Autorità contestata e confermata
(Aloisia)EAN 9788861243989
Il consistente studio di Enzo Appella, frutto della sua tesi dottorale, edito nella collana Aloisiana della Sezione San Luigi della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, affronta un tema di perenne attualità, quello dell’autorità e della sua contestazione. Il tema è bene attestato nell’Antico come nel Nuovo Testamento. La vicenda di Mosè guida del popolo di Dio verso la liberazione e della sua contestazione avvenuta in più di un’occasione (Es 15,20, 32,11-14.30-34; Nm 11,2…) è il motivo che spinse il Siracide a esprimere il suo giudizio sulla fedeltà e la mansuetudine di Mosè (cf. Sir 45,4), motivo ampiamente ripreso nella tradizione giudaica (cf. Testamento di Mosè 12,6-10). In ambito biblico la contestazione dell’autorità mosaica nella guida di Israele rappresenta un punto di riferimento originario, frutto di una riflessione avvenuta nel corso della storia di Israele dinanzi ad altri casi di contestazione dell’autorità. Nell’introduzione al volume dedicato all’analisi meticolosa della storia di ribellione di Core, Datan e Abiram in Nm 16, Appella sottolinea come la vicenda rappresenti un culmine assoluto nella storia delle ribellioni punite da Dio nel corso della storia salvifica (cf. p. 14). Nm 16 è tuttavia un testo in parte enigmatico, di difficile interpretazione. L’autore enuclea le domande fondamentali che motivano il suo approfondimento: quale messaggio intende veicolare un testo tanto particolare da suscitare qualche imbarazzo al lettore della Bibbia di ieri e di oggi? Non invita forse il testo a prendere parte alla contestazione di Core verso un’autorità considerata come indiscutibile? Il percorso esegetico, attraverso l’uso integrato delle metodologie esegetiche (critica storico-letteraria e narrativa), ha come punto di approdo una proposta teologica di grande interesse sotto il profilo teologico ed ecclesiologico, come mette in evidenza l’ultimo capitolo del libro, Tra “comunità” e “autorità”. La prospettiva teologica del racconto di Nm 16.
Cominciando dalle incongruenze del testo e dalle domande che da sempre ha suscitato nel lettore, Appella mostra come esso, passato al vaglio della critica letteraria, abbia portato a differenti conclusioni gli studiosi, accomunati tuttavia dall’idea condivisa della fusione di testi differenti. Egli indica con chiarezza le diverse ipotesi avanzate dalla critica storica e letteraria, un lavoro svolto con attenzione, di grande utilità anche didattica. Offre un utile schema riassuntivo delle posizioni degli studiosi che sostengono la teoria documentaria (p. 49), distinguendo tra le parti del testo attribuite al cosiddetto documento Jehovista (JE) al racconto sacerdotale (Pg) e alle aggiunte sacerdotali (Ps) fino ai versetti attribuiti generalmente alle “saldature” redazionali. Appella constata, tuttavia, al termine del suo excursus la sterilità di distinzioni tra fonti letterarie sempre più frammentate e di difficile individuazione. Spostando lo sguardo allo studio della tradizione che fu alla base delle composizioni letterarie e ai motivi per i quali la redazione ritenne utile mantenere anche le incongruenze in quello che sarebbe stato il racconto finale, stabilisce come punto di riferimento l’acquisizione condivisa della confluenza di materiale sacerdotale (P) con quello non-sacerdotale (non-P).
Senza trascurare le provvisorie acquisizioni della critica letteraria e storica, l’autore sceglie di concentrare l’attenzione sulla narrazione a partire dalla sua forma attuale, così come deve averla costruita il redattore finale, benché sulla base di racconti e tradizioni a lui precedenti anche di molto. Le tensioni riconosciute ma non del tutto risolte con l’ausilio del metodo storicocritico (I capitolo) vengono considerate, con l’ausilio dell’analisi narrativa, elementi utili a comprendere il senso dell’intreccio che il testo stesso, nella sua forma finale, propone (cap. II).
