Verso una nuova politica economica per l'uomo
-La posizione morale di B.J.F. Lonergan
(Collana di Fuoco)EAN 9788868791254
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Rileggere il Novecento teologico non è opera semplice. Molti bilanci di teologia del XX secolo sono apparsi già verso la fine del Novecento o subito agli inizi del nuovo secolo. Molti “movimenti” o correnti di pensiero l’hanno attraversato, sul piano teologico, tentando di dare lustro alla teologia di fronte alla possente ascesa delle scienze umane, salite alla ribalta nel corso dell’Ottocento ma in fase di ascesa sin dagli esordi della modernità. Tutti hanno tentato anche di ridare voce alla teologia in un mondo “ammaliato da altre sirene” e sempre più proteso a spingere tutto ciò che è relativo a Dio, a Cristo, allo Spirito, alla fede, alla chiesa, ai margini della vita sociale fino a poterlo quasi sopprimere.
Che si sia trattato di neoscolastica, di modernismo, di teologia kerigmatica, di rinnovamento liturgico, o di Nouvelle théologie, solo per citare i movimenti che hanno avuto una maggiore rilevanza storica, non si può negare che la teologia del Novecento è una teologia in sofferenza, percorsa da aneliti di risurrezione, ripiegata verso paradigmi “storici” che le potessero fornire sicurezza (tomismo o agostinismo), travolta da crisi di identità e soprattutto di fede, resa vacillante dai trionfi razionalistici di quell’imperante pragmatismo, empirismo, esistenzialismo che permetteva alle scienze di acquisire apparenti traguardi sempre più a scapito di ogni trascendenza. In poche parole in un mondo che riduce il reale ormai da secoli al visibile, al materiale, al corporeo, e lo stesso naturale al biologico, e finanche lo spirituale umano a processi neurologici, anche la teologia sovente ha ceduto e si è scoraggiata allontanandosi progressivamente dal mistero di cui è custode la Parola della rivelazione. Il Concilio Vaticano II ha sancito il ritorno a una teologia sapienziale con un documento dalla caratura superiore alla maggior parte di quelli prodotti dalla sua assise, una costituzione dogmatica, la Dei Verbum, uno dei documenti la cui produzione è stata più sofferta, eppure l’auspicato rinnovamento teologico o ancor più la sua risurrezione non sembrano essere giunti. La lettura del libro di Nicola Rotundo fa pensare molto. Esso scorre occupandosi con una progressione felice di relazioni delicate tra pensiero, economia e storia, senza lasciar sospettare all’inizio quali nervature andrà a toccare questo studio sul gesuita canadese Bernard Joseph Francis Lonergan (1904-1984). A fine lettura ci si rende conto quasi d’improvviso come questo libro prenda per mano il lettore e lo inserisca pienamente in questo contesto storico di “sofferenza” teologica. Arrivarci seguendo l’itinerario completo del libro giova a non prendere posizioni ideologiche.
Il primo capitolo è prettamente dedicato alla storia del Novecento, seguita principalmente su due direttive predominanti: i cambiamenti geo-politici del secolo, gli eventi di maggior rilievo (guerre mondiali e regimi totalitari), e soprattutto le grandi crisi economiche e i cambiamenti economici che le hanno determinate. Il quadro sintetico tracciato è necessario per comprendere il personaggio Lonergan e il delicato contesto in cui egli va inserito e compreso.
Il secondo capitolo è dedicato a una sintesi ragionata e critica della biografia lonerganiana, attenta a mettere in evidenza perché la produzione di questo gesuita si sia orientata in ambiti non solo teologici e filosofici, ma anche economici e sociologici. Gli anni di formazione di Lonergan si scopriranno in tal senso ricchi di notizie tra le quali l’autore ha saputo cogliere legami, letture, influenze che meritano attenzione se si vuole comprendere quanto Lonergan ha scritto anche come teologo e come filosofo. In questo secondo capitolo non solo la teologia appare in sofferenza, restituita e criticata da chi l’ha dovuta studiare secondo un impianto non accettato, ma comunque rimasta profondamente nell’impostazione di fondo di questo religioso; ma Lonergan stesso vi appare in sofferenza per il confronto instaurato tra gli studi pontifici, considerati arretrati, e gli studi fatti in sedi quali l’Università di Londra, durate la formazione inglese della fine degli anni ‘20.
