Il primo cristianesimo
-Rileggere il libro degli Atti
(Piccola collana moderna)EAN 9788870168778
In un’epoca come la nostra in cui si moltiplicano a dismisura le riflessioni sul senso autentico della fede e del cristianesimo, crediamo sia particolarmente significativo non trascurare la lettura dei testi fondanti della religione cristiana. Il corpus neotestamentario, in effetti, non offre un semplice resoconto cronachistico dei fatti accaduti tra il I e il II secolo d.C., ma si prodiga in una rilettura interpretativa degli eventi che hanno segnato la transizione dall’antico al nuovo patto di alleanza in Cristo Gesù. In effetti, come ha ben dimostrato Jean-Noël Aletti (Gesù Cristo: unità del Nuovo Testamento?, Roma 1995), è possibile ravvisare una “struttura gesucristologica del Nuovo Testamento” (cf. le pp. 254-273); è il Signore Gesù Cristo la chiave di lettura per una corretta ermeneutica della letteratura neotestamentaria.
Quanto fin qui affermato vale tanto più per un testo, spesso mal compreso, come gli Atti degli Apostoli. Lo studioso elvetico Daniel Marguerat, sicuramente tra i massimi interpreti dell’opera lucana, ha pubblicato numerosi articoli e contributi di valore scientifico (ricordiamo soprattutto: La prima storia del cristianesimo. Gli Atti degli Apostoli, Cinisello Balsamo 2002; orig. fr. 1999), oltre al commentario ai primi 12 capitoli degli Atti (Atti degli Apostoli. 1. 1-12, Bologna 2011; orig. fr. 2007). Di recente, tuttavia, ha avvertito l’esigenza di offrire un saggio divulgativo sul testo lucano, soffermandosi con acume e perizia sugli aspetti introduttivi e su alcune prospettive tematiche.
Per Marguerat il libro di Atti è da attribuirsi al medesimo autore del III Vangelo, che la tradizione ascrive a Luca, il quale deve affrontare una grave crisi dovuta allo smarrimento identitario che patisce la cristianità di cui egli stesso fa parte: «la cristianità alla quale Luca si rivolge è già separata dalla sinagoga, ma gli “ebrei” non sono ancora diventati del tutto dei nemici. La separazione è in atto, e Luca taglia i legami che uniscono i cristiani alle fonti della loro fede» (p. 13). La vera sorpresa che riserva la lettura del racconto lucano è l’inattesa apertura della salvezza anche ai popoli pagani; è qui che si radica la differenza cristiana rispetto al milieu giudaico nel quale è pure inserita. Il punto di partenza per la lettura della vicenda di Atti è costituita dal racconto dell’ascensione di Gesù (At 1,9-11), già riferito a conclusione del Vangelo lucano (Lc 24,50-53). Secondo Marguerat, il motivo per cui Luca reitera l’episodio non è soltanto per riannodare il filo del racconto, ma anche per illustrare tre finalità: in primo luogo, per descrivere l’accesso di Gesù alla sovranità universale di Dio; in secondo luogo, per sottolineare l’inizio del tempo dell’assenza di Gesù di mezzo ai suoi; infine, per evidenziare la visibilità della comunità di discepoli ai quali il Risorto affida il mandato testimoniale (cf. pp. 22-23). È la figura del testimone che rende visibile la presenza di Dio nella storia e consente alla Parola, autentica protagonista della narrazione lucana, di varcare i confini palestinesi per sporgersi, grazie all’accompagnamento dello Spirito, fino ai confini della terra (cf. pp. 29-32).
Negli Atti degli Apostoli è la risurrezione di Cristo l’argomento principale attorno al quale si coagula il kerygma apostolico; scrive Marguerat che essa «funziona come una chiave di lettura dell’azione di Dio nel mondo» (p. 33). L’intera attività testimoniale di Pietro, Paolo e degli altri discepoli è tesa all’annuncio dell’evento che ha segnato la novità del contenuto pasquale: non si tratta più di immolare un agnello, perché è il Cristo, morto e risorto, il segno discreto ma efficace della presenza di Dio nella storia. Non solo i discorsi, ma anche i segni prodigiosi che contraddistinguono l’attività dei predicatori evocano il Nome del Risorto (cf. pp. 38-39). La vita stessa del testimone è modellata su quella del Cristo che egli serve e annuncia, dilatando i confini della salvezza.
