Citazione spirituale

Gli adolescenti tra immaginario collettivo e scena sociale

-

Idee in viaggio, modelli, prassi

 
 


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EAN 9788859010258

Esaurito
Descrizione
Tipo Libro Titolo Gli adolescenti tra immaginario collettivo e scena sociale - Idee in viaggio, modelli, prassi A cura di Maria Deidda, Maria Lucia Piras, Cristina Cavicchia Editore Centro Studi Erickson EAN 9788859010258 Pagine 236 Data gennaio 2016
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240




Deidda
Il materiale raccolto in questo volume rappresenta un'an-
tologia e un percorso. Un'antologia di modi di vedere e




Gli adolescenti tra immaginario collettivo e scena sociale
descrivere gli adolescenti. Un percorso, a carattere esplo-
rativo, sui modi diversi di guardare, accogliere, rispondere,
organizzare, inventare da parte di operatori, servizi, istitu-
zioni. Il filo conduttore dei lavori, presentati nel corso di tre
convegni sul tema dell'adolescenza tenuti a Genova tra il
2009 e il 2013, delinea una varietà di approcci e strumenti
che ruotano attorno ai concetti di relazione, rete, sinergia,
integrazione.
L'impegno è stato quello di provare a capire qualcosa di
più dei giovani e dei nostri servizi, di ciò che si muove nei
diversi territori, per cogliere spazi e sperimentazioni utili.
La domanda che percorre l'intero lavoro riguarda quindi il Maria Deidda, Maria Lucia Piras
come: come attrezzarsi per costruire, facilitare e mantenere e Cristina Cavicchia (a cura di)
connessioni, continuità tra servizi e istituzioni, con i giovani
e con le loro famiglie, con la comunità di appartenenza, a
partire da linguaggi, approcci, obiettivi comuni.
Sulla base dell'esigenza di mettere al centro i ragazzi, il
Gli adolescenti
percorso delineato nel volume segue sostanzialmente due
filoni. Uno dedicato ai giovani stessi, per dar loro voce, tra immaginario collettivo
cercare approcci «nuovi» o originali, capaci di interpretare
i problemi, orientando l'azione. L'altro dedicato ai servizi,
con una capacità rinnovata di rivolgersi alla famiglia, rico-
e scena sociale
noscendone e rinforzandone le competenze, in un'ottica di
prevenzione e presa in carico unitaria e precoce.
Idee in viaggio, modelli, prassi



' 15,00
240




Deidda
Il materiale raccolto in questo volume rappresenta un'an-
tologia e un percorso. Un'antologia di modi di vedere e




Gli adolescenti tra immaginario collettivo e scena sociale
descrivere gli adolescenti. Un percorso, a carattere esplo-
rativo, sui modi diversi di guardare, accogliere, rispondere,
organizzare, inventare da parte di operatori, servizi, istitu-
zioni. Il filo conduttore dei lavori, presentati nel corso di tre
convegni sul tema dell'adolescenza tenuti a Genova tra il
2009 e il 2013, delinea una varietà di approcci e strumenti
che ruotano attorno ai concetti di relazione, rete, sinergia,
integrazione.
L'impegno è stato quello di provare a capire qualcosa di
più dei giovani e dei nostri servizi, di ciò che si muove nei
diversi territori, per cogliere spazi e sperimentazioni utili.
La domanda che percorre l'intero lavoro riguarda quindi il Maria Deidda, Maria Lucia Piras
come: come attrezzarsi per costruire, facilitare e mantenere e Cristina Cavicchia (a cura di)
connessioni, continuità tra servizi e istituzioni, con i giovani
e con le loro famiglie, con la comunità di appartenenza, a
partire da linguaggi, approcci, obiettivi comuni.
Sulla base dell'esigenza di mettere al centro i ragazzi, il
Gli adolescenti
percorso delineato nel volume segue sostanzialmente due
filoni. Uno dedicato ai giovani stessi, per dar loro voce, tra immaginario collettivo
cercare approcci «nuovi» o originali, capaci di interpretare
i problemi, orientando l'azione. L'altro dedicato ai servizi,
con una capacità rinnovata di rivolgersi alla famiglia, rico-
e scena sociale
noscendone e rinforzandone le competenze, in un'ottica di
prevenzione e presa in carico unitaria e precoce.
Idee in viaggio, modelli, prassi



' 15,00
Indice



Dedica 9

Prefazione (Paola Cermelli) 11

Introduzione (Maria Deidda) 13

Prima parte ' L'adolescente oggi tra immaginario collettivo
e azioni di sostegno
Capitolo primo ' L'adolescenza. Passaggi e'
1.1. Una trasformazione difficile: essere adolescenti oggi
(Adriana Antolini) 19
1.2. Adolescenza: tra fiaba e sogno, azione e pensiero,
l'affermarsi di una creatività inattesa (Giovanna Capello) 27
1.3. 15-24 anni: ritratto di una generazione (Stefano Laffi) 36
1.4. Genitori e figli: la trasgressione (Alfio Maggiolini
e Virginia Suigo) 44
Capitolo secondo ' Sguardi e voci sui giovani oggi
2.1. Lost Generation' Adolescenti alla ricerca
del proprio appuntamento con il mondo (Andrea Marchesi) 55
2.2. Se il cuore è altrove, e sottolineo se'
Riflessioni semivere sulla sessualità adolescenziale ai tempi
di Internet (Maria Gabriella Zanone) 66
2.3. Un esercito di operatori disarmati per educare le periferie
(Cesare Moreno) 69
2.4. Il futuro è adesso: adolescenza, politiche sociali e servizi
(Barbara Di Tommaso) 80
2.5. La sfida della crescita: adolescenti, un patrimonio
e un'opportunità (Michele Gagliardo) 90
2.6. «Anemmu»: Libera e l'esperienza genovese
(Caterina Marsala) 92
2.7. Gli Angeli del fango: associazionismo e volontariato
nell'emergenza alluvione a Genova (Lorenzo Passadore) 95
2.8. Ce la posso fare' (Daniela Campagnolo) 97