Sono, tuttavia, il terzo e il quarto capitolo a rivelare un volto inedito del pensiero lonerganiano. Il testo di Rotundo nasce con l’intento di approfondire la relazione tra teologia morale ed economia, poiché gli studi recenti (lascia trasparire l’autore nell’Introduzione) hanno fatto credere che vi fosse negli scritti del gesuita qualcosa di innovativo e di fecondo. Ben presto, tuttavia, Rotundo porta il lettore verso un livello più profondo di analisi e scorge in Lonergan tutti i problemi non risolti o cruciali della teologia del Novecento. Vi trovano accoglienza il tema della teologia della grazia (da Lonergan affrontato negli studi di dottorato in teologia), la questione antropologica negli aspetti del problema gnoseologico, il confronto con la filosofia moderna soprattutto kantiana, il problema della dottrina sociale, del rapporto tra scienze umane e teologia, lo storicismo che in quegli anni andava emergendo sotto la pressione di storici e pensatori che si interrogavano sul senso della storia alla luce delle grandi tragedie novecentesche (Dawson, Toynbee, Spengler, Maritain).
In realtà, il rapporto tra morale e economia sembra perdersi, non tanto nell’analisi dell’autore dei testi lonerganiani, quanto nello stesso autore studiato, che inserisce nei testi di economia o tecnicismi che gli economisti del tempo, a cui Lonergan cercherà di far vedere i suoi lavori, snobberanno, oppure concetti che Lonergan assume da letteratura largamente diffusa ai suoi tempi, come i cicli di declino e di crescita di una cultura di matrice toynbeeniana. Di fatto di teologico vi è poco, e peraltro, si tratta di un teologico declinato e fatto entrare in dialogo con l’economia con fatica. Nell’epilogo di Insight appare messa ai margini la condizione esistenziale drammatica in cui l’uomo si viene a trovare dopo il peccato. E ciò dopo che per un intero volume si è teorizzato un metodo che può rendere autentico l’uomo attraverso le tappe dell’autotrascendenza. La grazia vi appare chiamata in causa come un’opzione possibile, che l’umanista Lonergan – dismessi i panni del teologo – riprende dopo aver dichiarato nell’Introduzione di voler considerare l’uomo senza riferimenti alla rivelazione. Va precisato, però, che l’autore del libro non dimentica la visione della teologia della storia di Lonergan, che in ogni caso si esprime nella sequenza: creazione – peccato – redenzione, e nella centralità del peccato quale fattore di sviluppo involuto dei popoli. Si tratta solo di un’adeguata contestualizzazione.
I suoi testi di economia, poi si rivelano pieni di sociologia e filosofia della storia e non vanno al di là di espressioni che erano ricorrenti al tempo di Lonergan. Ma il punto nevralgico nel rapporto tra economia e teologia morale viene alla fine, laddove Rotundo prende in esame un saggio che Lonergan scrive proprio su questo rapporto per la Commissione Teologica Internazionale. L’analisi, a questo punto, si fa scrupolosa e il risultato sorprende perché dimostra come la teologia, per aver rinunciato a essere se stessa, avrà anche guadagnato in forme scientifiche conformi ai paradigmi che le imponeva il confronto con le scienze umane, ma ha perso il contatto con la realtà umana così come gliela dona la rivelazione.
Il testo è corredato da un’efficace Prefazione di Pasquale Giustiniani, conoscitore di Lonergan, che sposa l’ermeneutica di Rotundo e invoglia alla lettura.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 1-4/2016
(http://www.pftim.it)
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