Citazione spirituale

Il dolore non è per sempre

-

Il mutuo aiuto nel lutto e nelle altre perdite

 
di

Arnaldo Pangrazzi

 


Copertina di 'Il dolore non è per sempre'
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EAN 9788859011187

Fuori catalogo
Descrizione
Tipo Libro Titolo Il dolore non è per sempre - Il mutuo aiuto nel lutto e nelle altre perdite Autore Editore Centro Studi Erickson EAN 9788859011187 Pagine 162 Data maggio 2016 Collana Capire con il cuore
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Pangrazzi
Arnaldo Pangrazzi «Non si può vivere senza soffrire. È una verità
Questo libro è rivolto a chi desideri utilizzare il mutuo aiuto nel spesso dimenticata, ma fondamentale: dalla culla
Ha coltivato un interesse par- alla tomba l'esistenza è costellata da un'infinità
ticolare per la metodologia del
sostegno a persone che vivono esperienze di fragilità e sofferen-
za (una morte improvvisa, un incidente, un suicidio, o altri tipi di di prove e distacchi, che costituiscono il terreno
mutuo aiuto quale preziosa ed
distacco, come l'abbandono coniugale o una malattia). su cui costruire la propria storia.
efficace risorsa comunitaria
per affrontare le perdite e Il gruppo rappresenta una risorsa preziosa per offrire un clima Non si può soffrire senza sperare. Quando la sof-
i lutti, in primis attraverso di accoglienza per le persone in lutto, incoraggiare l'espressione ferenza si veste di speranza può avere il volto del
l'esperienza diretta di anima- delle loro esperienze, creare un senso di appartenenza, stimolare coraggio, per andare avanti; della pazienza, per
zione di questi gruppi negli Stati Uniti e in Italia e, nuove conoscenze e nuovi modi di guardare alle cose, ripristinare dare tempo al dolore di essere assimilato; della
successivamente, attraverso la formazione all'uso di la loro fiducia in se stesse e contribuire al recupero della voglia di fede, per fare pace con un mistero che non si
razzi
Arnaldo Pang
questa strategia di aiuto in corsi animati in diversi vivere. In questo cammino è fondamentale il ruolo del facilitatore, può capire né spiegare.



RE NON È




IL DOLORE NON È PER SEMPRE
Paesi: Colombia, Spagna, Cile, Argentina, Ucraina. o animatore. Sulla scorta dell'esperienza pluridecennale dell'auto- Non si può sperare senza aprirsi. Perché la guari-



IL DOLO
Per le Edizioni Erickson ha curato i volumi: Aiutami a re, il volume offre quindi strumenti ed esempi di animazione per gione avvenga, occorre la disponibilità ad aprirsi
dire addio (2002), Vivere il Tramonto: Paure, bisogni e a Dio, agli altri, al futuro. Inoltre, la chiamata è
gruppi di auto/mutuo aiuto, ponendo al centro la persona e non
speranze dinanzi alla morte (2006) e Superare il lutto: ad aprirsi al dialogo, alla riflessione, alla medi-
il tipo di perdita, nella consapevolezza che ogni lutto è vissuto in


R SEMPRE
Pensieri, preghiere e testimonianze (2011). tazione, alla lettura, all'ascolto della natura, alla
modo soggettivo e che occorre che ogni dolente si senta accolto,
accettato e ascoltato.
Ricco di esempi concreti, schede operative e spunti per l'animazione
dei gruppi, il testo si rivelerà utile sia ai professionisti (psicologi,
PE
Il mutuo aiuto
nel lutto
collaborazione.»



educatori, sacerdoti) che facilitano gruppi di auto/mutuo aiuto,
ite
sia a chiunque abbia sperimentato un tipo di perdita e desideri e nelle altre perd
intraprendere un percorso di guarigione e condivisione assieme
ad altre persone provate da dolori analoghi.




Collana
CAPIRE CON IL CUORE
Collana I Psicologia I Educazione I Disabilità I Culture I Narrativa
CAPIRE CON IL CUORE
I Psicologia
Educazione
Disabilità
Culture ' 16,50
Narrativa
Pangrazzi
Arnaldo Pangrazzi «Non si può vivere senza soffrire. È una verità
Questo libro è rivolto a chi desideri utilizzare il mutuo aiuto nel spesso dimenticata, ma fondamentale: dalla culla
Ha coltivato un interesse par- alla tomba l'esistenza è costellata da un'infinità
ticolare per la metodologia del
sostegno a persone che vivono esperienze di fragilità e sofferen-
za (una morte improvvisa, un incidente, un suicidio, o altri tipi di di prove e distacchi, che costituiscono il terreno
mutuo aiuto quale preziosa ed
distacco, come l'abbandono coniugale o una malattia). su cui costruire la propria storia.
efficace risorsa comunitaria
per affrontare le perdite e Il gruppo rappresenta una risorsa preziosa per offrire un clima Non si può soffrire senza sperare. Quando la sof-
i lutti, in primis attraverso di accoglienza per le persone in lutto, incoraggiare l'espressione ferenza si veste di speranza può avere il volto del
l'esperienza diretta di anima- delle loro esperienze, creare un senso di appartenenza, stimolare coraggio, per andare avanti; della pazienza, per
zione di questi gruppi negli Stati Uniti e in Italia e, nuove conoscenze e nuovi modi di guardare alle cose, ripristinare dare tempo al dolore di essere assimilato; della
successivamente, attraverso la formazione all'uso di la loro fiducia in se stesse e contribuire al recupero della voglia di fede, per fare pace con un mistero che non si
razzi
Arnaldo Pang
questa strategia di aiuto in corsi animati in diversi vivere. In questo cammino è fondamentale il ruolo del facilitatore, può capire né spiegare.