Seconda parte ' I servizi
Introduzione alla seconda parte (Maria Deidda) 103
Capitolo terzo ' Le storie raccontano i servizi
3.1. La psichiatria e la rete (Franca Pezzoni) 105
3.2. Un'esperienza di rete: il gruppo «Adolescenti a rischio»
(Graziella Garufi, Chiara Costa, Valentina Mazzoni,
Elisabetta Rossi e Rita Schenone) 111
3.3. L'andare per servizi tra avventure e rischi
(Adriana Marcianò, Daniela Campagnolo e Lucia Pacini) 116
Capitolo quarto ' Interazioni e integrazioni
4.1. Il servizio sociale messo alla prova: appunti per una
riflessione sulla rete dei servizi per gli adolescenti
(Maria Lucia Piras) 131
4.2. L'integrazione sociosanitaria nel «Programma disturbi
mentali nell'adolescenza» di Ravenna (Paola Casadio) 138
4.3. Ogni volta che mi sveglio mi trovo sempre più lontano
da casa: un esempio di integrazione nel lavoro con gli adolescenti
attraverso il modello proposto dal Centro «Myspace» di Genova
(Margherita Dolcino) 150
4.4. Strategie contro la dispersione scolastica, anticamera
dell'esclusione sociale: un esempio di buone prassi realizzato
dalla Provincia di Genova, oggi Città Metropolitana
(Elmina Bravo) 157
4.5. Cosa raccontano dell'aiuto alcuni giovani ex utenti
dell'Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni di Cagliari:
percezioni e valutazioni emerse da una ricerca empirica
(Giovanna Allegri) 165
Capitolo quinto ' Sfide per generare cambiamenti
5.1. «Al lavoro giovani»! Progetto pilota per la transizione
al lavoro di giovani NEET (Nicoletta Spadoni) 173
5.2. La dimensione di gruppo con le famiglie di origine
e con i figli adolescenti nel tempo della separazione
(Stefania Miodini) 194
5.3. La messa alla prova come occasione e sfida per un intervento
di comunità (Maria Silvia Casacca) 209
5.4. Genitori e figli: quando il sintomo si sostituisce
alla comunicazione (Gabriella Ferrigno, Simona Penati,
Caterina Muzio, Giulia Piccinini e Gianluca Serafini) 217
5.5. L'arte nel lavoro sociale con gli adolescenti: il progetto
«Social Regeneration» (Barbara Biasolo e Filippo Bernardi) 223

Conclusioni (Maria Deidda) 231

Ringraziamenti 235
Introduzione
Maria Deidda




Questa pubblicazione nasce dall'esigenza di trasferire in un volume
organico il ricco materiale prodotto nell'ambito di tre convegni sul tema
dell'adolescenza, organizzati a Genova negli anni tra il 2009 e il 2013.
L'intento è quello di rendere testimonianza dei contributi offerti in
quelle sedi, sul piano teorico e degli approcci innovativi, e documentare
contestualmente l'attività dei servizi a favore dei giovani, sotto il profilo
organizzativo e delle sperimentazioni metodologiche.
I tre convegni hanno visto, oltre ai relatori, la presenza di giovani,
protagonisti diretti della scena, attraverso il racconto di esperienze, spet-
tacoli e musica. Essi si sono sviluppati lungo tre filoni distinti: il primo,
sulle criticità e i rischi; il secondo, sulle potenzialità e ricchezze dell'età; il
terzo, sul contributo dei servizi alla lettura, accompagnamento e sostegno
ai bisogni dei ragazzi in difficoltà. Il taglio è stato volutamente pragmatico,
teso a mettere in luce nodi problematici ed esperienze significative. In
particolare, si è dato risalto alle iniziative capaci di garantire tempestività
ed efficacia degli interventi, innovazione e rottura di schemi e approcci
consolidati.
A partire da un'analisi di respiro sulla condizione giovanile, la finalità
del lavoro è stata riposta nello sforzo di guardare nelle pieghe dei nostri
servizi, per proporre esperienze tese a cogliere e rispondere adeguatamente
ai bisogni formativi, educativi e di cura, di accoglienza e di accompagna-
mento, in modi rispettosi ma attenti. Attenti a riconoscere precocemente
14 Gli adolescenti tra immaginario collettivo e scena sociale


gli indicatori di rischio e i segnali di crisi/malessere, senza che ciò possa
determinare processi di etichettamento o essere vissuto come tale.
L'impegno è stato quello di provare a capire qualcosa di più dei giovani
e dei nostri servizi, di ciò che si muove nei diversi territori, per cogliere
spazi e sperimentazioni utili. Per dare speranza e prospettive, in un contesto
che rispetto al passato appare più avaro di opportunità e tuttavia dotato di
potenzialità ancora in parte inesplorate o sottovalutate, che lasciano aperti
alcuni interrogativi. Quali spazi di responsabilità e protagonismo gli adulti
lasciano ai giovani sul piano politico, produttivo, sociale' Quali spazi questi
riescono o osano strappare ai propri genitori'
A questo scopo abbiamo raccolto interventi teorici, esperienze in atto,
regionali e nazionali, testimonianze che costituiscono spunti e stimoli per
azioni e imprese possibili su terreni ancora poco consolidati: i NEET, le
famiglie da cui si allontanano i minori (spesso considerate irrecuperabili),
i gruppi interistituzionali sugli esordi di disturbi psichici. Si tratta di un
viaggio troppo breve perché possa risultare anche lontanamente esaustivo, ma
sufficiente a scoprire realtà nuove, a rivedere luoghi conosciuti, a riflettere con
più calma per reinventare, valorizzare, reinvestire, generare cambiamento.
Sul piano concreto, questo ha significato soffermarsi su alcuni aspetti
che rappresentano altrettanti nodi critici del lavoro di aiuto nei servizi, a
partire dalle modalità di accesso e di accoglienza, dal modo di comunicare
e di intercettare i bisogni, passando attraverso la capacità di agire tempe-
stivamente a partire dai loro esordi. Un secondo aspetto ha approfondito
le modalità di costruzione della rete e di condivisione di analisi, percorsi,
risposte, garanzie di continuità negli interventi.
L'analisi ha messo in evidenza la necessità di garantire filiere di servizi
e strutture capaci di fronteggiare bisogni specifici, in una logica di supera-
mento di steccati, rinnovamento di paradigmi, lotta allo stigma.
La domanda che percorre l'intero lavoro riguarda il come. Come
attrezzarsi per costruire, facilitare e mantenere connessioni, continuità tra
servizi e istituzioni, coi giovani e con le loro famiglie, con la comunità di
appartenenza, a partire da linguaggi, approcci, obiettivi comuni.
La sfida di mettere al centro il benessere dei ragazzi, anziché la propria
autoreferenzialità, attende tutti, tecnici e politici.
Sulla base di queste esigenze, il percorso segue sostanzialmente due
filoni. Uno dedicato ai giovani, per dar loro voce, cercare approcci «nuovi»
Introduzione 15


