Pietre che affiorano. I mediatori efficaci in educazione con la «logica del domino»
(Il domino dei mediatori)EAN 9788861373228
E' inconsueto che l’apertura di una nuova collana – «Il domino dei mediatori» – veda il curatore impegnato nella doppia veste sia di autore delle riflessioni sia di ricettore delle azioni che da quelle riflessioni discendono. Andrea Canevaro, infatti, – docente di Pedagogia speciale e delegato del rettore per gli studenti disabili presso l’Università di Bologna, nonché a lungo collaboratore della nostra rivista – così si racconta: «Sono costretto a dare alcune informazioni di carattere personale a chi legge. Lo faccio controvoglia perché sembra un’esibizione, cosa che non gradisco, ma è necessario per far capire. Nel febbraio 2008 ho avuto un’emorragia cerebellare e mi ha lasciato un problema serio che è quello di non avere il controllo delle funzioni dell’equilibrio motorio, per cui mi manca tutto quello che tecnicamente si chiama proprio-cettivo, la percezione dello spazio e quindi la possibilità di muovermi con sicurezza controllando i miei movimenti. In parole povere: perdo l’equilibrio.
Questo mi permette di fare un’esperienza per certi versi molto interessante. Non lo dico per esibire un tono che non è mio, ma perché mi fa capire alcune questioni. Questo è l’elemento necessario per capire perché mi accingo a fare una sorta di revisione di alcune parole chiave, una sorta di glossario – se vogliamo – in cui alcune parole sono interpretate in due versanti: uno è quello della condizione in cui mi ritrovo e l’altro è quello della condizione degli altri. Dicendo “la condizione in cui mi ritrovo” non voglio farla diventare una condizione esclusivamente mia, ha molte analogie con tante altre condizioni che mancano di alcune funzioni (…). Sono condizioni particolari che fanno sì che manchi qualche cosa e che alcune parole abbiano un significato differenziato per chi è in condizioni particolari e per chi è invece in condizioni chiamiamole “normali”».
E questa doppia veste sia di esperto sia di paziente rafforza il valore comunicativo di una collana che ci introduce nel mondo di chi, in gergo, è chiamato «mediatore»: figure che, come «semplici sassi che offrono appoggio e sostegno a chi vuole attraversare un corso d’acqua per raggiungere l’altra sponda, permettono di costruire collegamenti e di superare problemi ». «Il primo termine – prosegue l’autore – è “reciprocità” (…). Parlando sempre con riflessioni molto personali, sono fuori dalla dimensione e dalla dinamica della reciprocità. Che cosa significa questo? Non certo che non sono come gli altri, ma mi manca la possibilità di vivere la reciprocità legata, nel mio caso, al movimento. Non posso pretendere che gli altri capiscano la mia situazione che non è percepibile: appaio come una persona che può fare tutto e invece non è così. Il movimento degli altri non è il mio e se, percorrendo un marciapiede, le persone vengono in direzione opposta, mi sento vagamente destabilizzato e posso anche maturare un certo rancore nei confronti degli altri perché mi sembra che non vogliano capire – ma in realtà non possono capire – che la mia condizione è diversa dalla loro. Avrei la pretesa quasi che loro si fermassero e mi lasciassero lo spazio libero per poter procedere secondo le mie condizioni.
È una pretesa che non posso avere (…). Bisogna che sia io ad acquisire la comprensione della loro incomprensione». Dopo aver passato in rassegna la fertile concezione del corpo in Merleau-Ponty, Canevaro si sofferma sull’idea di controllo che non necessariamente deve passare attraverso procedure standardizzate uguali per tutti, così come un aiuto in quanto tale non è necessariamente d’aiuto a tutti, ma anzi può rivelarsi controproducente. In questo senso una strategia di aiuto è capace di una saggia valutazione del tempo, inteso sia come «microperiodizzazione» dei successi ottenuti nel percorso riabilitativo – sul modello dei «dodici passi» degli alcolisti anonimi – che aiuti a gustare le piccole conquiste, sia come valorizzazione di un presente che non può sempre voltarsi indietro a rimpiangere il passato.
Dice infatti l’autore: «Dire “ho avuto un incidente” e pensare come ero prima e come sono diventato dopo l’incidente significa dividere in due parti la vita e metterle a confronto. In questo confronto “perde” la seconda parte che è sempre sottoposta a giudizio in rapporto alla qualità, alle competenze, all’efficacia delle funzionalità che c’erano nella prima parte». Per questo «non mi piace quando, per incoraggiarmi, mi si dice che riprenderò a essere come un tempo. In futuro non so cosa accadrà. Come mi ha detto un illustre specialista, confermando che il danno che ho me lo tengo, e accompagnando questa affermazione con un “però”, conosciamo il futuro solo vivendolo». Una visione che accetta la fragilità del presente puntando a un miglioramento graduale, può anche evitare di far cadere nel «vittimismo, ovvero quella strana condizione in cui un soggetto lamenta la propria condizione di vittima, ma la conferma in ogni azione, perché ne vive aspetti, organizzativi ed esistenziali, a cui non rinuncia, pur lamentandosene. Come si può capire sono situazioni contorte.
Chi non vive in condizioni speciali, molto probabilmente si sentirebbe in colpa a fare queste affermazioni che sembrano accuse, ma non lo sono. Il vittimismo è anche guardare sempre indietro, magari ripercorrendo sempre la propria storia per sottolineare torti subiti e rivendicazioni disattese». Molte sono le altre pietre lasciate affiorare dall’autore nel grande letto del fiume che è il mondo contemporaneo, dove non mancano violenze, dolori, marginalità. Ritornano frequentemente i temi cari alla sua riflessione come cooperazione, co-educazione, decentramento, partecipazione, co-sviluppo e altri ancora: detti oggi acquistano un sapore nuovo, al punto che alla fine dell’intero percorso le tante pietre potrebbero disegnare un ponte.
Tratto dalla rivista Il Regno n. 22/2008
(http://www.ilregno.it)
-
11,00 €→ 10,45 € -
15,00 €→ 14,25 € -
12,00 €→ 11,40 € -
19,80 €→ 18,81 €