A ottantatré anni, Jean-Paul Belmondo decide di scrivere il suo primo libro. Da consumato funambolo qual è, sale in equilibrio sul filo dei ricordi. Un padre scultore; una madre pittrice dal forte temperamento, cui resterà attaccatissimo; l'infanzia, segnata dalla guerra; il pessimo rapporto con la scuola; l'esuberanza fisica, la passione per la boxe, l'attitudine a fare il pagliaccio, la smania di recitare. Poi l'adolescenza, il saggio al Conservatorio d'arte drammatica; le prime prove teatrali; e finalmente l'esordio cinematografico, nel 1956. Sarà l'incontro con Jean-Luc Godard a segnare la grande svolta. Sul set di Fino all'ultimo respiro (1960) si consumerà, come per incanto, l'esplosione di uno dei talenti più straordinari della storia del cinema. Da quel momento si susseguiranno, davvero senza respiro, le tappe di una carriera tanto prestigiosa quanto eclettica, poliforme, esaltante. Chi altri, come lui, potrà vantare di avere lavorato con registi come Godard, De Sica, Chabrol, Bolognini, Castellani, Melville, Lelouch, Verneuil, Deray, Malie, Resnais? Chi, come lui, potrà rivendicare di avere attraversato tutti i generi, di essere stato la bandiera della Nouvelle Vague? Il «brutto» più affascinante del cinema francese racconta di aver condiviso la scena con le dive più belle e famose. Con lui hanno recitato Sophia Loren e Jean Seberg, Claudia Cardinale, Gina Lollobrigida e Stefania Sandrelli, Ursula Andress, Catherine Deneuve e Laura Antonelli. Incontri importanti, storie intense, talvolta grandi amori. Come grandi, e turbolente, sono le amicizie con i partner maschili che si sono misurati con lui, da Lino Ventura a Jean Gabin ad Alain Delon. Alain, il «bello», l'alter ego, con cui si è realizzata quella miscela di complicità e antagonismo che ha segnato uno dei punti più alti del divismo maschile. Ripercorrendo la propria vita, Belmondo non tradisce lo spirito con cui l'ha vissuta: all'insegna della leggerezza, dell'eccesso, della gioia di vivere.