o originali, capaci di interpretare i problemi, orientando l'azione. L'altro
dedicato ai servizi, con le declinazioni che abbiamo già evidenziate e con una
capacità rinnovata di rivolgersi alla famiglia, riconoscendone e rinforzandone
le competenze, in un'ottica di prevenzione e presa in carico unitaria e precoce.
Come già nell'ambito dei convegni, anche in questo percorso non
mancheranno criticità ' di carattere strutturale, funzionale, processuale.
In alcuni passaggi esse sono state evidenziate volutamente come spunti per
la riflessione, punti di partenza per aprire alla creatività e alle potenzialità,
per riconoscere e valorizzare gli sforzi in atto.
Quello che è apparso indispensabile è che i giovani possano accedere
agevolmente alla rete dei servizi e alle risorse strutturali, che vengano definiti
con chiarezza paradigmi di riferimento, criteri organizzativi e di competenza
dei servizi territoriali.
Su questi filoni il libro ci accompagnerà, per consentirci di mettere
a confronto diversi livelli di competenza e responsabilità, di sottolineare
l'esigenza di avviare processi di riconoscimento, legittimazione e formaliz-
zazione dei processi e gruppi di lavoro, nati dalla motivazione e creatività
degli operatori, capaci di esprimersi in percorsi di messa in gioco, confronto
e integrazione.
L'attenzione a tali processi potrebbe consentire di ridurre l'autoreferen-
zialità e superare i rischi di settorialità, frammentazione e sovrapposizione,
costantemente presenti, che generano sprechi di risorse e fratture nella
continuità assistenziale.
Se tutto questo significa poterci avvicinare ai giovani, accettando i
diversi sguardi e contenendo le diverse/opposte rappresentazioni che ne
vengono date, allora potremmo, con Galimberti, spostarci, anche nell'ap-
proccio operativo, dall'idea di nichilismo a quella che inneggia alla libertà
e spontaneità, al coraggio del desiderio dei giovani.
Prima parte


L'adolescente
oggi tra
immaginario
collettivo e azioni
di sostegno
Capitolo primo

L'adolescenza. Passaggi e'




1.1. Una trasformazione difficile: essere adolescenti oggi
A. Antolini, Giornata di studio «Premio di laurea a Deborah Gardino»,
Genova, 21 ottobre 2009

Il tema dell'adolescenza occupa i pensieri dei genitori, dei ricercatori
e degli stessi adolescenti e, se ci interroghiamo sul perché, scopriamo che
sia classici come Socrate piuttosto che giornalisti dell'inizio del Novecento
lamentano un significativo e preoccupante aumento del tasso di criminalità
tra gli adolescenti, a partire dai 12 anni d'età e, inoltre, che i giovani sono
maleducati, che non rispettano più gli adulti e che le condizioni dei rapporti
tra le generazioni sono sensibilmente peggiorate.
Allora, se le parole di Socrate ci suonano così attuali come se parlasse di
noi, non serve tanto parlare di adolescenti oggi, visto che, per certi fenomeni
e comportamenti, sono gli stessi di tanto tempo fa. È possibile, invece, che
ci sia qualcosa in noi, nel leggere intorno a questi fenomeni, che rende tanto
attuali sia l'articolo dell'inizio del Novecento che le parole di Socrate, e mi
sono chiesta perché questo accade e cosa può dire la psicoanalisi in proposito.
Freud (non si può parlare di psicoanalisi senza riferirsi a colui che
l'ha creata) non parla mai di adolescenza. Fa riferimento alla pubertà, allo
sviluppo sessuale, ma non all'adolescenza, tranne che in un piccolo e deli-
zioso saggio, La psicologia del ginnasiale, scritto nel 1914, in occasione del
giubileo del liceo che aveva frequentato in gioventù.
20 Gli adolescenti tra immaginario collettivo e scena sociale


In questo scritto Freud esplora lo stato d'animo nei confronti dei
maestri che si incontrano nella vita, che sono trattati con deferenza dagli
studenti, e fa alcune considerazioni. Questo scritto rimanda a una dimen-
sione meno praticabile dell'attenzione sociale verso il fenomeno.
La società nella sua complessità si vede: può essere percepita con i sensi.
Non per forza la mente, ma tutti noi la usiamo: comprendiamo e cono-
sciamo attraverso sentimenti ed emozioni. Il problema è fare in modo che
questi non siano selvaggi. Noi sappiamo, come psicoanalisti, che possiamo
curare attraverso la nostra persona e facciamo un lungo lavoro su questa e
continuiamo a farlo negli anni.
Con gli adolescenti, in particolare, non possiamo essere incoerenti tra
quello che sentiamo, pensiamo, percepiamo e diciamo.
Questo non lo possiamo fare perché altrimenti ci contrastano, e magari
lo facessero di più! I giovani sono assetati di coerenza e autenticità e chi
entra in conflitto con gli adulti costruisce la propria salute mentale mentre
misura le proprie forze affettive e intellettuali in questa sorta di lotta. Quelli
che non lo fanno, spesso, temono di scomparire e di perdersi nel conflitto
e vivono una sofferenza mentale che, talvolta, li porta a chiedere aiuto, un
aiuto psicologico e personale. Alcuni sono sottoposti a una tale pressione
interna che cercano di sfuggirle pensando o tentando il suicidio. Alcuni
parlano di «devianza», in questi casi, e si tratta di una devianza che va contro
se stessi, che tuttavia esiste, anche se forse crea meno allarme sociale, dà
meno fastidio alla società.
Tornando a Freud, nell'ultima parte del suo scritto colloca l'età in cui
si forma la propria idea di ciò che si vuole dare alla società. È un tema che
non sentiamo di frequente nelle conversazioni degli studenti, almeno non
lo sentiamo in riferimento alla costruzione dell'identità.
Le mie considerazioni hanno un semplice riferimento clinico ed espe-
rienziale e non hanno la pretesa di attingere a dati statistici. Sento parlare
molto più spesso in termini di «cosa mi può dare la società», piuttosto che di
«cosa io posso dare al mondo». E questo rimanda a una condizione interna
su cui tornerò più avanti.
Nel suo scritto, Freud cita il proprio saggio di maturità, in cui aveva
espresso il proposito di dare un contributo alla scienza, e dice che questi
intenti si formano tra gli 8 e i 18 anni. Quindi fissa un limite piuttosto
stretto all'adolescenza mentre, attualmente, l'età di mezzo dilaga, sembra
L'adolescenza. Passaggi e' 21


