"Nell'ultimo giorno del millennio, in una Roma in cui sconta un piccolo esilio, tra la felicità per la figlia neonata e la malinconica nostalgia della Sicilia, il protagonista riscopre la sua umanità attraverso ricordi, dirompenti e vividi, narrati in un'affascinante mescolanza d'italiano e di dialetti (non solo il siciliano ma anche il friulano e il lombardo) con cui descrive, in maniera sanguigna, sentimenti ed emozioni, luoghi e persone. Questo magmatico ed evocativo impasto di termini - un linguaggio antitecnologico, suggestivo e arcaico - seduce il lettore, impegnato a seguire 1' «estenuante maratona» corsa da una generazione che ha percorso in soli cinquant'anni diversi millenni. Da «Ritorno all'Amarina» emerge l'esigenza collettiva di guardarsi indietro, di tornare al passato per dare un ordine alle cose e all'esistenza. Ma anche di pensare al futuro, trasferendo a figli e a nipoti un periodo di formazione divenuto incancellabile imprinting. Dalle dense pagine del romanzo emergono così le case, i borghi, e Catania, città chiaroscurale, ricca di contrastante bellezza e di struggente fascinazione, che è casa, e si svela, vivace e sanguigna, in una successione di luminosi trompe l'oeil. Ma sono casa anche, in Sicilia, l'Amarina, regno dell'infanzia, 'Ddarnù, la città etnea di Adrano, e, nel Lazio, Monte Porzio Catone e Roma. Se è vero che la storia di un Paese è nei ricordi degli uomini e delle donne che ci hanno vissuto, e che questi ricordi albergano nelle loro case, Giuseppe Lazzaro Danzuso descrive, con poesia e fanciullesco trasporto, abitazioni gravide di storie e storie che non potevano che nascere in quelle case, in una corrispondenza strettissima e virtuosa tra oggetti e affetti, passato e presente, reale e magico. Perché in definitiva, «Cunti con le gambe siamo. Cunti viventi. Cuntati beni o mali, ma cunti»." (Dora Marchese)