Tenebre e luce
-Luigi Pareyson e l'ontologia della libertà
(Le forme del discorso)EAN 9788866471394
Come ci ricorda questo volume, Pareyson tenne alcune lezioni napoletane di filosofia proprio nell’Istituto Italiano per gli studi filosofici, il 26, 27, 29 e 30 aprile 1988 (cf p. 31, n. 34), che andarono a convergere in Ontologia della libertà. Oggi, grazie a questo volume di F. De Carolis, lo scorso 9 dicembre ne ho potuto, con altri, ricordare l’intera vicenda culturale nelle medesime aule.
Questo ricchissimo saggio prende sul serio l’integrale «riflessione profonda» di Luigi Pareyson (Piasco, Cuneo 1918 Segrate, Milano 1991), «che, pur in un vasto arco di tempo e attraverso diverse tappe, è spesso rimasta affidata a sviluppi futuri» (p. 13), come quello dell’ultima fase – a mio avviso la più interessante – del suo pensiero, allorché «Pareyson, andava elaborando una nuova ed inedita prospettiva del suo pensiero, quella della filosofia della libertà e dell’ermeneutica della coscienza religiosa» (p. 23). Un pensiero con «i tratti dell’incompiutezza e della prospetticità […] un cammino dal personalismo esistenziale a un’ontologia delle libertà che non appare mai sterilmente concluso» (p. 117). Quindi, un pensiero aperto e in continua costruzione, quello del filosofo piemontese, la cui svolta – illustrata particolarmente negli ultimi due capitoli del libro di De Carolis – sta nel condurre la riflessione oltre il moralismo fino a entrare «nel cuore del discorso ermeneutico o di un’ontologia di schietto orientamento ermeneutico che, attraverso la radicalizzazione della problematica ermeneutica, si delinea come un’ontologia della libertà» (p. 167). Tutto questo non comporta mai un pensiero “in solitaria”, ma genera scholè negli allievi, ciascuno dei quali, come Pareyson stesso riconosce in un’intervista rilasciata ad Avvenire del 28 febbraio 1990 (cf. p. 23, n. 24), rimanendo «forse nella medesima fede nella libertà della ricerca, nell’assoluta dedizione ad essa», prende uno spunto da lui e, anche se imbocca strade diverse, resta nella pratica di un «ascetismo culturale». Un pensiero che approda «negli scritti degli anni ‘50, a un chiaro personalismo ontologicoesistenziale (che si basa sulla interrogazione e sulla conoscenza dell’altro attraverso la sua espressione e la comune ricerca di libertà e di dialogo)» (p. 32). In particolare, ripete più volte De Carolis nel corso di questo volume, quasi a rimarcarne la rilevanza centrale, «il passaggio dall’ontologia dell’inesauribile all’ontologia della libertà è maturato nei dieci anni che vanno dal 1975 al 1985» (p. 254).
Negli otto densi capitoli del volume – che a volte sembrano ognuno come degli ideali autonomi capitoli di singole analitiche lezioni –, De Carolis ripercorre e sviscera fonti e confronti di Pareyson lungo l’arco della sua esistenza filosofica che, tra l’altro, «ha dedicato a molti filosofi italiani pagine di grande pregio che sono utili anche per comprendere il travaglio e l’approfondimento della sua filosofia» (p. 59). Così, «non sarebbe possibile inquadrare l’evoluzione del pensiero di Pareyson senza una riflessione sulle filosofie di Augusto Guzzo, di Nicola Abbagnano, di Armando Carlini, sulla filosofia cristiana e cattolica in Italia a partire dal secondo dopoguerra» (pp. 50-61). Del resto, in un intervento in lingua spagnola, Pareyson tracciava lui stesso «un’incisiva analisi della situazione filosofica italiana degli anni ‘50» (p. 39), a partire dalla crisi evidente del neo-idealismo fino all’istanza di superamento dell’hegelismo e, insieme, di rinnovato incontro – una seconda volta – con «il problema dell’hegelismo […] probabilmente con una consapevolezza nuova» (p. 39). La filosofia di Guzzo e di altri filosofi cristiani, come Armando Carlini e Michele Federico Sciacca, consente a Pareyson di anticipare temi e problemi suoi propri, caratterizzati da quello che De Carolis denomina il «mutamento prospettico» (p. 54), nella ricerca «di un orizzonte filosofico ulteriore o di un pensiero dell’integralità» (p. 50), che non si limiti a ripetere moduli dello spiritualismo cristiano coevo. Pur nelle consonanze con le istanze di Guzzo circa una certa visione dell’essere umano, ci dice De Carolis, «occorre sottolineare come Pareyson abbia sentito l’esigenza di trovare una via diversa» (p. 47) rispetto a Guzzo. Mentre Guzzo maturava, già negli anni tra il 1940 e il 1942, «un’opera di vasto respiro sistematico sull’uomo» (p. 47), Pareyson, procedendo coi tratti dell’incompiutezza e della prospetticità, perviene alla «svolta verso l’ontologia della libertà (così radicata nelle questioni di fondo che animano la riflessione)» (p. 123), configurando «una filosofia del mistero dell’essere e del nostro essere», la quale comporta «che si sondino l’inesorabile e il paradosso che la logica non riescono a dire e ad esprimere in termini solo concettuali» (p. 122). Dopo venticinque anni di riflessione, perciò, Pareyson dichiara, nel 1972, che ha dato al suo libro il titolo Verità interpretazione non in ossequio alla moda ermeneutica di quegli anni, ma per porre in scritto una sua meditazione durata da almeno un quarto di secolo; in essa «la riflessione di estetica filosofica è parte integrante della svolta ermeneutica» (p. 107)