RE NON È




IL DOLORE NON È PER SEMPRE
Paesi: Colombia, Spagna, Cile, Argentina, Ucraina. o animatore. Sulla scorta dell'esperienza pluridecennale dell'auto- Non si può sperare senza aprirsi. Perché la guari-



IL DOLO
Per le Edizioni Erickson ha curato i volumi: Aiutami a re, il volume offre quindi strumenti ed esempi di animazione per gione avvenga, occorre la disponibilità ad aprirsi
dire addio (2002), Vivere il Tramonto: Paure, bisogni e a Dio, agli altri, al futuro. Inoltre, la chiamata è
gruppi di auto/mutuo aiuto, ponendo al centro la persona e non
speranze dinanzi alla morte (2006) e Superare il lutto: ad aprirsi al dialogo, alla riflessione, alla medi-
il tipo di perdita, nella consapevolezza che ogni lutto è vissuto in


R SEMPRE
Pensieri, preghiere e testimonianze (2011). tazione, alla lettura, all'ascolto della natura, alla
modo soggettivo e che occorre che ogni dolente si senta accolto,
accettato e ascoltato.
Ricco di esempi concreti, schede operative e spunti per l'animazione
dei gruppi, il testo si rivelerà utile sia ai professionisti (psicologi,
PE
Il mutuo aiuto
nel lutto
collaborazione.»



educatori, sacerdoti) che facilitano gruppi di auto/mutuo aiuto,
ite
sia a chiunque abbia sperimentato un tipo di perdita e desideri e nelle altre perd
intraprendere un percorso di guarigione e condivisione assieme
ad altre persone provate da dolori analoghi.




Collana
CAPIRE CON IL CUORE
Collana I Psicologia I Educazione I Disabilità I Culture I Narrativa
CAPIRE CON IL CUORE
I Psicologia
Educazione
Disabilità
Culture ' 16,50
Narrativa
Indice




Presentazione 7

Capitolo primo
Il fenomeno del mutuo aiuto: un pianeta immenso 11

Capitolo secondo
Il gruppo strutturato 25

Capitolo terzo
Il gruppo aperto e continuativo 113

Bibliografia 159
Presentazione




Il mutuo aiuto, quale metodologia di intervento per offrire
sostegno a quanti vivono esperienze di fragilità e sofferenza, si
sta diffondendo a un'infinità di categorie. È una metodologia
di natura comunitaria, non professionale, che si fonda sull'e-
sperienza e sulla reciprocità di aiuto tra i partecipanti.
Il gruppo offre un clima di accoglienza ai feriti, incoraggia
l'espressione delle loro esperienze, crea un senso di appartenenza,
stimola nuove conoscenze e nuovi modi di guardare alle cose,
ripristina la fiducia in se stessi e contribuisce al recupero della
voglia di vivere.
Dal contatto con persone che hanno il nostro stesso
problema possiamo ricaricarci di speranza, vedere il pro-
blema secondo prospettive più ampie, trovare nuove idee
per possibili soluzioni nonché assistenza nell'individuare
in altri servizi delle fonti aggiuntive di aiuto. (Silverman,
1989, p. 31)

Da qualche decennio anche in Italia sono sorti gruppi di
mutuo aiuto per persone in lutto con modelli operativi diversi,
a seconda del contesto e delle caratteristiche degli animatori.
Il presente contributo è destinato soprattutto ai facilitatori
di questi gruppi o a quanti avvertissero il desiderio di aiutare,
ma si sentissero carenti di strumenti o risorse in materia. Il li-


