Il segno di Giona
-Per un'antropologia della Misericordia nell'epoca del post-umanesimo e della neuroscienza
(Collana di Fuoco)EAN 9788868792558
I mutamenti sociali, politici, economici, sia a livello di comunità locale che di singoli stati e continenti, assieme all’evoluzione delle scienze e delle tecnologie bioetiche, hanno provocato crisi di appartenenza e di identità. Nel corso della storia vari modelli antropologici, che l’autore passa in rassegna, hanno cercato di interpretare l’involversi e l’evolversi della società con pretesa di lettura efficiente e spesso esaustiva del fenomeno, anche se, a leggerli bene, ne hanno interpretato solo alcune istanze e/o brandelli della complessità. Le nuove logiche consumistiche, i processi in atto di deideologizzazione, il passaggio da una cultura del dovere a una cultura di diritti senza doveri, lo gnosticismo con la sua esclusione di utilità della rivelazione divina, il secolarismo, il post-umanesimo con i suoi «stili di vita individuali slegati dai predecessori e senza lo sguardo rivolto ai posteri, con rapida perdita del senso storico e svalutazione dei criteri conoscitivi e culturali del passato» (p. 67), e in ultimo il fenomeno migratorio che rischia di destabilizzare il precario equilibrio della ancor debole costruzione europea, costituiscono, nella loro complessità ed eterogeneità, lo sfondo, meglio il Sitz im Leben nel quale matura e si confronta questa interessante e profonda riflessione dell’autore.
Ignazio Schinella guarda con attenzione la complessità della realtà che ci circonda, fa attenta opera di discernimento della complessità e, muovendosi sul crinale teologico a lui familiare, apre il cuore alla speranza: una speranza fondata su Cristo, nuovo Adamo, e fratello degli uomini che ricapitola in sé la storia, riportandola redenta al Padre. L’incontro con l’Unto dal Padre nello Spirito rende il credente consapevole che Cristo è la Parola di Dio viva e fatta carne. L’uomo, per/dono del Padre, riflettendo sulla morte e risurrezione di Cristo e sulla pienezza di vita partorita dalla tomba vuota, non cerca una conversione a livello solo personale ma sociale. La vita nuova nella quale il battezzato è innestato per mezzo della conversione è essenzialmente vita ecclesiale, cammino e salvezza nella e per la comunità ecclesiale assieme alla quale l’uomo si rivolge a Dio chiamandolo papà (Abbà). Il cristiano, vive la sua esperienza mai in solitudine ma sempre nella gioia della comunità redimendo così quella solitudine demoralizzante, angosciosa, intollerabile nella quale si avvita il mondo contemporaneo.
Con forza l’autore afferma che il cristianesimo non è un messaggio, una filosofia di vita e nemmeno semplicemente la comunicazione di verità e di leggi, ma l’incarnazione di Cristo, dono della misericordia del Padre, che viene a condividere e redimere la nostra esistenza umana dando carne e sangue per i nostri aneliti e le nostre paure. Egli ci immette sempre in un rapporto che è di intelligenza e di amore: di intelligenza che cerca la verità che traccia e addita la via (i cristiani venivano definiti quelli dell’odòs, quelli della via), di amore perché condivisione gioiosa del progetto di Dio su di noi. Dice l’autore: «amore misericordioso del Padre che cerca e attende, in una sapiente sintesi di atteggiamenti paterni e materni, per una custodia dell’umano, dell’eterno cercatore Dio, che, quando scaglia la sua freccia di amore, penetra egli stesso nel cuore umano e chiede di essere ospitato silenziosamente dall’uomo» (p. 16).
Il libro, man mano che ci si addentra nella lettura, svela un orizzonte di speranza nel quale, per parafrasare il poeta recanatenze, “il naufragar ci è dolce”. L’incontro con Cristo, norma ultima dell’agire del cristiano, diviene accoglienza della vita, uscita da ogni forma di determinismo, riconoscimento gioioso e accogliente dell’altro, memoria quotidiana della misericordia di Dio che mi cerca per abbracciarmi: Adamo dove sei? (Gen 3,9). Dio chiama l’uomo per far nascere in lui un ardente desiderio di venir fuori dalle sue sicurezze e nascondigli, dalle costruzioni ideologiche nelle quali si è rinchiuso, dai muri che ha eretto nel vano tentativo di creare attorno a sé una barriera sicura, per fargli prendere coscienza di essersi nascosto e ritrovare se stesso per riprendere il cammino. Un ritornare a camminare con gli occhi rivolti a Dio ed «essere nella storia e tra i popoli sacramento di misericordia, perché costituito dalla misericordia di Dio […] seminandola dentro le istituzioni e sapendola intravvedere nei segni della storia e di tutti i popoli, in un processo di coerenza tra la preghiera e la vita» (p. 17).