Un argomento che spesso ha fatto discutere gli studiosi a partire dal XVIII secolo concerne la figura dell’apostolo Paolo nel racconto lucano. Comparando la documentazione di Atti con i dati che emergono nel corpo epistolare paolino si riscontra un’effettiva, talora paradossale, contraddizione tra il Paolo di Atti e quello delle Lettere. In due suoi recenti articoli (L’image de Paul dans les Actes des Apôtres [2008] e Il Paolo di Luca tra cultura greca e cultura giudaica [2011]), il professor Marguerat ha sostenuto l’ipotesi che Luca non sia stato un compagno di viaggio di Paolo; tuttavia, egli s’inserisce nell’alveo di quella cristianità della terza generazione che si prodiga nel raccogliere le informazioni sul suo passato per offrire un quadro di riferimento per il presente. Si tratta di un fenomeno di ricezione in cui emerge l’immagine di «un Paolo sconosciuto nelle epistole, per lo meno un Paolo all’ombra delle epistole» (p. 54). A tal proposito, egli cita opportunamente il caso dell’attività taumaturgica paolina; in 2Cor 12,12-13, l’apostolo richiama alla memoria dei corinzi i segni prodigiosi da lui compiuti, così come si sono verificati anche in altre comunità. Nel libro di Atti, il Paolo taumaturgo è più diffusamente presente, anche perché il suo ritratto è modellato non solo su quello del Gesù lucano, ma anche su quello del Pietro di Atti.
Particolarmente interessante è il capitolo che l’autore dedica al rapporto tra l’Evangelo e le religioni così come drammatizzato negli Atti; gli episodi di Listra (At 14,8-18), di Atene (At 17,16-31) e di Efeso (At 19,21-40) rivelano la fitta «rete di convergenza ideologica» (p. 60) in cui si collocava il cristianesimo del tempo di Paolo.
L’ultimo capitolo del breve saggio è incentrato su un argomento che spesso ha travalicato i confini dell’esegesi e ha ispirato prassi politiche, culturali e, talora, pastorali improntate all’ideale della comunione dei beni. È un tema particolarmente rilevante non solo dal punto di vista ecclesiale, ma anche teologico; Marguerat è infatti persuaso che «l’esemplare comunione dei beni nella chiesa delle origini compie finalmente ciò che il Deuteronomio raccomanda: la scomparsa non delle ineguaglianze economiche, bensì di una povertà degradante per l’uomo» (pp. 77-78). Così come nel caso di Anania e Saffira, i due coniugi che avevano trattenuto per sé parte del provento della vendita del loro campo (cf. At 5,1-11), lo studioso svizzero ritiene che la loro scelta attenti alla sopravvivenza della chiesa e il loro reato si configuri soprattutto come una menzogna a Dio, alla stregua del peccato commesso da Adamo ed Eva (cf. pp. 78-84).
Sarebbe riduttivo definire quello di Marguerat un saggio breve; in effetti, alla brevità si associano la concisione e la puntualità con le quali egli affronta le questioni preliminari e le tematiche centrali del racconto lucano. Un testo che sicuramente consentirà agli studiosi e agli appassionati di avere un quadro di riferimento agile e immediato, ma non per questo meno competente. Crediamo sia opportuno riportare la chiosa con la quale l’autore prende congedo dal suo lettore: «Se, leggendo il libro degli Atti, la chiesa si riconosce bella ma fallibile, se la sua fragilità non è più, per lei, sinonimo di sconfitta, se i cristiani scommettono sull’insondabile potenziale dello Spirito, se capiscono che la chiesa non è un piccolo museo del passato, ma che Dio ha sempre una lunghezza di vantaggio su di essa, se non si ha più vergogna dell’essere fieri dell’Evangelo e della sua forte umanità, allora sì possiamo dire: che cristianesimo sorprendente!» (p. 86).
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 1-2/2015
(http://www.pftim.it)
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