7
bro nasce sull'onda di un mio testo precedente, Aiutami a dire
addio (Erickson, 2002), di cui dilata gli orizzonti e i contenuti.
L'intento principale è di proporre una duplice modalità
di animazione: il percorso di un gruppo strutturato e limitato
nel tempo e il gruppo aperto e continuativo. Avendo seguito am-
bedue i modelli, li considero entrambi validi e praticabili nel
promuovere processi di guarigione.
Il modello strutturato è generalmente aperto a un'utenza
più numerosa e si avvale di modalità operative che consento-
no il lavoro introspettivo, la condivisione in sottogruppi e la
restituzione in plenaria.
Il modello aperto e continuativo è rivolto a un pubblico
più limitato di persone, orientativamente da 6 a 12, e richiede
nel facilitatore maggiori abilità nel promuovere l'interazione
tra i convenuti, nell'affrontare le dinamiche interne e i processi
luttuosi.
Per chi intendesse avviare un gruppo, l'opzione struttu-
rata potrebbe risultare più facile e gestibile all'inizio, dato che
presenta una mappa ben articolata di temi e il supporto di
orientamenti pratici, per rendere in questo modo più facile il
compito dell'animazione.
Chi preferisce operare utilizzando la metodologia del
gruppo aperto, confidando nelle proprie abilità personali e
professionali e nel processo favorito dai partecipanti, può trovare
in queste pagine ulteriori idee per l'animazione degli incontri,
la proposta di spunti biblici, testi poetici e preghiere di vari
autori oltre al contributo terapeutico di racconti, vale a dire
un mosaico di risorse per dinamizzare gli incontri.
Il gruppo diventa un patrimonio di storie e di umanità
dove i convenuti scoprono che il dolore non è per sempre, il
cuore si guarisce aprendolo alla condivisione, ognuno è porta-
tore di insegnamenti sull'arte del patire e dello sperare, il senso
di vuoto si colma donandosi agli altri e la sfida per tutti è di


8
affrontare la vita come un mistero da scoprire più che come un
problema da risolvere.
Il mutuo aiuto non si pone in competizione, ma in colla-
borazione con i professionisti, con il fine ultimo di contribuire
a cicatrizzare le ferite legate a perdite e distacchi.
La narrazione è l'elemento fondamentale dell'aiuto recipro-
co e il proprio dirsi e ascoltarsi avviene liberando sentimenti,
rivelando pensieri, versando lacrime, riportando ricordi, ridendo
insieme, rispettando i silenzi, porgendo un kleenex, incrociando
sguardi, confidando progressi, confessando rimorsi, accendendo
luci nell'oscurità, aprendosi alla speranza.
Questa metodologia di aiuto funziona se al centro si pone
la persona e non tanto il tipo di perdita, sapendo che ogni lutto
è vissuto in modo soggettivo e che il requisito fondamentale è
che ogni dolente si senta accolto, accettato e ascoltato.
Arnaldo Pangrazzi




9
Capitolo primo
Il fenomeno del mutuo aiuto:
un pianeta immenso




L'OMS (Organizzazione Mondiale della Salute) fa rien-
trare i gruppi di mutuo aiuto fra «le misure adottate da non
professionisti per promuovere o recuperare la salute di una
determinata comunità» (1977). Nella definizione dell'OMS
il mutuo aiuto è una risorsa comunitaria, non professionale.
Nell'esperienza comunitaria si mettono in comune le storie, i
pensieri e i sentimenti e, attraverso l'osservazione, l'ascolto e
il confronto, i partecipanti crescono nella loro capacità di far
fronte alle sfide sperimentate.
Un'altra definizione del mutuo aiuto parla di reti di
supporto composte da persone che condividono uno stesso
problema e che si incontrano per interagire, offrire supporto e
apprendere le une dalle altre strategie costruttive nel rispondere
alle crisi della vita.
Il condividere con altri la propria vulnerabilità permette di
alleviare la solitudine, attingere forza dal gruppo e sperimentare
nuove forme di appartenenza e comunione.
I precursori di questo modello di sostegno sono i gruppi AA
(Alcolisti Anonimi), sorti negli Stati Uniti più di sessant'anni fa e
diffusisi rapidamente in tutto il mondo. La veloce proliferazione
di questo modello di aiuto è, in parte, dovuta alla mancanza
di servizi sociali o di professionisti disponibili nel sostenere
le persone dinanzi alle molteplici problematiche esistenziali.

11
Sull'onda degli ottimi risultati conseguiti dai frequentatori di
AA, superiori a quelli conseguiti attraverso l'aiuto professionale,
la strategia del mutuo aiuto si è andata diffondendo a macchia
d'olio, per rispondere a una varietà di bisogni.
Nel corso di poche decadi, a partire dagli Stati Uniti, culla
di questo movimento, l'elenco dei gruppi di mutuo aiuto è
cresciuto celermente, per rispondere a una miriade di fragilità
e sofferenze umane, tra cui:
'' Fragilità fisiche: infartuati, malati di cancro, dializzati e
trapiantati, amputati, diversabili, mastectomizzati, persone
affette da malattie polmonari, soggetti in sovrappeso, sordi,
non vedenti, diabetici, ecc.
'' Fragilità psichiche: gruppi per persone con ritardo mentale,
disturbi schizofrenici o paranoici, fobie, depressione e altre
patologie psichiche.
'' Fragilità psicosociali: separati e divorziati, persone maltrattate
o violentate, persone senza lavoro o che hanno perso il lavoro,
genitori di bambini con sindrome di Down, problematiche
connesse all'adozione, familiari di malati di Alzheimer,
persone con dipendenza dall'alcol, dalla droga e dal gioco
d'azzardo, ex detenuti.
'' Fragilità esistenziali e spirituali: genitori di neonati morti o
che hanno perso i figli, vedovi, orfani, familiari di suicidati,
vittime di incidenti stradali, disperati.
Ogni categoria di feriti può trovare nella comunione con
altri un prezioso sostegno, per far fronte alle problematiche
sperimentate.