una fase che non termina mai e tale aspetto è, in qualche modo, teorizzato
anche da alcuni modelli proposti dalla società contemporanea.
Freud ci dice che alcuni di noi hanno scelto il proprio orientamento
nella vita adulta non solo per l'interesse verso una certa materia, ma anche
perché amavano un docente.
Ormai sappiamo, infatti, che ogni apprendimento passa attraverso un
rapporto significativo con una persona, ma è pur vero che occorre anche
saper distinguere la persona dalla disciplina, con le inevitabili ambivalenze
insite in quella relazione, che determina un conseguente conflitto.
Attualmente, mi pare che manchi l'abitudine al confronto con il
docente: c'è una difficoltà, c'è qualcosa che fatica a esprimersi e a liberarsi.
Spesso sono gli adulti che devono sollecitare un contraddittorio.
Freud spiega che i sentimenti che si sono formati nell'infanzia e che si
creano in famiglia non si eliminano mai e che, in seguito, si trasferiscono
sulle figure significative che incontriamo. In questo Freud non è mai stato
superato, piuttosto integrato, arricchito.1
Sugli adolescenti, insomma, è già stato detto tutto, ma non è stato
detto tutto sui sentimenti che essi suscitano in ciascuno di noi e che occorre
usare per stare con una persona in via di formazione, più ancora di quanto
sia necessario fare con un adulto.
Quindi, i sentimenti che si formano in famiglia possono essere tra-
sformati ma, soprattutto, li trasferiamo su coloro che incontriamo succes-
sivamente, con le ambivalenze del caso.
Come mai gli articoli, a cui ho fatto cenno all'inizio, ci sembrano tanto
attuali e perché certi comportamenti dei giovani suscitano tanta irritazione'
Freud dice che
nel corso della fanciullezza ci si appresta a un mutamento nel rapporto con
il padre la cui importanza non sarà mai sottolineata abbastanza.
Il fanciullo comincia a uscire dalla stanza dei bambini e ad affacciarsi
al mondo reale, e a questo punto fa delle scoperte che scalzano la sua
originaria ammirazione verso il padre e determinano il distacco da questo
suo primo ideale.



1
A questo proposito, è di particolare interesse il contributo di R. Money-Kyrle, All'origine
della nostra immagine nel mondo, Roma, Armando, 1971.
22 Gli adolescenti tra immaginario collettivo e scena sociale

Egli scopre che il padre non è l'essere più potente, più saggio e più ricco
della Terra, comincia a diventare scontento di lui e impara a criticarlo e a
valutare la sua posizione sociale.
Poi, di solito, fa pagare cara al padre la delusione che egli gli ha procurato.
Tutto ciò che nella nuova generazione appare denso di promesse ma
anche tutto ciò che sa di urtante è determinato da questo distacco dal
padre. (Freud, 1914)

Questa è la risposta a Socrate, nel senso che tutti noi ci troviamo, come
adolescenti, ad essere identificati ' seppure oggi debolmente ' nella critica
all'autorità, alle istituzioni e a quello che rappresentano.
Esse sono, in fondo, dei «padri» sociali.
Poi, col passare degli anni, si diventa adulti ' anche se il solo trascorrere
del tempo non è sufficiente perché ciò avvenga ' e così alcuni resistono, in
senso clinico, a questo processo e non ci sono più tante giustificazioni di fronte
a questo fenomeno, anche se noi siamo tesi a comprendere più che a giudicare.
Diventare adulti, infatti, è faticoso e non può essere sempre colpa della
società se qualche cosa non ci riesce; c'è qualcosa di quello che noi mettiamo
nel mondo che è fondamentale.
Nell'età adulta, diventando più risolti, con pilastri interni più stabili,
i nostri rapporti con le figure genitoriali vanno verso la riappacificazione e,
quindi, certi comportamenti denigratori ci urtano, ed è proprio questo, come
adulti, il vissuto costante di cui abbiamo testimonianza da Socrate in avanti.
Dobbiamo, quindi, occuparci di ciò che noi mettiamo nel mondo e
di come possiamo aiutare questa crescita in una società senza padri come
quella attuale.
Già prima di Pietropolli Charmet, negli anni Settanta, Mitscherlich,
nell'opera Verso una società senza padre (1970), ha descritto i processi e i
fenomeni sociali che ci conducevano verso una società senza padre, nella
quale, cioè, si abdicava alla funzione paterna, i cui aspetti fondamentali
consistono nella partecipazione alla procreazione e nell'aiutare i figli a sepa-
rarsi dalla madre aiutandoli a sostenere il conflitto con il padre autorevole.
I movimenti antiautoritari del 1968 hanno contestato l'autoritarismo
ma, contemporaneamente, hanno spostato il conflitto più all'interno del
gruppo dei pari che verso un padre simbolico autorevole.
Infatti, sono importanti entrambi i genitori per stringere i primi legami
e per imparare a scioglierli, e la loro importanza è legata, in questo caso,
L'adolescenza. Passaggi e' 23