L’ipotesi, argomentata attentamente nel volume, è che il capitolo abbia un suo specifico messaggio teologico rispetto a decostruzioni che vedono in esso il risultato di una complessa storia di formazione. Un’osservazione, quest’ultima, che orienta in maniera rinnovata anche la lettura dell’intero libro dei Numeri spesso considerato frutto di un lavoro compositivo frammentato. Proprio l’esame del capitolo 16 sembra indicare che l’intero libro abbia una sua peculiarità rispetto alle altre parti del Pentateuco e risponda a un disegno preciso da far risalire all’epoca post-esilica, offrendo alle diverse parti giudaiche la possibilità di inserire visioni teologiche diverse fino al compromesso tra concezioni distinte, quella sacerdotale e quella laica.
Tutto ciò è basato sulla ricostruzione che l’autore propone a proposito del complesso processo di formazione del testo attuale rovesciando in parte le posizioni classiche. Contrariamente a quanto era sostenuto a partire dall’impianto base della teoria documentaria, e cioè l’antichità riconosciuta al materiale classificato come Jehovista, Appella ritiene che quello stesso materiale sia meglio inquadrabile nel periodo post-esilico. Dall’altra parte anche per il materiale attribuito all’autore sacerdotale è possibile risalire a diverse fasi di composizione. L’autore si sgancia dalla teoria delle fonti per accogliere, sostenuto da diversi studiosi, una teoria più vicina a quella dei complementi: frammenti cioè tradizionali di diversa epoca confluiti nel tempo intorno a un documento base fino alla fase redazionale e alle aggiunte post-redazionali.
Un contributo di rilievo per la comprensione del testo è offerto col sottolineare a più riprese come la narrazione di Nm 16 vada collocata nel contesto più ampio del tema/motivo della “mormorazione”, ben attestato nel Pentateuco. L’autore illustra in maniera convincente la distinzione necessaria tra la ricorrenza del tema prima e dopo l’evento sinaitico. Dopo la tappa del Sinai, infatti, diversamente da ciò che accade precedentemente, alla mormorazione contro Jhwh segue la punizione secondo la logica retributiva: l’alleanza chiede l’osservanza e la mancanza di questa la punizione. Lo studio della struttura complessiva di Nm, in relazione al fulcro riconosciuto nei capitoli 13-14, suggerisce che il lavoro redazionale sia stato orientato da un quadro di riferimento generale da parte del redattore e non frutto casuale di una confluenza di più fonti o documenti (p. 67), acquisizione questa da cui Appella parte per l’analisi narrativa ponendo attenzione alle componenti intradiegetiche fino a ipotizzare le tappe redazionali del testo attuale (cap. II).
Il modo di procedere, benché costellato di citazioni dall’ebraico che rendono più ardua la lettura a chi non conosce la lingua, è estremamente chiaro. A ogni passaggio l’autore riassume, valutandole, le acquisizioni precedenti, per indicare i passi nuovi che si possono muovere per la comprensione del testo. Nel capitolo II l’attenzione didattica cresce determinando la dilatazione delle indicazioni metodologiche relative all’analisi narrativa di cui sono illustrati e scanditi i singoli passi come in un esercizio metodologico (cf. 69ss). L’attenzione accurata ai passi metodologici crea talvolta un rallentamento nel procedere dell’analisi aumentata dall’esposizione piuttosto prolungata di “esemplificazioni” tradizionali, per esempio sulla delimitazione del testo (pp. 77-79). Così pure l’illustrazione dei passi per procedere, con i criteri della metodologia narrativa, alla delimitazione della pericope che, tuttavia, conferma sostanzialmente la delimitazione tradizionale (Nm 16,1-35), con una probabile appendice interpretativa in 17,1-5 (p. 81).