Riscontri personali

Personalmente posso confermare la validità di questa me-
todologia di aiuto, a seguito dell'animazione come cappellano


12
di una varietà di gruppi (per malati oncologici, coppie che
avevano perso un figlio, vedovi e vedove, persone che avevano
tentato il suicidio e familiari di quanti si erano tolti la vita) a
Milwaukee nel Wisconsin (1976-1983). Ho potuto osservare
come la condivisione con altri dei propri vissuti riduca l'iso-
lamento, contribuisca alla propria crescita umana e spirituale,
faciliti il recupero della speranza e il reinserimento nella società.
A seguito di queste significative esperienze negli Stati Uniti,
mi sono adoperato per far conoscere questa metodologia di aiuto
comunitario in Italia, sia attraverso l'animazione di gruppi sia
con la formazione di persone (professionisti e non) interessate
ad attivare gruppi di mutuo aiuto nelle perdite e nei lutti.
Un'esperienza di particolare interesse l'ho vissuta a Bogotá
(Colombia) dove, nel 2000-2002, ho condotto corsi formativi
per operatori sanitari, psicologi, religiosi e volontari, motivati a
dare vita a questa forma di aiuto comunitario, anche alla luce
del grande travaglio sociale provocato da gruppi contrapposti
(militari, paramilitari, guerriglieri e narcotrafficanti) che per
tanti anni hanno insanguinato il Paese con migliaia di morti.
Frutto di questi incontri formativi è stato un piccolo vademe-
cum, Los grupos de mutua ayuda en el duelo, quale sussidio per
i facilitatori.
Negli ultimi due anni una speciale attenzione e richiesta
di aiuto per questa forma di sostegno è giunta dall'Ucraina,
coinvolta nel conflitto tra filo-russi e filo-europei, dove si sono
registrate centinaia di vittime, nella zona di Donetsk. Grazie
all'iniziativa della Chiesa Greco-Cattolica, nel febbraio 2015 si è
promosso un progetto di formazione rivolto a ventitré psicologi,
per offrire indicazioni sul mutuo aiuto per le tante famiglie che
hanno perso mariti o figli nel conflitto.
Fa parte della tradizione secolare della Chiesa promuovere
la comunità quale luogo di appartenenza e realizzare la sua
missione di vicinanza ai sofferenti. Spesso i locali stessi della


13
parrocchia offrono il luogo dove incontrarsi e scoprire «l'alleanza
nel dolore» e «la terapia dell'aiuto reciproco».
Negli ultimi tempi mi sono trovato a collaborare come
formatore con l'Associazione «Figli in Paradiso», destinata ai
genitori che hanno perso i figli, che conta circa cento gruppi
e che nel giro di qualche anno si è diffusa in Puglia, Calabria,
Basilicata, Lazio, Campania e Sicilia.
In un certo senso il mutuo aiuto inizia con l'auto-aiuto,
quando il soggetto in cordoglio, consapevole delle difficoltà
incontrate, si attiva per cercare aiuto. La prima forma di auto-
guarigione è aiutarsi ' «Aiutati che il ciel ti aiuta» ' facendo
dei passi concreti per reagire, lottare e sperare.
L'essenza del mutuo-aiuto è, però, nella reciprocità: «Aiutando
gli altri aiutiamo noi stessi, aiutando noi stessi aiutiamo gli altri».
Tuttavia, nonostante le promesse e i benefici che si possono
ricavare dal partecipare a questa forma di aiuto, gratuita ed effi-
cace, la partecipazione lascia a desiderare. Da una parte, si nota
come molte persone siano restie a chiedere aiuto, o si sentano
condizionate dal senso di pudore o di vergogna nell'esporre il
proprio dolore agli altri o nel manifestare le proprie emozioni
in pubblico; dall'altra, molti ritengono che parlare non risolva
i problemi perché il proprio caro non tornerà in vita, per cui
restano prigionieri del proprio dolore, si isolano dagli altri e per-
mangono in una perenne fase di stagnazione, che non favorisce
l'elaborazione del dolore.
Il coraggio di fare il primo passo può schiudere tante porte;
il gruppo diventa luogo per incontrarsi, condividere, sanarsi e
costruire nuove amicizie.

Gli obiettivi dei gruppi di mutuo aiuto

Il mutuo aiuto diventa un percorso costruttivo per aiu-
tarsi e per aiutare. Ogni gruppo è un'università del dolore:


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si cresce attraverso l'ascolto, la condivisione e il confronto
con la diversità degli altri. (Pangrazzi, 2006, p. 159)

Pur nelle differenze e specificità dei diversi gruppi, gli
obiettivi che accomunano il mutuo aiuto si possono raggruppare
attorno ai seguenti temi.