non tanto a un ruolo sociale bensì a una funzione mentale e, se essa non
viene esercitata, si crea una sorta di terra di nessuno in cui la navigazione
è «melmosa» più che «a vista». Forse, lavorando con adolescenti devianti
questo è ancora più evidente, ma tutto questo ha origini antiche.
Quindi, per parlare di adolescenza occorre prima di tutto parlare di
adulti e di bambini e c'è anche il tema di queste funzioni che vengono meno.
Oltre al versante educativo e sociale, mi sto chiedendo cosa accade sul
versante della costellazione profonda e vorrei cercare di esplorare le ragioni
interne, anche se non sottovaluto affatto quelle esterne, sociali.
Freud riteneva che la società modellasse l'individuo e ho apprezzato, di
recente, che un costituzionalista come Gustavo Zagrebelsky, in un articolo
apparso su «La Repubblica», a proposito del rapporto con le istituzioni
citasse Il disagio della civiltà di Freud.
Le istituzioni sono come padri sociali che dovrebbero ricordarci che dob-
biamo rispettare la legge e Freud ci dice che non possiamo farne a meno perché,
in fondo, siamo ancora dei selvaggi, abbiamo dismesso l'uso della clava l'altro
ieri e basta osservare un ingorgo nel traffico cittadino per rendersene conto.
C'è un tasso di aggressività che non è drenata da processi mentali suf-
ficientemente stabili ed efficaci, processi che Franco Fornari ha esplorato,
negli anni Settanta, con la psicoanalisi della guerra e della guerra atomica
e auspicando una sorta di rivoluzione copernicana nell'elaborazione della
distruttività umana per evitare l'implosione di queste emozioni soverchianti.
Esiste il problema di come smaltire questo eccesso di aggressività.
Il modello sociale di Freud, detto in termini molto semplici, preve-
deva che la società formasse gli individui, mentre, con gli studi successivi,
in particolare con la rivoluzione kleiniana della relazione d'oggetto, che è
più responsabilizzante, ci si aspetta che, nelle relazioni in cui ci formiamo,
ognuno di noi cresca in relazione con qualcuno e, per come siamo fatti,
per come la nostra mente è fatta, ci accorgiamo che questo qualcuno esiste
come separato da noi verso i 6 mesi e Klein parla, a quel punto, di «posi-
zione depressiva».
Nell'esperienza, di fatto, il bambino diventa più sobrio e comprende
che quella che ha fantasticato di divorare, di fare a pezzi (le religioni e i miti
ci aiutano a rappresentare i fantasmi primitivi) è la stessa persona che ama. È
il conflitto di base da cui usciamo, se le persone che amiamo permangono, e
comprendiamo che la nostra distruttività non ha prodotto danni irreparabili.
Capitolo secondo

Sguardi e voci sui giovani oggi




2.1. Lost Generation' Adolescenti alla ricerca del proprio appuntamento
con il mondo
A. Marchesi

Da una parte le rappresentazioni mediatiche e dall'altra il contributo
delle scienze umane sembrano convergere unilateralmente nel proiettare
l'adolescenza al negativo, mettendo l'accento esclusivamente sugli elementi
di carenza e di mancanza, come se nella lettera iniziale del nome ci fosse un
destino privativo: anomia, apatia, afasia, per suggerire un carattere gene-
ralizzato di analfabetismo etico, emotivo e relazionale. Assenze, mancanze
e lacune vengono di fatto colmate con spiegazioni scientifiche e icone
mediatiche che tendono a confermare l'immagine che contribuiscono, in
modo performativo, a trasmettere. Non è forse casuale che tra le categorie
più in auge per parlare di adolescenza troviamo il nichilismo e il narcisismo
(Galimberti, 2008; Pietropolli Charmet, 2009), due forme complementari
di rispecchiamento al negativo dei soggetti. Viene spontaneo chiedersi: ma
quando si parla di Me Generation1 stiamo parlando dei figli, o dei padri e delle
1
Con l'espressione Me Generation ci si riferisce alla generazione dei cosiddetti baby boomers,
ovvero le persone nate nel secondo dopoguerra negli USA connotate da una personalità
narcisistica, descritta in modo efficace da C. Lasch, Cultura del Narcisismo. Curiosamente
questa stessa definizione viene utilizzata per descrivere anche l'adolescenza contemporanea,
56 Gli adolescenti tra immaginario collettivo e scena sociale


madri' Lo stesso rovesciamento vale per il nichilismo: l'assenza di valori, la
latitanza degli ideali, il cinismo e l'utilitarismo, la mancanza di progettualità,
la delega delle responsabilità, sono la cifra del mondo degli adolescenti o
di quello degli adulti' Gli adolescenti in carne e ossa vengono sempre più
confusi con i simulacri che popolano l'immaginario collettivo: dappertutto
vengono inquadrati ragazzi e ragazze che sembrano scartare il proprio futuro,
«sdraiati», in eterna attesa, come i protagonisti di Aspettando Godot.
Chi si occupa di adolescenza è ovviamente convinto di godere di una
sorta di immunità nei confronti di queste rappresentazioni. C'è un suppo-
nente distanziamento dalla massa di immagini che viene proiettata dai mezzi
di comunicazione, come se l'immaginario di chi conosce gli adolescenti, di
chi è abituato a stare in mezzo a loro, fosse dotato di anticorpi sufficienti
per mettersi al riparo e garantirsi la propria autonomia di giudizio. Questo
atteggiamento sottovaluta gli effetti di una colonizzazione dell'immaginario
che ci conduce tutti, senza esclusione, a frequentare i luoghi comuni e a
nutrire il nostro sguardo attraverso simulacri generati dalla riproduzione
mediatica.

Una breve genealogia della Lost Generation
D'altra parte, nelle designazioni, c'è sempre un fondo di verità, che non
sempre coincide con l'elemento più visibile, ma, appunto, con qualcosa che
rimane sullo sfondo, come il sintomo di un rimosso. Prendiamo ad esempio,
tra le tante etichette possibili, la definizione di «generazione perduta» con
la quale una parte del mondo adulto sembra assumersi implicitamente la
responsabilità per la mancanza di opportunità, per la chiusura di orizzonti che
è stata consegnata alle ultime generazioni. Intanto, è curioso notare come si
parli in questi termini degli attuali trenta/quarantenni, prolungando questa
definizione per i ventenni/trentenni, fino ad arrivare a coinvolgere anche
chi oggi ha 15 anni ed è in piena adolescenza. Ora, questa espressione ha
un preciso riferimento filologico che merita di essere ricordato. È una cita-
zione di Gertrude Stein, posta come epigrafe da Ernest Hemingway al suo
celebre romanzo Fiesta: «You are a lost generation». Infatti génération perdue

evidenziandone proprio un narcisismo iperbolico. Nel 2013 una copertina del «Time»
indicava la presenza di una Me Me Me Generation, per segnalare questa iperbole.
Sguardi e voci sui giovani oggi 57


