Quando si legge il saggio scritto nel 1931 da Beckett su Proust, non si può fare a meno di notare quanto profonda sia stata l'impronta lasciata nello spirito di Beckett dall'opera proustiana. Si è molto parlato di una derivazione joyciana per l'opera di Beckett, ma l'affinità con Proust appare molto più sorprendente, anche se è allo stesso tempo più sottile e latente, e non si può certamente rilevare nello stile scarno di Beckett [...]. Beckett si mostra, piuttosto, ossessionato dalla concezione che Proust ha della letteratura, dalla sua concezione del tempo e dello spazio, dei personaggi e delle cose, dalla sua ricerca dell'essenza di una realtà illusoria e fuggevole. [...] È stato detto che nell'opera di Proust non è presente l'assurdo o l'irrazionale. E, in un certo senso, questo è vero, se confrontiamo l'opera di Proust con quella di Kafka o dello stesso Beckett, dove l'assurdo avvolge e impregna ogni pagina dei due scrittori. [...] Tuttavia, anche in Proust si ha la sensazione dell'irrazionale, del deforme, dell'assurdo. È vero che egli, come scrittore che si sforza di dipingere «il reale», si è deliberatamente rifiutato di cedere alla tentazione di lasciare la porta della sua opera spalancata alla irruzione dell'irrazionale, ma la tentazione è lì, in numerosi passaggi. Come dice egli stesso, si asterrà dal «far cantare dolcemente la pioggia dentro la stanza e diluviare nel cortile la nostra tisana in ebollizione». Continuerà a «mettere dei lineamenti nel viso di una passante, mentre al posto del naso, delle gote e del mento, non dovrebbe esserci che uno spazio vuoto su cui potrebbe tutt'al più giocare il riflesso dei nostri desideri». [...] Non preparerà «le cento maschere che conviene attaccare a uno stesso volto, se non altro secondo gli occhi che lo vedono e il senso in cui ne leggono i tratti». Non proverà a «rappresentare certe persone non al di fuori ma all'interno di noi, dove le loro minime azioni possono indurre turbamenti mortali». Ma, almeno, non mancherà di «descrivere l'uomo non secondo l'estensione del suo corpo ma secondo quella dei suoi anni, come se dovesse - compito sempre più enorme e che finì per vincerlo - trascinarli con sé quando si sposta». Creerà il suo libro «come un mondo, senza lasciare da parte quei misteri che probabilmente hanno la loro spiegazione soltanto in altri mondi e il cui presentimento è ciò che ci commuove di più nella vita e nell'arte». (Dallo scritto di Margherita S. Frankel)