La comunione o socializzazione dei feriti
Inizialmente la decisione di inserirsi nel gruppo risulta,
per molti, difficile. Molti pensano che i panni sporchi debbano
essere «lavati in casa». La verità è che spesso non si lavano né in
casa né fuori. Seneca diceva che «una parte fondamentale della
cura consiste nel voler essere curato».
Il primo passo, il più sofferto, consiste nel prendere il rischio
di affacciarsi al gruppo. Richiede il coraggio di uscire dal proprio
guscio, superare le proprie resistenze o pregiudizi, per fidarsi e
affidarsi al potere sanante di questa proposta. Una volta entrato
all'interno del gruppo, il nuovo arrivato scopre di non essere solo
e contempla i diversi volti dell'umanità sofferente. Rapidamente
si rende conto che riceve maggiore aiuto da estranei, che hanno
lo stesso problema, piuttosto che dalle persone più vicine.
In un certo senso, il gruppo si trasforma in una seconda
famiglia che gli offre accoglienza, assicura rapporti di uguaglian-
za, promuove la nascita di nuove amicizie.

La liberazione del dolore o catarsi emotiva
Spesso, chi è in lutto è circondato da chi gli ingiunge: «Non
piangere», «Non sentirti così», «Non lamentarti», «C'è gente
che soffre di più di te» e così via. Tanti «non» che ostacolano il
processo di guarigione.
Il gruppo diventa un luogo in cui la condivisione dei sen-
timenti e delle emozioni è non solo permessa, ma incoraggiata,


15
quale percorso necessario per sanarsi. Molti imparano a prendere
contatto con il linguaggio del cuore proprio in questi incontri,
vissuti all'insegna dell'autenticità e della sincerità.
Chi conosce meglio il peso della sofferenza di un'altra
persona che ha vissuto la stessa esperienza' Nel gruppo, i
sentimenti d'uno trovano eco nella voce d'un altro; si stabili-
sce così un clima di comprensione e di solidarietà, all'ombra
del quale rinasce la speranza. (Pangrazzi, 1986, p. 139)

I partecipanti possono piangere, esprimere sensi di colpa,
dare voce ai disappunti, esprimere frustrazione, ridere dei propri
comportamenti.
Tirar fuori ciò che rattrista o amareggia è un modo per
alleggerire la pena e far circolare le energie emotive. La libertà
di esprimersi, senza sentirsi giudicati o mortificati, favorisce
la caduta delle difese psicologiche e promuove l'apertura e la
fiducia tra i componenti.

L'informazione e la formazione permanente
La condivisione e il confronto con altri permettono di
imparare lezioni preziose, scoprire strategie e atteggiamenti
innovativi, per far fronte a un'esistenza orfana di una figura
significativa. Ci sono conoscenze che non è possibile imparare
dai libri o dai professionisti, ma si apprendono dallo scambio
con altri che hanno vissuto una simile situazione esistenziale.
Pomeray (citato in Silverman, 1989, p. 21) dice a questo
proposito:
C'è una categoria di persone che ha titolo più di ogni
altro per parlare con i genitori di bambini morti di morte
improvvisa. Queste persone sono i genitori che hanno fatto
esperienza dello stesso lutto. Nessun altro, a parte loro,
può dire al genitore: io so quello che tu provi, ma vedrai
che il tempo ti aiuterà. Chi ha condiviso una situazione


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esistenziale o ha provato ad affrontare un identico proble-
ma è spesso efficace ' oltre che più credibile ' nel porsi
come «modello» nei confronti dell'altro e coinvolgersi più
profondamente nella sua situazione.

Il gruppo si trasforma in una scuola che insegna nuovi
modi di pensare, essere e agire. In pratica, ognuno nel gruppo
è maestro, attraverso l'esperienza del proprio dolore, e allievo,
attraverso l'interiorizzazione di idee e spunti che riceve dagli
altri.
L'ascolto delle diverse testimonianze, il mutuo confronto,
le verifiche reciproche accrescono la capacità dei partecipanti
di fronteggiare meglio i problemi, quali la solitudine, la comu-
nicazione in famiglia, l'uso del tempo libero.
In questi incontri, ogni membro avrà la possibilità di
raccontare la propria esperienza passata e attuale, ricevere
sostegno dagli altri, dare sostegno e scambiare informa-
zioni, consigli e aiuti concreti. Spesso i partecipanti del
gruppo diventano punti di riferimento anche nella vita
di tutti i giorni, al di fuori degli incontri formali. (Krull,
2008, p. 187)

La crescita nella fiducia personale
Il valore terapeutico e sanante del gruppo consiste nell'a-
iutare i partecipanti a ripristinare il controllo sulla propria vita
e a portare alla luce le proprie potenzialità. Segni di questa
crescente fiducia in se stessi sono: la capacità di analizzare con
equilibrio la propria condizione, l'apertura al confronto e al
feedback, la rappacificazione con i propri limiti ed errori, il
riconoscimento dei propri doni, il benefico influsso della pro-
pria presenza sugli altri.
Chi è efficace nel dare aiuto spesso avverte un senso
di maggiore competenza interpersonale, come risultato