diventa un modo per definire una generazione di artisti, spesso espatriati
dopo la prima guerra mondiale dagli Stati Uniti a Parigi. Una generazione
esule, incompresa, che si affaccia su un mondo che sta attraversando cam-
biamenti radicali dal punto di vista tecnologico e produttivo, dentro una
crisi profonda che esploderà nella Grande Depressione del 1929. Il riferi-
mento è quindi a una generazione che attraversa la crisi della modernità,
che vede spiazzato il proprio futuro, ma che al tempo stesso si dimostra
capace di proporsi come interprete creativa di quella stessa crisi. Tornando
alla citazione di Gertrude Stein, è interessante evocarne l'origine. Sembra
che tutto sia nato in un'officina alla quale la scrittrice aveva affidato la sua
Ford T, quando il padrone, rimproverando il giovane meccanico che non era
riuscito a riparare l'automobile, lo aveva apostrofato come rappresentante di
una generazione perduta. Una generazione che avrebbe perso la capacità di
imparare, di fare esperienza imparando dall'esperienza altrui, rinnegando,
ad esempio, saperi e mestieri di tipo artigianale. Non è allora casuale che la
definizione di «Lost Generation» sia particolarmente utilizzata per dare un
titolo alle analisi sulla disoccupazione giovanile, in uno scenario che descrive
l'adolescenza come traiettoria infinita che conduce ad assumere i panni di
un nuovo personaggio, identificato con un acronimo: il o la NEET (Not
in Education, Employment or Training). In questo caso la designazione
non proviene da saperi psicologici e sociologici, ma dall'alto delle scienze
economiche che denunciano un fenomeno inquietante: una condizione di
limbo, di radicale esclusione dai circuiti della socializzazione, di chi non è
solo fuori da formazione e lavoro, ma non prova più nemmeno a rientrar-
ci. Stiamo parlando di persone in fuga, alla ricerca di qualcosa che nella
società non trovano più, che si riconoscono come soggetti esclusi, senza
alcun desiderio di stare nel mondo, fino a diventare invisibili, scomparsi,
come accade in ogni forma di internamento e separazione dal mondo. Se
parlando di narcisismo e nichilismo si evocavano definizioni al negativo
per descrivere l'adolescenza, la classificazione dei NEET risulta ancora più
implacabile, indicando la strada dell'esilio, della ritirata strategica, di chi
non cerca nemmeno più la strada del proprio debutto sociale, esibendo
una disarmante consapevolezza dell'impossibilità di rispettare il proprio
appuntamento con il mondo. Un'adolescenza che sembra smarrita, che
scarta intenzionalmente le traiettorie della formazione e del lavoro, quasi a
smascherare definitivamente la componente illusoria di queste tradizionali
58 Gli adolescenti tra immaginario collettivo e scena sociale


traiettorie di integrazione, rassegnandosi a una sorta di messa al bando
rispetto ai processi di socializzazione, consumando le ultime risorse della
famiglia intesa come ammortizzatore sociale. Un'adolescenza che davvero
esibisce una perdita raddoppiata: da una parte lo smarrimento di opportu-
nità e di una destinazione possibile per le proprie esperienze, dall'altra gli
adulti che stanno perdendo il contatto, la possibilità di trasmettere saperi
e competenze e di compiere il passaggio del testimone intergenerazionale.

Incontrare adolescenti fuori dai luoghi comuni
Forse, poi, c'è un significato ulteriore che possiamo rintracciare come
sintomo di un rimosso quando parliamo di Lost Generation. È perduta
perché non siamo più in grado di intercettarla con i nostri radar, con le
nostre lenti di analisi, è perduta al nostro sguardo che tende a produrre vi-
sioni uniformi, generalizzazioni indiscriminate, seppellendo ogni differenza
sotto le statistiche.
Pensiamo ancora un attimo alla categoria dei NEET, ovvero una
paradossale dichiarazione di non classificabilità che invece pretende di
ricondurre storie di vita molto diverse entro un medesimo contenitore
qualificativo, senza permetterci di comprendere la diseguale distribuzione
delle capacità di navigazione nella crisi che investe i mondi giovanili. Ha
davvero senso collocare nella stessa categoria chi si trova autenticamente
disorientato e paralizzato dalla crisi, provenendo magari da un contesto
famigliare a sua volta frantumato, e chi è alle prese con la costruzione del
proprio percorso formativo e del proprio progetto esistenziale navigando
in modo originale al di fuori delle traiettorie formative-lavorative più tra-
dizionali' O ancora, che senso può avere, se non quello di alludere a una
patologizzazione generalizzata, inserire nello stesso ambito un ragazzo alle
prese con una sofferenza emotiva importante, magari tale da determinare
l'interruzione dei legami sociali, con un altro ragazzo che, avendo imparato
bene la lezione per cui non esiste il posto fisso di lavoro, non si rivolge ai
centri per l'impiego, ma, insieme ad altri, è alle prese con la costruzione di
una pista professionale emergente'
Per queste ragioni diventa davvero necessario un esercizio di sospen-
sione di ogni forma di categorizzazione e di diagnosi che, oggi, rischia di
consegnarci un discorso irrimediabilmente chiuso. Si tratta di provare a
Sguardi e voci sui giovani oggi 59


