Libertà e compimento. Saggio di filosofia della religione
(Quodlibet) [Libro in brossura]EAN 9788871052526
La citazione iniziale di von Balthasar, «La religione regna laddove l’uomo sa che in definitiva deve ringraziare per la sua esistenza», illumina il contenuto proprio della religione rispetto alla fede. Il dato religioso non è infatti racchiudibile in una semplice opzione esistenziale esposta all’irrazionale e al soggettivo, non in grado di legittimarsi in termini razionalmente rigorosi. Nell’esperienza religiosa vi è l’audacia della libertà che è consapevole di essere «data», cioè di essere legata a un buon fondamento. Essa è la forma pratica di apprezzamento del senso ultimo del mondo che l’uomo scopre come sua identità profonda, determinata da un’origine e da un destino che non sono di questo mondo. Testo di studio.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 18
(http://www.ilregno.it)
Nella modernità, il diritto di cittadinanza dei sistemi era un fatto scontato. Quello della riflessione sulla religione, era contestato in una certa sua impostazione, sì, ma non epistemologicamente delegittimato. Si veda ad esempio tutta la fascia dell’hegelismo e della sinistra hegeliana da Marx a Feuerbach, con la paternità dell’ateismo contemporaneo in nome dell’assoluta immanenza dell’essere. La delegittimazione invece fu tentata dalle correnti del neo-positivismo e analisi linguistica dalla linea fiscalista e sintatticista, ove il senso delle proposizioni viene fatto dipendere dal criterio della sottoponibilità allo screening delle scienze empiriche, sulla base del principio che ciò che non è sperimentabile è da tacere perché deprivato di senso. Sotto il maglio di questa visione, che quasi precorreva il filone del postmoderno, caratterizzato dal nihilismo odierno, preconizzato peraltro dalla previsione nietzscheana, si intendeva far crollare come castelli di sabbia, le costruzioni metafisiche della classicità, quelle sistemiche della modernità e i tentativi della contemporaneità di rilettura dei testi e contesti precedenti.
Si annunciava un certo nihilismo, a partire dall’abbattimento della metafisica. Una metodica della filosofia inaugurata da Husserl e proseguita con Heidegger, mentre conferisce un carattere di novità nella storia del pensiero occidentale, si colloca in posizione di vantaggio nell’epoca del postmoderno. Siamo grati a Paolo Zini, docente di filosofia teoretica a Nave, per il suo contributo chiaro e documentato nell’area della filosofia della religione col testo in esame. Dopo un’analisi attenta sulle varie teorie filosofiche della religione, sono prese in considerazione soprattutto la prospettiva tomistica e quella kantiana, valorizzate nel loro spessore metafisico, nella loro incidenza storica, e visualizzate altresì coi loro limiti rispettivamente del «codice metafisico compiuta a monte della storicità della condotta credente» (p. 68) e l’altra nella quale «la religione parrebbe vincolare due movimenti autonomi ed eterogenei quello salvifico-escatologico e quello etico storico» (ib.). E così Zini percorre l’alternativa metodologica della fenomenologia che ricentra la coscienza in quanto si ritrova fermentante di tensioni come dati innegabili alla ricerca costitutiva dei significati radicali e globali dell’esistere. Viene colta la novità di questo percorso non solo rispetto alla classicità e alla stessa modernità, ancora per tanti aspetti tributaria alla prima, ma come inizio di una nuova strada tutta da proseguire per rileggere impostazioni ed evoluzioni di questioni attinenti all’essere e alla prassi. Spicca tra esse il fattore religioso scavato finora nell’essenza ma ora stimolante a farsi esplorare sul versante dell’esistenza.
E comincia qui una suggestiva analisi dell’ontofenomenologia heideggeriana, con la proposta della posposizione dei termini della diade dell’essere e il tempo con il tempo e l’essere, indicando la cairografia dei significati (pp. 89-107). Segue un’interessante rilettura dell’éidos che, nella coscienza, si coglie dell’alterità come si propone nella visione levinasiana, in quanto riscoperta nella cifra radicalmente metafisica prima che etica del volto: l’essere-da-altro, l’essere-in-altro, l’essere-per-altro. Su questo pecorso si trova lo spazio, rispettivamente, dell’origine surcentrata della Presenza Trascendente ogni dire, poi dell’area della storia come humanum fieri, della fecondità del soggetto e dell’esteriorità dell’altro-dame irriducibile a me. Interessante si presenta il passaggio all’essere-per-Altro, che apre, attraverso la via che classicamente si denominava ex contingentia rerum, alla gratuità donata per ogni esistente bisognoso di giustificazione. L’appello agonale sartriano approdante al nulla per l’incapacità di autofondarsi e per l’impossibilità di sentirsi chiamati – che sarebbe l’unica modalità giustificativa dell’esistenza – qui, viceversa, approda alla percezione dell’essere- convocati dal Volto- totalmente- altro che si presenta asimmetrico e che rivede la sua traccia nell’esistente e fa intravedere approdi soteriologici, di una salvezza cioè che è dono gratuito e ad un tempo compito ineludibile dell’esistente stesso.