17
dell'esercitare un impatto significativo sulla vita di un'altra
persona. (Skovolt, 1974)

Trasformarsi in guaritori feriti
Il processo di trasformarsi in «guaritori feriti» richiede
in primis che la persona sia in grado di cicatrizzare le proprie
piaghe, perché non producano pus e malesseri. Di conseguen-
za, la sofferenza integrata diventa risorsa, saggezza, accresciuta
capacità di amare.
Nel gruppo ogni partecipante porta il bagaglio delle sue
ferite (perdite, sconforto, solitudine, insicurezze), ma anche
delle sue virtù e tesori.
Nell'ottica del mutuo aiuto tutti sono aiutati e tutti
danno aiuto, tutti sono allo stesso tempo forti e deboli,
competenti e incompetenti, curati e caregivers. (Mutti,
2008, p. 8)

È nel costante dinamismo del dare e del ricevere, dell'av-
vertire le proprie inadeguatezze, da una parte, e i propri pregi,
dall'altra, che si realizza lo scopo del gruppo, quale risorsa
comunitaria per sanare i cuori feriti.
Ognuno è portatore di ferite e limiti, sperimentati
a livello: fisico, psicologico, mentale, sociale, spirituale.
Il contatto con la parte «ferita» rende consapevole del-
la propria umanità, vulnerabilità e impotenza. Questa
consapevolezza mantiene umili, saggi e aperti agli altri.
Ognuno è anche portatore di risorse e potenzialità, pre-
senti in ognuno dei suddetti livelli. Il contatto con la parte
«guaritrice» porta alla luce la propria capacità di reagire,
lottare e amare attivando le risorse del corpo, della mente,
del cuore e dello spirito. Questa consapevolezza infonde
coraggio, fiducia e speranza nel far fronte alle avversità.
(Pangrazzi, 2008, p. 12)


18
L'uscita dal gruppo
Il gruppo è un ponte da attraversare, non una casa dove
risiedere all'infinito; è un punto di appoggio per affrontare la
tortuosità del cammino, non una destinazione permanente.
L'obiettivo finale del mutuo aiuto è di contribuire al ri-
torno alla normalità dei suoi membri, temprati dalla vicenda
vissuta e illuminati dalla sapienza accumulata. La funzione
del gruppo si paragona a quella della madre che genera i figli,
li nutre e li sostiene, però, man mano che crescono e diven-
tano autosufficienti, li benedice mentre proseguono da soli il
cammino.
Per sua natura, l'esperienza di comunione è in costante
evoluzione:
Il gruppo ha le sue stagioni, non punta sulla permanen-
za, ma sull'elasticità e flessibilità nel rispondere ai bisogni,
per cui c'è chi va e chi viene, chi inizia e chi termina. Chi
lascia porta con sé il beneficio di nuove amicizie, di lezioni
preziose per la vita, di momenti significativi condivisi, che
hanno contribuito a risanare il cuore e a cicatrizzarne le
ferite. Chi entra concorre a rinnovarlo, a iniettarvi nuova
linfa, a giustificarne le finalità. (Pangrazzi, 2007, p. 83)

In sintesi, gli obiettivi del gruppo mirano, innanzitutto,
a spezzare l'isolamento e ad aprirsi ad altri che percorrono gli
stessi calvari.
La presenza di altri compagni di viaggio invita al realismo,
impedisce inconcludenti vie di fuga, riconosce che non esistono
risposte facili ai perché della sofferenza.
L'autorivelazione diventa percorso di autocomprensione,
rappacificazione e graduale integrazione del proprio vissuto.
La condivisione in gruppo diventa «catarsi», attraverso
la ventilazione e liberazione dei pensieri e sentimenti che si
portano dentro.


19
L'ascolto e l'osservazione degli altri e del loro modo di vive-
re il lutto aprono nuove finestre di apprendimento sulla realtà.
Il connubio delle risorse del singolo e della forza del gruppo
permette ai partecipanti di scoprire il mistero di un viaggio che
schiude alla fecondità e alla speranza.