Acutamente, per non cadere in facili illusioni, l’autore afferma: «L’ottimismo cristiano, non consiste nella convinzione che l’uomo possa essere salvato cambiando le condizioni esteriori che lo schiavizzano nel male, ma è nella fede che Dio può operare la guarigione e la trasformazione dell’uomo, cioè di fare di queste pietre dei figli di Abramo (Lc 3,8)» (p. 105). La Scrittura d’altra parte avverte: i poveri li avete sempre con voi (Gv 12,8), Signore, non avevi seminato buon seme nel tuo campo? Come mai, dunque, c’è della zizzania? Lasciate che tutti e due crescano insieme fino alla mietitura (Mt 13,27-30). L’incontro con Cristo rende l’uomo facitore della parola e non uditore soltanto (cf. Gc 1,22), pertanto, il cristiano è nel mondo «un narratore della misericordia quale vangelo del Regno da annunciare, a cominciare da quelli della propria casa, ovvero dalla casa ritrovata metafora sintetica della crisi antropologica dell’uomo di oggi: la coscienza moderna si narra di essere senza dimora (homeless) e ciò costituisce il disagio della modernità» (p. 107).
L’autore apre l’animo alla speranza perché non è suo intento proporci un dotto discorso su Cristo ma aiutarci a incontrarlo, aiutarci a sperimentare nella nostra vita la gioia della misericordia del Padre. Il percorso proposto è, infatti, squisitamente cristologico/antropologico. «La figura di Gesù Cristo, ultimo Adamo figlio di Dio e figlio dell’uomo, fratello degli uomini, primogenito di ogni creatura, è il volto della misericordia del Padre» (ivi). Il cuore della gioia cristiana diviene la consapevolezza che Dio ama talmente l’uomo da mandare per la sua redenzione il Figlio, l’innocente, provato in ogni cosa eccetto il peccato (Eb 4,15) che, attraversando fin in fondo «il dramma dell’esistenza umana» (p. 128), cerca appassionatamente la pecorella smarrita, se la carica sulle spalle e la riporta alla casa del Padre che la attende e fa festa:«bisogna far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Lc 15,31-32).
Tutto ciò senza mai dimenticare l’esperienza del peccato. L’uomo, come Giona, «da una parte confessa che Dio è clemente, dall’altra rifiuta questa esperienza di Dio sotto la forma di un giudaismo chiuso in se stesso e intollerante. […] Il rischio sempre presente in ogni fede è quello di voler imprigionare Dio in una fortezza costruita dall’uomo, per fare di Dio un idolo, mentre riconoscere Dio esige consentire all’azione di lui. Più che costruire Dio bisogna lasciarsi costruire da lui ed espellere conseguentemente gli idoli dal proprio cuore. Il libro di Giona è una messa in guardia contro questo rischio della fede. Giona non contesta l’esistenza di Dio, ma il suo modo di essere e di agire. Bisogna riconoscere Dio come si rivela. […] La conversione richiesta è squisitamente teologica, non antropologica: ci rimanda alle nostre rappresentazioni di Dio, sempre inadeguate, con il Dio della tenerezza e della misericordia» (pp. 151-152).
Tali tematiche rendono la lettura del libro coinvolgente, prospettano un cristianesimo gioioso, aprono il cuore alla speranza, Gesù diviene il pioniere reale ed efficace (Gv 1,18), la via da battere, l’autentico battistrada che ci ha aperto la via. Ascendit Christus in altum: sequamur eum (Agostino, Sermo 304). Il Crocifisso è risorto: è questa la fede cristiana. La risurrezione di Cristo è l’evento unico e al tempo stesso rivoluzionario non solo della storia dell’uomo ma dell’intera creazione. La risurrezione è il fondamento centrale della fede cristiana: se Cristo non fosse risorto la nostra predicazione sarebbe senza fondamento e vana la vostra fede (1Cor 15,14). Tale fede passa attraverso l’assunzione della «propria morte come parto» (p. 262), assunzione cioè della nostra condizione di peccatori da cui la misericordia di Dio ci libera.
In tale ottica, nascita, morte e risurrezione costituiscono le facce di un’unica realtà: la chiamata dell’uomo alla sequela di Cristo, che diviene processo di trasformazione e identificazione sostanziale con la vita stessa del Signore. L’uomo della sequela è il Cristo che cammina sulle strade di oggi, con tutti i problemi che il camminare comporta, così come al tempo lo era per Gesù di Nazaret. Se così è, allora «Cristo appare come l’uomo del futuro e della speranza, perché si identifica e si manifesta durante il tempo della storia negli ultimi degli uomini, qualunque sia il loro volto: colui che vorrà, a sua volta, essere l’uomo del futuro dovrà cominciare a essere già qui, nella storia, dalla parte degli ultimi fino a identificarsi, ovvero fare propria la dinamica dell’essere con e dell’essere per, in cui si dà la novità antropologica della speranza cristiana» (p. 329).
Ci piace concludere con un leitmotiv dell’autore. Il cristianesimo non è ideologia, è esperienza di questa storia di salvezza, è l’esperienza di Cristo che «ci propone l’avventura di agire insieme – portare il giogo – e di uscire insieme non per conservare, ma per trovare nella sinergica donazione la pienezza dell’amore che solo introduce nella familiarità della Trinità e conserva il mondo. Così la vita si fa sequela della prassi e accettazione dell’insegnamento del Signore quale frutto della partecipazione della nostra vita alla sua, in cui imitazione e accettazione acquistano un nuovo radicale fondamento: la sua presenza invisibile ma efficace, nell’azione del suo Spirito che crea lo spazio della vita ecclesiale. Egli diviene la via, divenuto momento costitutivo della nostra esistenza: si può agire come lui e secondo lui perché lo si fa in forza di lui» (p. 273).
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 4/2015
(http://www.pftim.it)
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