cambiare sguardo2 congedando la pretesa di conoscere la condizione ado-
lescenziale, per mettersi in una posizione curiosa di ascolto nei confronti
di chi è un soggetto in formazione, alla ricerca, spesso portatore sano di
desideri. È un mutamento sorprendente: quando si mette tra parentesi
l'analisi dei bisogni è possibile cogliere gli interessi, le passioni, le forme di
attivazione che, proprio in una stagione caratterizzata da incertezze e assenze,
possono trovare spazio. Smettendo di chiederci (e magari di darci risposte in
termini autoreferenziali) quali siano i bisogni dei giovani, diventa possibile
intercettare il movimento dei loro desideri che si esprimono proprio in quel
margine nel quale la domanda si strappa dal bisogno. Il desiderio di vivere,
di conoscere, di comprendere, di agire per trovare un altro modo di abitare
il proprio contesto di riferimento.
In questa prospettiva può cambiare il panorama, permettendoci di
incontrare un desiderio che viene coltivato e riconosciuto proprio quan-
do si agisce, qui e ora, per generare cambiamento nella propria realtà:
restituendo a una biblioteca rionale la sua funzione comunitaria, parte-
cipando a un'impresa che rivitalizza un'area dismessa, prendendosi cura
di un campo sottratto alla mafia, organizzando eventi capaci di produrre
socialità in un quartiere dormitorio. Guardare con curiosità alle tante
esperienze di partecipazione, impegno e protagonismo che, caratteriz-
zando i mondi giovanili, spesso lontano dalle luci della ribalta così come
dell'inchiesta sociale, consentono di incontrare adolescenti davvero al di
fuori dei luoghi comuni ma soprattutto di imparare qualcosa. Ascoltare
la testimonianza di un ragazzo che sta attraversando un'esperienza consi-
stente, che partecipa a un'impresa collettiva, che si rapporta criticamente
con un servizio territoriale con il quale cerca collaborazione, favorisce
una forma di apprendimento generativo: parole chiave per comunicare
con adolescenti, nuovi significati attribuiti alle esperienze, indicazioni di
metodo per lavorare con loro e forse anche qualche mappa per imparare
a crescere, insieme, nell'incertezza.

2
Un tentativo di cambiare sguardo ha permesso di ascoltare esperienze di partecipazione e
protagonismo giovanile, testimoniate, ad esempio, da alcuni inserti di «Animazione Socia-
le»: Dal rispondere ai bisogni al far leva sui desideri, n. 260, 2012, pp. 36-77; Dal simulare
la partecipazione al giocarsi nell'intraprendere, n. 271, 2013, pp. 32-77; Dal concreto fare
al trasformare fatti e vissuti in esperienze, n. 281, 2014, pp. 34-80.
Capitolo terzo

Le storie raccontano i servizi




3.1. La psichiatria e la rete
F. Pezzoni

La realtà clinica nel lavoro con gli adolescenti mostra tutti i giorni che
non c'è una corrispondenza semplice e diretta tra gravità della diagnosi e
gravità del quadro patologico, da un lato, e difficoltà, dispendio di energie,
impiego di risorse da parte dei servizi, specie in casi con problematiche
comportamentali rischiose e tumultuose.
Il lavoro di rete con questi utenti si rivela assolutamente indispensabile.
Non è un optional né un ripiego a cui ricorrere specie in tempi di crisi per
economizzare risorse, bensì un elemento necessario sia a livello conoscitivo
che terapeutico.
Ci si richiama al concetto di «cornice per la crescita» espresso nel
libro di Francesca Codignola (2001), che riporta una lunga esperienza di
collaborazione tra «Progetto A», un centro per adolescenti milanese, e le
assistenti sociali dei servizi territoriali del Comune di Milano.
Gli adolescenti, sia sani che problematici, necessitano di una cornice
ben definita e forte per poter superare i conflitti specifici della loro fase di vita.
Per quanto si sia cercato di abolire qualsiasi causa di conflitto e di
disagio, non si sa se a ragione o a torto, facilitando al massimo l'iter scola-
stico, abolendo sanzioni e regole, tabù e limiti, l'adolescenza per sua natura
106 Gli adolescenti tra immaginario collettivo e scena sociale


è portatrice di tensioni specifiche di un periodo della vita, tensioni che sono
presenti per quanto magari non evidenti nei giovani sani, e ancor più in
quelli più vulnerabili e compromessi. Il problema è negoziare i limiti e i
confini attraverso un importante incontro/scontro con l'ambiente.
Un primo conflitto nasce dal fatto che l'adolescente da un lato deve
identificarsi con i genitori, intesi come persone adulte portatrici di com-
petenze e di responsabilità, dall'altro deve raggiungere l'autonomia e dif-
ferenziarsi (Jeammet, 1992). È un gioco paradossale che in un certo senso
si svolge sul filo del rasoio, che coinvolge l'immagine di sé, l'autostima e
l'equilibrio narcisistico. Se le basi della personalità sono abbastanza solide,
il processo avviene in modo relativamente facile e senza apparenti disagi,
mentre, se già nell'infanzia erano presenti delle crepe, queste si mostrano in
tutta la loro evidenza. Nelle storie dei nostri pazienti, che per fortuna ben
raramente sono psicotici ma più spesso portatori di un malessere variegato
e complesso, spesso incontriamo contatti con psicologi privati o con servizi
consultoriali già durante la scuola dell'obbligo.
Un secondo conflitto è stato ben descritto da Winnicott (1968), che a
questo proposito ha citato il gioco «io sono il re del castello». A livello non
cosciente l'adolescenza mette in moto una fantasia omicida: per diventare
adulto devo uccidere il genitore, cioè farlo fuori e prenderne il posto. Win-
nicott ipotizza la presenza di questa fantasia inconscia anche nelle situazioni
più idilliache, in cui tutto si svolge nell'apparente assenza di contrasti. Il suo
consiglio ai genitori non è né di farsi fuori da soli, addirittura anticipando
il problema prima che sorga per evitare qualsiasi tensione, né di evitare il
conflitto ai figli, piuttosto di sopravvivere, tenere duro e non rinunciare
ad alcun principio importante. Se non esiste, come dice Winnicott, un
bambino in quanto tale, senza madre, così non esiste un adolescente senza
famiglia, ovvero non può essere né conosciuto né curato senza prendere in
considerazione e cura anche la famiglia.
Per quello che si può dedurre dalla storia e dall'etnologia, tutte le società
umane fuorché la nostra hanno riconosciuto questa situazione problematica
dell'adolescenza senza negarla e hanno approntato degli strumenti che aiutas-
sero sia i giovani che gli adulti ad affrontarla e a superarla. Chiaramente non
possiamo tornare ai riti di iniziazione delle società cosiddette «primitive», ma
possiamo imparare qualcosa dall'esame del loro svolgimento. Come tutti i
riti di passaggio, essi avvenivano in tre fasi: 1) allontanamento dall'ambiente
Le storie raccontano i servizi 107