Pareyson ha sempre difeso, nella sua filosofia, «la centralità delle questioni dell’esperienza storica e dell’approccio all’estetica», allo scopo di difendere la filosofia «dall’invadenza della scienza, della religione e della politica, ossia dalla crescente superstizione scientifica, del fanatismo religioso e dalle distorsioni dell’ideologia che non sembra essere una conclusione del pensiero esistenziale, ma spesso una sua distorsione» (p. 107). Anche De Carolis compie questa sua ricognizione critica del pensiero di Pareyson, ben destreggiandosi fra tenebra e luce, consapevole di operare da intellettuale in un peculiare contesto ultramoderno, che egli ritiene qualificato dall’accentuato senso di precarietà della nostra storia. «A nostro avviso», scrive l’autore, «esso si manifesta nell’eclissi del Sacro e in una singolare proliferazione dell’irrazionale» (p. 167), come si può ben constatare nel culto dell’efficienza, nella ricerca di sensazioni misteriose, nei rituali di massa, nel bisogno inquieto di salvezza. Il confronto con l’ultimo Pareyson consente tuttavia, osserva De Carolis, il superamento del «relativismo […] quanto mai evidente in ambito etico ed estetico», al punto che «ognuno sceglie le sue convinzioni etiche e che arte o bellezza sono il settore del solo piacere soggettivo» (p. 191). Anzi, grazie all’incontro con lo penumatologico, «cioè con una possibilità abissale della storia» (p. 191), ci si può elevare al «simbolismo della trascendenza, veicolo o sguardo dell’inesauribile e dell’inoggettivabile» (ivi).
A costo di dare al lettore la sensazione di ricominciare sempre da capo, De Carolis ripropone, alla fine del volume, anche alcune riflessioni di Gianni Vattimo su Pareyson, di cui il teorico italiano del pensiero debole fu allievo (come lo fu pure di Karl Löwith e di Hans Georg Gadamer). Quando propone queste apparenti digressioni, De Carolis non risparmia al lettore piccoli medaglioni contenutistico-bibliografici, come appunto nel caso di Vattimo (cf. pp. 235-241), ma tiene sempre presenti le costanti linee portanti del pensiero di Pareyson, enunciate fin dall’esordio del volume. Tali linee hanno segnato come a fuoco l’intera cultura italiana del secondo dopoguerra, «da Umberto Eco a Guido Ceronetti, da Gianni Vattimo a Sergio Givone» (pp. 21-22), come si esprimeva il giornalista Franco Marcoaldi su La Repubblica del 4 gennaio 1990. Il viaggio per liberarsi dalla corazza dei luoghi comuni idealistici e spiritualistici fa approdare Pareyson, seppur tardi, alla scoperta del male radicale, per cui egli «giunse alle sue ultime riflessioni e ad un’ontologia dell’esperienza religiosa in tempi di crisi latente» (p. 24), attraverso lo studio dell’esistenzialismo, la storiografia del romanticismo e dell’idealismo, l’elaborazione di un personalismo a carattere ermeneutico e intersoggettivo, l’approfondimento dei temi della verità e interpretazione «nel loro reciproco e storico implicarsi» (ivi).
In questo senso, come si ricava da una bella pagina di sintesi del volume di De Carolis, prendendo le mosse dalla crisi della metafisica e lungo un articolato percorso, sia speculativo che storiografico, Pareyson approda all’ermeneutica come ontologia della libertà: il che implica una lucida riflessione sul male, sul bene e sulla libertà. Non riducendo la questione del male a un problema di carattere esclusivamente etico, Pareyson cerca, dunque, di non impantanarsi in «insufficienze, mancanze abissali, fraintendimenti e reticenze continui», evitando di fallire «per l’illusione, forse trascendentale, di chiudere il pensiero in rassicurazioni, certezze e oggettivazioni» (p. 203). Al di là delle inflessioni etiche, il male svela un carattere esistenziale e religioso: un problema, come dice il titolo di questo volume, «che è caligine e oscurità» e per questo «costituiva parte insostituibile e centrale di una riflessione scomoda e difficile» (p. 26), con le sue categorie pregnanti quali la «prospettiva del perdono, che è la forma più difficile e rischiosa dell’amore» (ivi).
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 1-4/2016
(http://www.pftim.it)
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