Il cristianesimo secondo gli ebrei
(Piccola biblioteca teologica)EAN 9788870166835
Grazie a una meritoria iniziativa dell’editrice Claudiana, viene pubblicata in Italia la celebre antologia Fritz A. Rothschild che raccoglie cinque testi di Leo Baeck, Martin Buber, Franz Rosenzweig, Will Herberg e Abraham J. Heschel sul cristianesimo visto dall’ebraismo. Con altrettante approfondite introduzioni di aa. cristiani, i saggi sono anche l’occasione di un dialogo che nel travagliato «secolo breve» ebbe l’importanza d’iniziare la ricerca sulle comuni origini, sulla fede nel medesimo Dio, avendo la volontà di spezzare l’ignoranza, l’ostilità, i pregiudizi che tanto hanno inficiato il mondo cristiano.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 16
(http://www.ilregno.it)
Fino al XIX secondo, per l’ebreo che viveva in paesi cristiani la stessa precarietà del quotidiano confinava all’àmbito delle speculazioni lontane dalla vita il problema dell’ “essenza del cristianesimo”. Nel Novecento, gli intellettuali più avvertiti ravvisano un male non più tollerabile nell’ignoranza di tanta parte degli ebrei riguardo al cristianesimo. In tale temperie storica, l’ “essenza del cristianesimo” viene esplorata da diversi pensatori ebrei con una profondità di analisi e un’originalità di esiti senza riscontri nei secoli precedenti. Tra questi figurano Will Herberg, Franz Rosenzweig, Leo Baeck, Martin Buber e Abraham Joshua Heschel. Il volume Il cristianesimo secondo gli ebrei propone un’antologia dei loro scritti riguardanti la fede cristiana (1).
A ognuno di questi autori è dedicata una sezione del volume, corredata di un saggio introduttivo curato da un teologo cristiano. Tra i cinque pensatori proposti dal volume, il meno noto in Italia è Will Herberg (1901-1977) che, a differenza degli altri autori presenti nell’antologia, sottolinea gli elementi comuni alle due fedi. A suo giudizio, la distinzione fondamentale va posta invece tra le «religioni bibliche», ovvero ebraismo e cristianesimo, e le Weltreligionen, «religioni mondane». Ebraismo e cristianesimo presentano i caratteri di una faith enacted as history, ovvero una fede vissuta e realizzata nella storia. Esse sono unite, tanto da «rappresentare una comune realtà religiosa», ma sono diversamente orientate, in quanto l’ebraismo è rivolto verso se stesso, il cristianesimo si rivolge verso l’esterno. Sono qui evidenti le suggestioni che derivano a Herberg dalla lettura della Stella della redenzione di Rosenzweig. Del filosofo di Kassel, l’antologia propone alcune tra le lettere più celebri inviate a Rudolf Ehrenberg e a Eugen Rosenstock- Huessy, animate da una parrhesía che l’atteggiamento apologetico dei suoi interlocutori non può che infervorare, nonché i passi della Stella concernenti l’intima realtà delle due fedi. L’ebraismo è il fuoco che arde incessantemente al centro della stella, alimentandosi soltanto di sé, mentre i raggi che si irradiano da esso rappresentato il cristianesimo, visto nella sua estroversione missionaria che si dispiega indefinitamente.
Estroversione, questa, che induce peraltro il cristianesimo a tendere al dominio di quella storia alla quale l’ebraismo è profondamente estraneo. Ebraismo e cristianesimo sono visti da Rosenzweig nel loro diverso percorso e nella loro diversa attitudine nei confronti del tempo storico, non quali depositari intransigenti della Verità – la quale sarà Una soltanto al cospetto dell’Eterno – ma come custodi e testimoni della “parte” di verità che è stata assegnata loro. L’uno e l’altro possono e debbono confermare, inverare – bewähren – la propria parte. Se Rosenzweig considera con grande rispetto le forme di vita religiosa affermatesi nel cristianesimo, Leo Baeck le considera per lo più improntate a uno spirito romantico considerato in senso deteriore. L’antologia propone alcuni brani di uno degli scritti più celebri dell’eminente rabbino, Romantische Religion (1922). Qui il cristianesimo è presentato quale «religione romantica» in contrapposizione alla «religione classica» rappresentata in modo esemplare dall’ebraismo. Quest’ultima comprende in sé e porta a compimento il «mistero» e il «comandamento», ovvero le fondamentali «esperienze del senso della vita». Baeck, tuttavia, individua nell’àmbito del cristianesimo elementi propri della religione classica, e ritiene possibile che in futuro essi prevalgano sulle forme «romantiche».
Egli propone comunque una visione riduttiva del cristianesimo, forse anche perché non depone mai del tutto la vis polemica nei confronti della teologia liberale, e segnatamente di Adolf von Harnack. Più serena e attenta appare la considerazione del cristianesimo in Martin Buber che pure, come Baeck, ascrive l’origine del cristianesimo non a Gesù ma a Paolo di Tarso. Di Buber, il volume propone il testo di un paio di conferenze tenute negli anni ’30 di fronte a un pubblico cristiano nonché alcuni passi di Due tipi di fede, ove sono poste a confronto le due forme fondamentali di fede, rappresentate storicamente da ebraismo e cristianesimo. La prima è segnatamente emunah, ovvero fiducia, abbandono esistenziale all’Eterno, la seconda è pístis, qui intesa quale atto prettamente noetico, ovvero il «ritenere per vero» un asserto paradossale: Gesù, il crocifisso, è Risorto. Buber riconosce valore antropologico universale ad alcuni guadagni teoretici propri della filosofia fecondata dal cristianesimo, di grande rilevanza soprattutto allorché, come nel Novecento, ebraismo e cristianesimo riscoprono di avere bisogno l’uno dell’altro. Allora, la pístis può sollecitare l’emunah ad appropriarsi delle ricchezze insite nella nozione di «persona», mentre il cristianesimo presta attenzione all’ebraismo quale testimone della realtà costituita dal «popolo». Per Buber, come per Heschel, la fede è una risposta che coinvolge l’intero intreccio di rapporti che ordiscono la trama dialogica della vita umana.
A Dio, come all’uomo della fede autenticamente biblica, interessa proprio la vita umana tutta, non la mera «interiorità», come talora il cristiano tende a credere. Secondo Heschel, l’ebraismo oltrepassa dunque ogni discrasia tra «esteriorità» e «interiorità», tra «adempimento esteriore» e «intenzione» del precetto. E la redenzione che, ben più che la «salvezza dell’individuo», esso attende non è un evento che sopraggiunga d’un tratto alla fine dei tempi, ma un processo che attraversa tutto il «tempo cosmico », la Weltzeit. Per Heschel, il cristianesimo si può considerare non quale custode di un nuovo patto, ma testimone di una modalità diversa di vivere l’unico patto stipulato da Dio con l’uomo sul Sinai. In tale prospettiva, nel piano redentivo esso non si sostituisce a un Israele che sarebbe stato «rigettato» da Dio, ma deve piuttosto proseguirne la missione fino agli estremi confini della terra, promuovendo, laddove l’uomo tende a prostrarsi a idoli sempre nuovi, la «santificazione del Nome».
Tratto dalla rivista Humanitas 65 (1/2010) 157-158
(http://www.morcelliana.it/ita/MENU/Le_Riviste/Humanitas)
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(1) Orig. ingl. Jewish Perspectives on Christianity, Continuum, New York 1996; ed. ted. Christentum aus jüdischer Sicht, Institut Kirche und Judentum, Berlin-Düsseldorf 1998.
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