Il Commento al Cantico dei Cantici di Origene, pervenutoci solo in parte e nella traduzione latina di Rufino, è non soltanto uno dei capolavori letterari e teologici della mistica cristiana antica, ma anzi uno degli scritti fondativi della teologia mistica e della spiritualità cristiana di tutti i tempi. Quel dramma d`amore che lo sposo e la sposa si cantano l'un l'altro e di cui il Cantico è il più alto racconto che la tradizione giudeo-cristiana mai abbia avuto si rivela essere la cerimonia in cui si celebrano le nozze mistiche del divino Figlio e della Chiesa tutta, o dell'anima. Il Cantico risulta essere, nell'analisi di Origene, un monumentale, architettonico affresco della vita dell'anima, anzi spettacolo tragico in cui si susseguono le alterne vicende dell`anima: la sua eterna origine in Dio, la sua caduta, il desiderio del Figlio e il suo finale ritorno a lui. Primo volume della collana Theánthropos.
Testi e studi sul cristianesimo antico, che accoglie i testi fondamentali della spiritualità cristiana dei primi secoli e i più recenti, significativi studi critici su di essa. Saggio introduttivo, traduzione e note di Vito Limone, già curatore del `Commento al Vangelo di Giovanni` di Origene delle edizioni Bompiani.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
1. Vita
Origene nacque intorno al 185 ad Alessandria d'Egitto. Il padre Leonida, che era cristiano, ne curò l'educazione, iniziando per tempo il giovane allo studio della sacra Scrittura. Leonida fu arrestato e confessò la sua fede col sangue al tempo di Settimio Severo, intorno al 202-203, e Origene, primo di molti fratelli, per qualche tempo fu maestro di scuola, per sovvenire alle esigenze della famiglia. Ma non ancora diciottenne fu incaricato dal vescovo Demetrio di curare la preparazione al battesimo dei catecumeni: in tale compito egli si distinse in maniera tale che, tornati tranquilli i tempi, il suo insegnamento fu conosciuto molto al di là dei limiti della scuola catechetica. Vennero a lui anche uditori pagani, sí che a partire da un dato momento Origene divise la scuola in due corsi: uno elementare ad uso dei veri e propri catecumeni per la preparazione al battesimo, tenuto dal suo amico e allievo Eracla; un corso superiore di cultura cristiana, aperto a tutti, anche non cristiani, impostato sull'interpretazione sistematica della sacra Scrittura e ovviamente tenuto dal già famoso esegeta. All'incirca in questo tempo Origene, spinto da giovanile entusiasmo e interpretando troppo alla lettera Mt. 19, 12, forse anche per evitare dicerie perché la scuola era frequentata pure da donne, si evirò.
Ormai la fama di Origene era diffusa per tutto l'Oriente, ed egli cominciò ad essere chiamato di qua e di là, sia per confutare eretici sia per proporre il suo insegnamento sia per accostare pagani di alto rango che avevano interesse per la religione cristiana: in tal senso egli ebbe vari contatti sia col governatore romano dell'Arabia, sia, ad Antiochia, con Giulia Mamea, madre dell'imperatore Alessandro Severo. Fra i molti cristiani che fuori d'Egitto si legarono a lui con profonda amicizia ricordiamo i vescovi Alessandro di Gerusalemme, Teoctisto di Cesarea di Palestina, Firmiliano di Cesarea di Cappadocia.
La grande fama di Origene cominciava a dare ombra al vescovo alessandrino Demetrio, il cui autoritarismo malamente poteva tollerare a fianco a sé un dottore di fama ormai universale e che perciò egli considerava troppo indipendente nei suoi riguardi. Comunque, la rottura definitiva si ebbe solo intorno al 230. Di passaggio per Cesarea, Origene fu ordinato prete da Alessandro e Teoctisto, senza che Demetrio, da cui Origene ecclesiasticamente dipendeva, fosse stato preavvertito. Demetrio considerò il fatto come un affronto alla sua autorità e fece condannare Origene da due concili tenuti ad Alessandria. Considerando ormai insostenibile la situazione in patria, Origene preferí abbandonare l'Egitto e stabilirsi a Cesarea di Palestina, ove apri una nuova scuola, che ben presto diventò famosa in Palestina, Siria, Arabia, Asia Minore: fra i suoi discepoli fu Gregorio il Taumaturgo, l'evangelizzatore del Ponto.
Se Roma aveva confermato la condanna che Demetrio aveva fatto infliggere ad Origene, le chiese d'Oriente in grande maggioranza non ne tennero conto, si che il grande studioso non solo poté continuare la sua opera di maestro, ma l'integrò con la predicazione in chiesa, che tenne con scrupolosa diligenza, mentre si moltiplicavano i suoi viaggi per richieste che giungevano d'ogni parte. Rimase celebre la sua disputa col vescovo Berillo di Bostra, la cui dottrina trinitaria suscitava profondi sospetti: Berillo alla fine della discussione si allineò sulla posizione di Origene.
Durante la persecuzione di Decìo (250), il grande maestro fu arrestato e, nonostante l'avanzata età, fu sottoposto alla tortura, che sopportò senza cedimenti. In questa occasione il vescovo di Alessandria, che allora era il suo antico allievo Dionigi, lo riconciliò con la sua chiesa. Lasciato in libertà, ma ridotto in cattive condizioni di salute per gli strapazzi subiti, Orìgene mori nel 253 a Tiro, in Fenicia, dove si era ritirato non sappiamo per quali motivi.
Già durante la sua vita Origene aveva subito diverse critiche da parte di cristiani che non condividevano i suoi principi esegetici e certi aspetti della sua teologia, considerata troppo tributaria della filosofia greca. Tali critiche non furono estranee alla condanna inflittagli da Demetrio, anche se la motivazione ufficiale fu solo di carattere disciplinare. Dopo la sua morte, gli ambienti legati alle scuole di Alessandria e Cesarea portarono avanti l'impostazione esegetica e dottrinale del maestro, procurandole ampia diffusione ma suscitando anche aspri contrasti. Negli anni di passaggio fra i seco. III e IV la controversia origeniana era in pieno sviluppo in area siropalestinese e anche altrove, in Oriente. Nuove critiche furono mosse ad Origene verso la fine del sec. IV e poi ancora nel sec. VI, soprattutto in conseguenza della diffusione e della radicalizzazione che la dottrina di Origene aveva avuto in ambienti monastici. Dopo varie condanne, si giunse ad una condanna definitiva nel concilio ecumenico di Costantinopoli nel 553.