I gruppi «omogenei» ed «eterogenei»

Ogni gruppo ha la sua identità, la sua storia, le sue strategie
per perseguire gli obiettivi proposti, il suo calendario di incontri.
Ingredienti fondamentali per l'efficacia del mutuo aiuto sono la
disponibilità a rivelarsi, il rispetto delle differenze, il prendersi
cura gli uni degli altri.
Il mutuo aiuto si fonda sulla partecipazione volontaria
delle persone, che assumono un ruolo attivo e responsabile
nel realizzare la propria guarigione e contribuire a quella degli
altri. Il rapporto tra i membri è orizzontale, non verticale. La
base di riferimento è la propria esperienza, da cui attingere
luce e sapienza.
Nelle tappe iniziali il mutuo aiuto si realizza durante l'in-
contro; poi si estende al di fuori del gruppo, tramite i contatti
telefonici e la condivisione di interessi o amicizie. Molti entrano
nel gruppo per essere aiutati, poi vi restano per aiutare.
Il mutuo aiuto è un processo interattivo i cui verbi qua-
lificanti sono: ascoltare, condividere, comprendere, sostenere,
confrontare, imparare, perdonare, risolvere, dire addio.
Possiamo parlare di due tipologie di gruppi, a seconda
della particolarità dei «target groups».
Gruppi omogenei. Sono frequentati da quanti sono acco-
munati da uno stesso tipo di lutto, ad esempio i genitori che
hanno perso i figli, i divorziati e separati, i familiari di suicidati,
i congiunti delle vittime della strada.


20
Il filo rosso che unisce queste persone è la condizione di
una stessa perdita, anche se ognuno la vive e la gestisce in modo
diverso, in base a diverse variabili in gioco, quali il rapporto con
il defunto, il proprio carattere, il clima familiare, le capacità
proprie e così via.
Sotto un certo punto di vista, i gruppi omogenei presenta-
no meno spigoli o tensioni interne di quelli eterogenei, almeno
sul versante della comune matrice esperienziale.
Gruppi eterogenei. Sono formati da persone che hanno
sperimentato una varietà di perdite, quali una coppia il cui
figlio è rimasto vittima di un omicidio, un separato, una madre
il cui figlio è annegato, una giovane che ha perso il fidanzato
di leucemia e così via.
Realisticamente, è difficile in molti contesti rurali o piccoli
centri poter reclutare un numero sufficiente di candidati per
costituire un gruppo omogeneo (ad esempio genitori che hanno
perso un figlio), per cui l'opzione è di formare un gruppo ete-
rogeneo aperto a diverse perdite, quali la vedovanza, il suicidio,
la malattia, l'omicidio, la scomparsa di familiari.
È importante, a questo proposito, monitorare la tentazione
di qualcuno di paragonare l'entità o la gravità del proprio lut-
to, drammatizzandolo, e relativizzando quello altrui. Educarsi
all'accoglienza della diversità significa prendere coscienza che
ognuno ha le sue perdite da integrare e un suo modo di vivere
il cordoglio.
Si impara da entrambe le esperienze gruppali, sia confron-
tandosi con quanti condividono un simile dolore, sia ascoltando
chi vive un distacco diverso dal proprio.
Tre fattori concorrono alla guarigione da un lutto:
'' l'introspezione o l'autoriflessione;
'' l'espressione o la narrazione di sé;


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'' l'apprendimento dagli altri e la capacità di guardare alle cose
con occhi diversi.


Due modalità di animazione dei gruppi

I percorsi di animazione del gruppo dipendono molto
dall'identità del facilitatore e dallo spirito dei suoi componenti.
Il nostro intento è proprio quello di prospettare due me-
todologie per la conduzione di un gruppo.
Il percorso strutturato. È caratterizzato da una struttura,
semplice ed efficace, che aiuta il conduttore a guidare il cam-
mino del gruppo. Questo percorso viene incontro al bisogno
di coloro che desiderano attivare il mutuo aiuto ma sono ti-
morosi di affrontare imprevisti o situazioni problematiche che
si possono presentare.
Attraverso un nutrito calendario di incontri, su temi
prefissati e con l'ausilio di sussidi pratici, l'animatore accom-
pagna l'evoluzione del gruppo, che dura un anno, con raduni
quindicinali.
La metodologia include: momenti didattici, esercizi di
introspezione personale, condivisione in piccoli gruppi e resti-
tuzione in plenaria.
Questa impostazione «strutturata» richiede meno com-
petenze psicologiche o di animazione nel conduttore, ma una
presenza funzionale.
Al termine del percorso previsto, è ipotizzabile la con-
tinuazione di chi è interessato attraverso l'attivazione di un
gruppo aperto.
Il percorso aperto o continuativo. Questa metodologia si
adatta, di volta in volta, ai bisogni dei frequentatori ed è aperta
all'entrata e all'uscita dei membri.


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Gli incontri possono essere settimanali o quindicinali,
della durata di un'ora e mezzo o due ore, e viene assicurata la
continuità del servizio.
Questa metodologia richiede maggiore disponibilità di
tempo e di competenze nel facilitatore, chiamato a sintonizzarsi
con le dinamiche emergenti di volta in volta. Il suo compito
è di modellare buone prassi di interazione ed empatia, aiutare
i membri all'approfondimento delle tematiche, stimolare la
partecipazione, mettere a fuoco la riflessione. Talvolta, può
condividere con il gruppo qualche esperienza luttuosa personale.
Con frequenza il conduttore è più attivo nelle fasi di av-
viamento e consolidamento del gruppo; poi, man mano che i
componenti interagiscono con crescente autonomia ed efficacia,
assume un ruolo di supporto o di consulenza.
Entrambe le metodologie, che saranno illustrate nei pros-
simi capitoli, sono valide.
In diversi ambienti si preferisce iniziare con un gruppo
strutturato, tutto sommato più semplice da accompagnare,
per poi procedere, sulla scorta dell'esperienza acquisita, alla
conduzione di un gruppo aperto.