L’esame delle scene che si succedono e danno corpo all’episodio che si presenta come dramma è esposto con dovizia di particolari, sempre con riferimento al testo ebraico, giungendo a rilevare l’efficacia del racconto cominciando dall’iniziale esposizione del fatto fino alla soluzione e alla situazione finale. Facendo proprie le grandi direttrici segnate da Auerbach (Mimesis), da Alter (L’arte della narrativa biblica) e da altri riferimenti classici, Appella giunge in maniera convincente a spingere l’analisi sul “non detto” del racconto, su quanto il narratore intende comunicare al lettore circa il mondo e perfino le intenzioni dei suoi personaggi e la vicenda che animano. Non si tratta tuttavia di soggettive ricostruzioni psicologizzanti, come avviene talvolta anche in recenti pubblicazioni, ma di collegamenti intratestuali che forniscono al lettore le chiavi di interpretazione del capitolo nel quadro più ampio di Nm e della storia esodica. Seguendo la genealogia dei figli di Levi, nel collegamento intertestuale al libro dell’Esodo (6,14-25), emerge che Core, cugino di Aronne e di Mosè, viene per così dire scalzato dalla guida dei Keatiti da Elsafan, come anche le tradizioni rabbiniche mettono in evidenza. Analogamente si può dire di Datan e Abiram, ultimi della generazione di Ruben (Nm 26,5-11), i soli a non avere il ruolo di governo nel popolo. Appare qui, ben identificato dall’autore, il topos biblico del figlio/fratello minore che scalza il maggiore, come nel noto caso di Giacobbe/Esaù.
La dovizia di particolari, soprattutto nell’esposizione delle diverse possibilità di lettura di termini (per esempio il caso del primo verbo della narrazione: E Core “prese”) sebbene dilati il testo con il richiamo a diverse ipotesi, ha il pregio di offrire un quadro completo delle possibilità segnalate dalla tradizione interpretativa (cf. pp. 133-139). L’incipit di Nm 16 è difatti monco, mancando l’oggetto dell’azione di Core, un elemento di disturbo risolto con emendazioni del testo oppure cogliendo il senso di indeterminatezza come un segno che il narratore vuole dare al lettore: un’iniziativa che nasce dal desiderio di potere e che non giungerà a risolverlo. Attraverso le successive azioni di Core, caratterizzazione che, benché minimale, può farlo apparire come un liberatore dallo strapotere di Mosè e di Aronne, si svela la natura ingannatrice della sua rivolta come apparirà gradualmente chiaro nella narrazione. Core è l’antagonista per eccellenza e, accanto a lui, Datan e Abiram più esplicitamente presentati come “uomini ribelli”, divenuti oppositori di Mosè e ancor più di Jhwh, liberatore dalla terra che li aveva schiavizzati, da essi paradossalmente definita come “terra di latte e miele” (pp. 164-165). Datan e Abiram sono gli oppositori mentre protagonista del racconto è Mosè (cap. V), accompagnato da suo fratello Aronne. La posizione di Mosè risulta eminente, il giusto vincitore del confronto nato dall’ingiusta ribellione. Un intero capitolo (VI) è dedicato allo studio del racconto della ribellione nella storia degli effetti. Nel capitolo sono passate in rassegna le attribuzioni ai personaggi della ribellione, a partire dalla LXX per poi passare alla tradizione rabbinica, a Filone, Giuseppe Flavio e Pseudo Filone fino alla prima letteratura cristiana (Nuovo Testamento, apocrifi e scrittori dei primi secoli) giungendo alla lettura dell’episodio nel Corano (pp. 221s), dove Core è menzionato tre volte.
Il racconto di Nm 16 nel suo insieme è il frutto di un “compromesso” che trova le sue ragioni storiche nella posizione di Israele nel periodo persiano. È il lavoro di unificazione delle storie riportate, secondo la propria specifica prospettiva, da due gruppi di tradenti: la corrente “laica” corrispondente grosso modo al consiglio degli anziani, che si rifaceva perlopiù all’aristocrazia terriera, e la corrente sacerdotale con la sua prospettiva prevalentemente teologica e orientata alla difesa delle prerogative delle famiglie sacerdotali del secondo tempio. Qui Appella segue la teoria dell’autorizzazione imperiale (cf. nota 23, p. 228). Citando Albertz l’autore sostiene che in Nm 16 si riflettono i concreti punti controversi tra i due gruppi responsabili del Pentateuco.