Il nostro A. rimarca acutamente la suggestività di Levinas, ma non nasconde la sua perplessità per l’insistenza di questa posizione «sulla permeabilità della libertà alla pienezza dell’incontro con l’altro solo nella salvificità della genesi etica e non in quella del riscatto delle inadempienze etiche» (p. 256). Ed è questo punto che Zini, nella sua articolazione rigorosamente coerente, costruisce il bullone robusto per il passaggio dall’ontofenomenologico all’etico. Si sente oggi il bisogno anche nei bio-laboratori di fondare l’ethos sull’ontos. La struttura d’essere dell’essere-uomo è un dato che l’esserci si trova. Ma l’uomo si ritrova ad essere quell’essere speciale che deve accettar-si, acconsentire. Il suo essere, nella dinamica verso la pienezza è esser-si, come scegliere di essere. Appunto l’etica risulta il consenso all’essere. «La filosofia di Levinas – dichiara Zini – ha offerto importanti contributi alla nostra ricerca, suggerendo la necessità di una ontologia in grado di integrare il dinamismo della libertà finita nella singolarità del suo radicamento biologico, nella sua relazionalità biografica e nella sua condizione di possibilità teologica» (p. 257). Certo, è indubitabile oggi rifondare l’ethos, indispensabile per la premura guardiniana per l’uomo, in un segmento di storia smagnetizzato in cui la deriva di Faust passa attraverso Prometeo e giunge a Polifemo, gigante cieco, cifra del tecnocefalo smarrito nelle sue conquiste e angosciato per l’ospite inquietante. Il nulla che lo inabita. Si badi, però, che questo ontico si trova superato nell’ontografico inscritto nella costituzione antropologica e descritto nella dinamica coscienziale che si rinviene lungo i percorsi fenomenologici. E proprio in quest’area Paolo Zini si muove con scienza e competenza, col suo metodo di confronto in ordine alla focalizzazione del nuovo. Privilegia il metodo del rinvenimento del dato colto nell’esperienza interiore «accessibile negli eventi ove si produce come responsorialità autorizzata dalla libertà finita, senza che questo tuttavia comporti l’abbandono della prospettiva teorica della ricerca dell’essenziale».
E precisa, puntualmente applicando: «Proprio la fenomenologia suggerisce il contrario, e si impegna a coniugare l’attenzione alla dimensione storica con l’accesso all’essenza del fenomeno religioso attingibile nella scorta delle sue evidenze specifiche». (p. 72). Si snoda di qui il discorso dell’eidetica coscienziale del fenomeno religioso che comanda quello prassico come azione significativa, caratterizzata dalla sapienza, incarnazione e unitarietà dinamica (pp. 320-338). E, prosegue, attraverso lo scavo del categoriale simbolo, nel suo processo di avvicinamento mai esaurito al totalmente-Altro. Ed è questa una simbolica del grazie, che è celebrazione della conoscenza della verità e adesione di libertà (cognitio et agnitio della scolastica). Si selezionano i punti più densi della simbolica grata quali l’evento dell’origine, la fatica del terribile quotidiano lungo l’erta dell’esperienza sotto il rischio non solo del kierkegaardiano possibile che, ma anche del possibile che non: le prospettive del fallimento (pp. 413-422), del tradimento, dello scadimento (erosione e consunzione, pp. 404-412). Ed infine il punto della conclusione dell’esistenza come un arrendersi, come un arrendersi al Kronos vorace e distruttivo e render-si all’Essere, alfa e omega della vicenda intera. Qui, la celebrazione religiosa costitutiva dell’evento-morte nella sua dialetticità permanente, appunto della resa al vortice e della consegna alla pienezza. E, quindi la religio come struttura costitutiva dell’essere si appalesa nel suo imporsi come dato fenomenologico e nel suo esporsi come dato socio-storico permanente, nei due indissaldabili momenti dell’interiorità che preme di per sé alla epifanizzazione della sua ricchezza.
Siamo grati a Paolo Zini per questa sintesi teoretico-storica del fenomeno religioso dai due momenti con stretta articolazione ricavata da un robusto riferimento al metodo fenomenologico. E che nel post-moderno si sta rivelando un’importante piattaforma di dialogo tra i ricercatori intenti a valorizzare istanze positive di posizioni che potrebbero subito apparire abissalmente distanti e che invece appellano a quell’agostiniano principio del De Trinitate: «Quaeramus tamquam invenituri et sic inveniamus tamquam quaesituri», a servizio della ricerca della verità. Che si disvela, nella definitività cairologica della Rivelazione, come amore, celebrato nell’evento cristiano, come l’Autore accenna nella conclusione. L’amore spassionato della verità porta diritto alla verità sperimentata dell’amore.
Tratto dalla rivista "Salesianum" 72 (2010) 2, 389-392
(http://las.unisal.it)
-
6,00 €→ 5,70 € -
22,00 €→ 20,90 €