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I BAMBINI E I GIOVANI DINANZI
Scheda 10

ALLA PERDITA

Nota: questa scheda si usa se la tematica riguarda qualcuno del gruppo.


Non c'è un calendario per la morte. Può colpire qualsiasi persona e a
qualsiasi età. Si può perdere un genitore in tenera età o in età avanzata.
Ovviamente, quando un bambino perde il papà o la mamma molto
dipende dalla sua età e dalla sua percezione della morte. In tenera
età, non ha la consapevolezza della sua finalità o può pensare che il
genitore sia partito per un lungo viaggio.
Il bambino esprime il suo cordoglio attraverso linguaggi diversi dall'a-
dulto, quali il gioco, il disegno, le metafore o i racconti.
Un'attenzione particolare occorre dedicarla agli adolescenti tra i 13
e i 18 anni, che hanno particolari difficoltà ad accettare la morte di
un genitore, di un fratello o di una sorella, come nell'esprimere ciò
che sentono dentro. Per loro, la morte è assurda, ingiusta. Un distacco
improvviso spinge l'adolescente a mettere Dio sul banco degli imputati,
per non aver guarito o protetto il loro caro. A livello comportamentale,
si nota con frequenza il loro abbandono della pratica religiosa. Anche
a livello di comunicazione, il giovane preferisce mantenere per sé il
suo dolore e ritirarsi nel silenzio. Questo comportamento preoccupa i
genitori, che non sanno come comportarsi: da una parte, non vogliono
forzare la comunicazione, per non irritare i figli, dall'altra, sperano
che ci sia qualcuno con cui si confidano.
Generalmente, gli adolescenti trovano aiuto nello stare con gli amici
e coetanei, anche se non parlano della loro perdita o lo fanno con
l'amico/a del cuore.
Certamente, l'impatto devastante e incomprensibile con la morte
sconvolge le certezze dell'adolescente e lo costringe a riformulare la
sua filosofia di vita.
Sull'altro versante, il pericolo che possono correre i genitori che han-
no perso un figlio o una figlia è di lasciarsi prendere così tanto dal
dolore per chi non c'è più da trascurare quelli che restano, magari
trascorrendo ore al cimitero a dialogare con lui/lei.

Lavoro in gruppi
Il facilitatore, dopo aver distribuito, illustrato e invitato i presenti a
compilare la scheda, forma sottogruppi di tre-quattro persone per lo
scambio. Se, per alzata di mano, risulta che ci sono persone che han-


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Scheda 10




no perso i genitori nell'infanzia o nell'adolescenza forma un gruppo
a parte, per dar loro modo di parlare di questo vissuto. Inoltre, se
registra la presenza di alcuni che hanno perso un fratello o una sorel-
la nell'infanzia o nella giovinezza, crea un piccolo sottogruppo per
confrontarsi sull'esperienza; gli altri sono distribuiti in ordine sparso.

Restituzione in plenaria
Dopo circa 45 minuti, il facilitatore ricompone il gruppo e stimola lo
scambio con una domanda del tipo: «Pensando ai bambini o agli
adolescenti in lutto, che cosa vi preoccupa nel loro modo di vivere
la perdita'». Dopo aver accolto alcune testimonianze e favorito uno
scambio sulle esperienze, fa una sintesi dell'incontro e preannuncia il
contenuto del prossimo, prima di sciogliere la riunione.




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Scheda 10
I BAMBINI E I GIOVANI DINANZI ALLA PERDITA

1. Avete bambini che hanno sperimentato la perdita di un genitore'
Se sì, di quale età' In che modo avete cercato di comunicare loro
quanto accaduto'
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2. Come avete cercato di spiegare la morte ai bambini' Quali do-
mande vi hanno rivolto e come avete cercato di rispondervi' Avete
usato qualche rituale o risorsa, per aiutarli a sentire la vicinanza
del papà o della mamma e a conversare con lui/lei'
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3. In che modo ricordano il papà o la mamma' Come esprimono il
loro cordoglio' (Ad esempio attraverso i disegni, il gioco, il silenzio,
i racconti, qualche metafora)
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© 2016, A. Pangrazzi, Il dolore non è per sempre, Trento, Erickson 67
Scheda 10




4. Se avete dei figli adolescenti, come hanno vissuto la morte di un
genitore o di un fratello o sorella' Hanno difficoltà a comunicare
e ad aprirsi con voi'
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5. Che cosa vi preoccupa nel loro modo di essere, relazionarsi o
comportarsi, a seguito della perdita vissuta'
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68 © 2016, A. Pangrazzi, Il dolore non è per sempre, Trento, Erickson

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