Il professor Antonino Postorino ha già più volte assunto, dalle pagine di Sacra Doctrina, il punto di vista della “metafisica rigorosa”: cioè di uno studio dell’essere che mira a soddisfare i più severi requisiti della mentalità analitica occidentale. Questo approccio è caratterizzato da una forma di “riduzionismo parmenideo”, consistente nella considerazione del principio di non-contraddizione “l’essere è, il non-essere non è” come criterio originario di validità della conoscenza umana.
In realtà, dovremmo dire, il principio di non-contraddizione è parte di un insieme più ampio e complesso di principi conoscitivi e certezze originali, che l’enciclica Fides et ratio (n. 4) di san Giovanni Paolo II chiama “filosofia implicita”: “una sorta di patrimonio spirituale dell’umanità [...] condiviso in qualche misura da tutti”, anche se in modo generico ed irriflesso, costituito dai “principi di non contraddizione, di finalità, di causalità, come pure alla concezione della persona come soggetto libero e intelligente e alla sua capacità di conoscere Dio, la verità, il bene; [e inoltre da] alcune norme morali fondamentali che risultano comunemente condivise. [...] Quando la ragione riesce a intuire e a formulare i principi primi e universali dell’essere e a far correttamente scaturire da questi conclusioni coerenti di ordine logico e deontologico, allora può dirsi una ragione retta o, come la chiamavano gli antichi, orthòs logos, recta ratio”.
Mettere l’accento in modo esclusivo sul principio di non-contraddizione conduce come appare con evidenza dalla storia della metafisica occidentale all’“ossessione del nichilismo”, cioè a considerare “l’identificazione dell’essere il nulla” come il supremo rischio del pensiero. Tale identificazione inevitabile, considerando l’atteggiamento conoscitivo “iperanalitico” da cui parte questa venerabile tendenza filosofica è, secondo Postorino, evitata, o quantomeno molto ridotta, dalla “sistematica sapienziale dell’incontrovertibile” di Giuseppe Barzaghi O. P., che può giustamente aspirare al ruolo di “testa di ponte” verso ogni possibile teologia futura.