Etica della Verità e dell'Amore
-Antologia commentata dei Principi della Scienza Morale
EAN 9788864091068
Prosegue lo sforzo di «riferimento alle fonti cristiane» che l’editore persegue nella sua opera di «revisione in campo storico, filosofico, culturale, letterario e spirituale» intesa a creare le condizioni per «una nuova vita culturale cattolica». Il vol. – come dice il sottotitolo – è un’antologia (in italiano corrente) di passi scelti dai Principi della scienza morale (1831), uno scritto nel quale R. – scrive l’editore – «mostra la derivazione della morale da una fonte trascendente» scongiurando ogni «relativismo etico» e smascherando ogni «forma di egoismo che rifiuta colposamente il giusto e l’onesto per acquietarsi nei piaceri individuali».
Tratto dalla Rivista Il Regno 2012 n. 6
(http://www.ilregno.it)
Con questo volume, G. Chimirri ripropone in forma antologica e per la prima volta commentata I Principi della Scienza Morale (1831) di A. Rosmini (d'ora in poi PSM).
Dopo un'introduzione sulla vita e le opere di Rosmini, il curatore illustra gli assi portanti dell'etica rosminiana, che insieme a quelli caratteristici dei PSM e sulla scorta del commento che l'accompagna, possiamo individuare nei seguenti punti: centralità dell'etica per la vita umana; unità e correlazione di teoria e pratica, di conoscenza e volontà; relazione tra soggettivo e oggettivo; individuazione del bene nell'essere, fondazione religiosa dell'etica; compimento dell'etica nella carità cristiana. Vediamo rapidamente questi sei punti, citando insieme al numero della pagina di quest'antologia, anche i riferimenti ai testi rosminiani secondo le «numerazioni canoniche» (o indicando il capitolo e il paragrafo laddove la numerazione manca).
La centralità dell'etica per la vita umana. Fra le note tre forme dell'essere (ideale, reale, morale) quella "morale" è la più importante, poiché "lega indissolubilmente" le altre due. Afferma Rosmini: «[...] l'atto morale abbraccia virtualmente tutto l'essere nelle sue tre forme, perché è sua essenziale condizione il giudicare ogni cosa in relazione alla "totalità dell'essere"» (Teosofia, 900).
Unità e correlazione di teoria e pratica, di conoscenza e volontà. L'intelletto conosce e contempla l'"oggetto" (il vero, il bene, la qualità di una cosa), mentre è di competenza dell'"assenso" volontario e libero, ovvero della "stima pratica", riconoscerlo e appropriarselo. La volontà è l'elemento che "congiunge" il teorico con il pratico, l'intelletto con l'agire, l'idea con il bene (la realtà etica): «[...] nell'atto della riflessione, la volontà si muove (rettamente o no) per posarsi dove vuole e per produrre a sé stessa la "viva apprensione" del pregio e del difetto delle cose; apprensione "vera" quando vede ciò che c'è effettivamente, e "falsa" quando vuole vedere ciò che non c'è nella cosa. L'apprensione finisce col "giudizio pratico" (la stima della cosa), cioè col "riconoscimento" (fedele o no) di ciò che è percepito nella conoscenza: qui risiede il "consenso morale"» (34: PSM V, 3).
Relazione tra soggettivo e oggettivo. Le leggi e le massime morali hanno certo una loro "oggettiva universalità", eppure questa oggettività è quella data dall'uomo (dalla sua intelligenza espressa nel giudizio), che deve non solo interiorizzare quelle leggi, ma anche "applicarle" nei casi concreti in modo "creativo e personale" (65ss). Scrive M. Dossi nel volume Profilo filosofico di A. Rosmini (citato dal Chimirri a p. 67): «[...] rispetto alla posizione kantiana, che evita l'"eteronomia" riconoscendo al soggetto la capacità di dare-a-se-stesso la legge, Rosmini propone un'interpretazione in cui l'"alterità" della legge non entra in conflitto con l'autonomia e dignità del soggetto, ma anzi risulta essenziale al costituirsi della sua stessa "identità morale". L'uomo, pur cogliendo la legge morale come qualcosa di obiettivo che gli s'impone coma "altro" dalla sua coscienza non avverte quell'imperativo come "estraneo-a-sé", ma lo riconosce "essenziale alla costituzione di sé"».
Individuazione del bene nell'essere. Strettamente connesso al tema di cui sopra, è quello sul rapporto bene/essere. Scrive Rosmini: «[...] contrariamente al senso, che percepisce "soggettivamente", l'intelletto percepisce "oggettivamente" e si concentra sul suo oggetto come distinto da sé: da qui la possibilità di considerare l'essere universale in se stesso, attraverso l'operazione intima dell'"intendere", che unisce senza confonderli il "soggetto percipiente" con l'"oggetto percepito", e rispettandone i distinti caratteri, per cui dall'"oggetto" viene tutta la forza obbligante, e dal "soggetto" viene il sentimento e la consapevolezza della medesima» (66-68: PSM I, 4). Ecco dunque il "realismo etico" rosminiano che evita gli estremi del soggettivismo e dell'oggettivismo, dell'idealismo e del materialismo. Un realismo "personalistico" e "ontologico", nella misura in cui pone l'uomo al centro dell'universo, con il compito però di riconoscerlo «alla "luce" dell'"Essere"».
Fondazione religiosa dell'etica. Superando ogni relativismo etico, Rosmini mostra la derivazione della morale da una fonte trascendente, necessaria all'individuazione ordinata del bene. Il senso ultimo della morale si compie solo alla luce del destino meta-storico dell'uomo, in vista di quella beatitudine che la congiunzione con il Bene-Assoluto (il Dio-Amore) può dare. Scrive Rosmini: «[...] il principio "fa del bene all'uomo" non è il primo o il solo principio della morale, poiché c'è un altro principio "precedente" che l'appoggia: "ama il Creatore". Dio e il prossimo: ecco gli elementi di una morale "completa"» (39: citazione dalla Storia comparativa e critica dei sistemi intorno al principio della morale VIII, 7).
Compimento dell'etica nella carità cristiana. Per Rosmini e siamo al sesto e ultimo punto la moralità non è fine a se stessa, ma è vista come un perfezionamento del rapporto che l'uomo deve avere con l'Essere, che è "Dio-Carità": «[...] solo quando a quest'ultima altezza si rivolge l'amore dell'uomo, il suo amore è "perfettamente morale", perché qui "si ama l'essere" e il suo "ordine", che non è compiuto se non ascendendo al Principio dell'ordine stesso, ossia a quell'Essere nel quale sono e stanno tutti gli esseri» (114: PSM IV, 8).
Da questa breve sintesi emerge un'etica che è, in primo luogo, un'"etica come Verità", ovvero un'"etica come "giudizio di verità", che ci propone di riconoscere l'essere oggettivo delle cose; in secondo luogo, si tratta di un'"etica come Amore", che propone di voler bene all'altro, secondo le sue perfezioni, contro ogni forma di egoismo che rifiuta colposamente il giusto e l'onesto per acquietarsi nei piaceri individuali. Da qui, per Rosmini, l'origine del male, il disprezzo del prossimo e la negazione di quella "scintilla divina" che ognuno reca in sé.
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 4/2013
(http://www.rassegnaditeologia.it)
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