Il libro dei Numeri (e qui si riferisce soprattutto a Römer) sarebbe da considerare una composizione ponte tra i primi tre libri (già assemblati sotto l’autorità sacerdotale) e il Dt. La nostalgia dell’Egitto, infatti (la terra dove scorre latte e miele!), rappresenta un rovesciamento della prospettiva esodica della liberazione e trova il suo contesto più probabile nella perplessità degli esuli in Babilonia per un’uscita verso la Terra di Israele (p. 239s).
Per comprendere il rilievo della contestazione dell’autorità mosaica è illuminante quanto l’autore osserva a proposito di Nm 16,30 letto alla luce del contesto storico della redazione. Qui in particolare, il problema non è posto sulla questione del rapporto tra Mosè e profezia quanto sulla questione dell’autorità, su chi è legittimato a governare (p. 242). La profezia, dai teologi laici, non rappresentava una carta valida per la legittimazione presso l’autorità persiana, bisognava perciò mettere in chiaro che la funzione profetica è da sottomettere a Mosè; nello stesso tempo bisognava tenere a bada le pretese dei gruppi sacerdotali e il loro richiamo ad Aronne; l’istituto degli anziani doveva poi essere messo in relazione a Mosè per legittimarne l’autorevolezza. L’autorità mosaica poteva rappresentare perciò un punto di equilibrio accettabile.
La prima tradizione, anticosacerdotale, parla dunque solo della rivolta di Datan e Abiram e risale al tempo della riforma giosiana: l’episodio suona come severo ammonimento a chi avesse voluto mettere in discussione l’autorità mosaica e con essa la politica di Giosia. Le rielaborazioni della tradizione collocate da molti in epoca pre-deuteronomistica sarebbero invece da collocare in epoca post-esilica, anche se l’autore confessa che la conoscenza del giudaismo post-esilico rimane rudimentale (p. 234). La mano sacerdotale più antica sarà responsabile dell’unificazione di questa tradizione con quella dei 250 capitribù. Core viene invece inserito dalla redazione sacerdotale tardiva, fatta entrare con la ribellione dei leviti contro Aronne (p. 245). L’autore ritiene di poterlo argomentare osservando il linguaggio sacerdotale recente. Il contesto a cui far risalire l’inserimento della lotta dei Leviti (Core) contro i sacerdoti di Aronne è piuttosto quella del secondo tempio. Insomma, un’aggiunta post-redazionale. Così Nm 16 diventa il testo in cui più chiaramente viene espresso il conflitto tra sacerdoti e leviti (tensioni che si avvertono già in Lv 10, testo molto vicino al nostro).
Di particolare interesse risulta l’approfondimento condotto, sulla scorta dell’analisi del testo, la prospettiva teologica di Nm 16 “tra comunità e autorità” a cui è dedicato il cap. VIII. Si constata il numero di ricorrenze relativamente alto del termine ‘edâ (“comunità”, “assemblea”) che ricorre ben 14 volte sulle 500 parole del racconto, insieme al termine qahal (“congregazione”), che appare all’inizio e alla fine del racconto. L’uso dei due termini è in particolare sacrale anche se in altri casi si può avere un’accezione militare (assemblea militare) verificabile in qualche caso anche per ‘edâ. Dal punto di vista storico il racconto di Nm 16 vuole insistere sul rapporto equilibrato tra la comunità di Dio e l’autorità in essa esercitata, nel contesto della necessaria presentazione dell’Israele post-esilico alla potenza persiana. Gli autori sacerdotali hanno privilegiato ‘edâ rispetto a qahal conferendo al termine una forte connotazione teologica “la comunità cultuale radunata”. È l’Israele che si attiene alle leggi, la comunità cultuale che nasce con la celebrazione della Pasqua (Es 12,3 la prima ricorrenza di ‘edâ) e che cammina come comunità cultuale guidata dai suoi capi verso la terra promessa attraverso la guida dell’autorità autorizzata da Jhwh. In Nm la ‘edâ, la comunità, è presentata come schiera di tipo militare e nel contempo come assemblea convocata da Jhwh e dall’autorità costituita, Mosè e