nel confronto con questo tema. Del personalismo vanno ricordati anche i meriti come quello di aver provocato il superamento della rigida teoria dei fini del matrimonio, aspetto che Chiodi mette comunque in evidenza (71-73). Ma dobbiamo anche dire che il Magistero e a volte anche la teologia non fa sempre un buon uso dell’approccio personalista che viene decantato in sede di presupposti antropologici per essere poi dimenticato nelle conclusioni normative con dei salti argomentativi che uno sguardo attento ricono-sce con facilità.
Il convegno di Milano non ha dato direttamente la parola alle scienze umane mentre l’ha data al personalismo, per evidenziarne i limiti, e all’esegesi biblica, per sottolinearne le conquiste. Per quanto riguarda la teologia si è limitato a evidenziarne le carenze ma senza andare oltre. Ci sembra comunque che il pregio del convegno sia da cercare altrove e cioè nella strada originale che è stata percorsa. Al centro è stato messo il confronto tra la natura e la cultura e la consapevolezza che l’elemento naturale si dà sempre sotto forma di paradigmi culturali. Il convegno non è entrato nei meandri delle differenze e delle somiglianze tra il maschile e il femminile ma ha voluto offrire al lettore la storia di questi paradigmi come riflessione previa al tema. Questa storia ci ha consegnato al tempo della filosofia classica un approccio politico al rapporto uomo-donna; ad esso si aggancia anche l’approccio del primo cristianesimo che, anche per altri motivi, rimane comunque invischiato nella funzione sociale della procreazione. La modernità e post-modernità ci chiede, invece, di confrontarci col paradigma personalista, con quello biblico e soprattutto con quello uscito dal romanticismo con cui ancora facciamo i conti oggi. La teoria del gender è emblematica a questo riguardo e ci deve far riflettere: pensiero femminista e pensiero cattolico rischiano di percorrere la medesima strada «ideologica» perché entrambi non mettono a tema il rapporto tra natura e cultura. Se la teoria del gender esaspera l’elemento culturale senza riuscire a cogliere aspetti di oggettività, l’approccio cattolico rischia di esasperare l’elemento naturale come se esso si desse in modo astratto e previo ad ogni elemento culturale.
Merita, infine, di essere sottolineato il tentativo che fa Livio Melina di dialogare con la scuola milanese di cui mostra di avere ben presenti le tesi: la critica al personalismo (p. 196), i limiti dell’antropologia delle facoltà superabili con una considerazione dell’atto nella sua unità dinamica (p. 107), la circolarità di azione e coscienza per superare un estremismo soggettivista o oggettivista (p. 111), il rapporto tra natura e cultura. Credo che questo tentativo sia un segno importante, anche se Angelini lo ritiene ancora acerbo visto che definisce l’approccio di Giovanni Paolo II, presentato da Melina, «pertinente nelle linee generali ma proposto in termini poco elaborati sotto il profilo propriamente teorico» (p. 19). Se le cose stanno così il dialogo e il confronto tra approcci teologici diversi diventa importante e potrebbe essere anche fecondo di risultati.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2009, nr. 1
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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