Aronne. I primi capitoli del libro rappresentano un’organizzazione militare, architettonicamente ben costruita per formare un quadrilatero intorno alla Tenda del Convegno, un’organizzazione che richiama il futuro tempio. Ma ciò che si dimostra di particolare rilievo è la posizione di Mosè e di Aronne, a oriente, mentre gli altri figli di Keat, tra i quali Core, dovrà posizionarsi a sud. È qui che Appella individua l’elemento discriminante fonte della futura ribellione. Una disposizione presentata in Nm 1-4 come espressione di un ordine, a base teologica, disposto da Jhwh stesso. Dalla fondamentale tappa del Sinai in avanti, tuttavia, la comunità costituitasi dall’uscita dall’Egitto viene di volta in volta connotata positivamente o anche negativamente come luogo di mormorazione: l’autore mostra come la diversa connotazione venga riflessa anche dal diverso uso del termine a seconda se sia usata in forma assoluta (spesso soggetto delle mormorazioni) o in forma costrutta: comunità di Jhwh o comunità di Israele (che mantiene la sua connotazione positiva, a sfondo quasi sacrale). L’elencazione dei riferimenti mostra, tuttavia, e Appella lo riconosce, qualche eccezione, per esempio al capitolo 17 (cf. p. 298). Nel capitolo 16 la ‘edâ di Core rappresenta evidentemente un’aggregazione diversa dall’insieme della comunità di Israele, il gruppo capeggiato dal rivoltoso Core, come risulterà poi dalla controprova della punizione diretta solo contro l’assemblea di Core. Questi utilizza impropriamente la forza simbolica di un’assemblea, la ‘edâ, che contesta le sue guide, ma essa non rappresenta l’intera ‘edâ di Jhwh. Del resto nel Pentateuco il termine è utilizzato per indicare sempre l’assemblea di Israele, di Jhwh, e non un gruppo particolare. Quella convocata da Core è dunque un’assemblea sostanzialmente diversa che si presenta come alternativa alla ‘edâ guidata da Mosè e Aronne. Il capitolo 16 può dunque rappresentare la crescente opposizione levitica rispetto alla gerarchia sacerdotale imposta dai coloni esiliati in Babilonia, sicuri com’erano del sostegno delle autorità persiane (p. 301). Ipotesi, questa, confermata dal racconto del successivo capitolo 17, dove il prodigio del bastone fiorito di Aronne accentua, allo scopo di legittimarla, una superiorità del potere sacerdotale rispetto al potere civile rappresentato specialmente dal consiglio degli anziani. Per il giudaismo del secondo tempio Jhwh va riconosciuto come vero arbitro delle sorti di Israele e i suoi legittimi rappresentanti sono i discendenti di Mosè e di Aronne, guide della vera “comunità” d’Israele.
L’accurato studio di Appella ha il pregio della precisione, della meticolosità nell’indicazione delle fasi metodologiche e, nonostante l’ampiezza di alcune parti che si presentano quasi come excursus, risulta di scorrevole lettura. Come spesso accade in pubblicazioni che utilizzano i caratteri ebraici, alcune separazioni dovute al rinvio accapo risultano incongruenti con la scrittura da destra a sinistra (cf. p. 43 ultimo rigo; p. 47 3° rigo…). La ricca bibliografia, opportunamente ordinata per materia, le note a piè pagina, così come gli indici finali, mettono a disposizione del lettore strumenti utili per l’approfondimento specifico ma anche per l’offerta di un’ampia gamma di testi per l’introduzione alle metodologie diacroniche e sincroniche. Questo studio ha soprattutto il merito di proporre all’attenzione degli studiosi e dei cultori di Bibbia un libro biblico talvolta trascurato nelle pubblicazioni anche recenti, dando prova di quanto anche di fronte a un capitolo complesso come Nm 16 si possano individuare linee di lettura teologica di grande rilievo. Si colloca a pieno titolo nel più ampio dibattito sulla formazione stessa del Pentateuco, questione che tutt’oggi impegna gli studiosi di Antico Testamento.
Tratto dalla rivista "Aprenas" n. 3-4/2013
(http://www.pftim.it)
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