famigliare; 2) vita in gruppo sotto la guida di istruttori diversi dai genitori
e incaricati dalla comunità con superamento di prove a volte anche molto
dure, che implicavano coraggio, sopportazione del dolore fisico, umiliazioni,
tatuaggi, ecc.; 3) ritorno alla comunità con l'assunzione del nuovo ruolo
di adulti e festeggiamento collettivo. La comunità da un lato investiva sul
proprio futuro e dava molta importanza ai giovani che erano i protagonisti
attivi del rituale, dall'altro offriva un'espressione indiretta e simbolica alle
loro difficoltà emotive e forniva un modo per contenerle e superarle. L'idea
di fondo era che fosse necessario conquistare la maturità sostenendo prove
impegnative, ma che gli individui, opportunamente equipaggiati, fossero
in grado di affrontarle. Esisteva una complessa rete naturale intorno agli
adolescenti, più o meno elastica a seconda dei valori delle diverse culture,
ma implicitamente veniva riconosciuta sempre e comunque la necessità
di una particolare attenzione per questa fase della vita, con il concorso di
differenti figure adulte appartenenti a differenti istituzioni.
Fino a un recente passato, questi riti avevano nelle nostre società una
sorta di corrispettivo in altre forme di passaggio rituale, quali il servizio
militare e l'esame di maturità, e in ogni caso esistevano istituzioni, quali la
famiglia e la scuola, che garantivano una cornice forte per il cambiamento,
oltre ad altre organizzazioni sociali, lavorative, politiche al di fuori dell'am-
biente famigliare che fornivano modelli identificativi diversi, evitando che i
genitori (magari un genitore unico) fossero i soli interlocutori in un generale
vuoto relazionale.
In questo quadro già piuttosto impoverito e piatto i problemi di-
ventano più preoccupanti quando l'adolescente proviene da un ambiente
compromesso che non è in grado di fornire un adeguato contenimento. La
cornice per la crescita deve allora in qualche modo essere data dalla rete dei
servizi, che inevitabilmente vengono chiamati in causa dai comportamenti
spesso trasgressivi, disturbanti, bizzarri dei ragazzi, quando non è invece la
loro assenza di comportamenti a preoccupare, nel senso che stanno chiusi
in casa, attaccati al computer tutta la notte, non vanno a scuola e così via.
Necessariamente non si tratta (per fortuna) solo di servizi sanitari, ma di
tribunali, scuole, società sportive, centri educativi, tutti chiamati in causa
a vario titolo.
Per quanto faticoso, il lavoro con gli adolescenti assume sotto que-
sto punto di vista un significato di stimolo e di riflessione teorica per gli
108 Gli adolescenti tra immaginario collettivo e scena sociale


operatori dei servizi psichiatrici, perché mette in luce tutti i limiti di un
approccio essenzialmente ambulatoriale e centrato su un'accentuazione se
non un'assolutizzazione dell'aspetto biologico e di conseguenza del tratta-
mento farmacologico.
È impossibile cercare di prendersi cura di un adolescente senza esami-
nare in modo approfondito il suo contesto di vita, il suo ambiente famigliare,
i suoi rapporti sociali, tramite visite a casa, contatti con le istituzioni e le
figure più svariate e sempre anche al di fuori dei servizi strettamente sani-
tari. È inevitabile svolgere un intervento territoriale, non solo e non tanto
in senso fisico-geografico quanto in senso culturale. Si deve abbandonare
l'idea di fondo, più o meno esplicitata, che il disturbo sia qualcosa che si
trova esclusivamente all'interno dell'individuo, che sia dovuto solo a cause
biologico-genetiche, che debba essere scovato o (orribile parola) intercettato
al più presto per intervenire soprattutto con mezzi sanitari e ovviamente
all'interno di strutture psicosanitarie. Gli adolescenti mettono subito in
scacco la pretesa di dare una risposta ai vari bisogni all'interno di un circuito
medico, di cambiare il ragazzo o il suo ambiente in modo da fargli trovare
delle situazioni predisposte ad hoc per lui.
Questa tentazione sempre presente adesso è naturalmente molto at-
tenuata dalla scarsità di mezzi economici, ma rimane almeno idealmente il
sogno di dare un lavoro o meglio una terapia occupazionale, uno svago o
meglio un gruppo vacanze, una palestra o meglio una terapia ginnica, cioè
di trasformare l'ambiente in modo che i pazienti trovino delle situazioni
predisposte ad hoc per loro, o ancor peggio creare ambienti specifici dove
trovino tutto o quasi quello che è loro più o meno necessario. Almeno finché
sono ancora abbastanza giovani ed energici, i pazienti cercano di rifiutare
queste soluzioni, frequentano piuttosto gli amici che fumano canne ai
giardini pubblici, vanno a pescare invece di fare pet therapy (a meno che la
pesca non sia una forma sui generis di pet therapy).
È inevitabile, oltre che teoricamente corretto, attivare diverse figure
professionali ' psichiatra, psicologo, assistente sociale, infermiere '
all'interno del singolo servizio, e attivare la rete al suo esterno, prevedendo
immediatamente specifici trattamenti con la famiglia.
L'esperienza ci mostra ormai che senza un intervento molto forte sulle
dinamiche famigliari (di cui il giovane oltre che vittima è anche attore)
non si ottiene alcun cambiamento. Al rientro da periodi anche lunghi in
Le storie raccontano i servizi 109


comunità con ottimi risultati, il paziente dopo dieci giorni a casa ritorna
quello di prima se non peggio. Si deve prendere atto del fatto che nessuno,
per quanto curato con psicoterapie prolungate o con altre forme anche
sofisticate di cura, diventa così impermeabile da resistere alle tensioni di un
ambiente famigliare in cui magari gli altri membri non hanno né devono o
possono avere una diagnosi psichiatrica precisa, ma che è fonte di conflitti
insostenibili. Si devono evitare due rischi: mirare a cambiare il mondo
esterno o viceversa tentare di cambiare l'adolescente in quanto portatore di
comportamenti disturbanti.
D'altra parte nessun operatore isolato può o deve sostenere da solo un
compito tanto impegnativo, ponendosi come figura onnipotente, confon-
dendosi con le figure genitoriali o pensando di poter risarcire il paziente di
eventuali mancanze patite. La grossa difficoltà è riuscire a tenere presenti
le difficoltà e le motivazioni sia del figlio che dei genitori ' impresa assai
difficile se affidata a una sola persona, che cerca di evitare di allearsi acritica-
mente con uno o con l'altro degli interlocutori. Solo il continuo confronto
e collaborazione con altri operatori e servizi da un lato impedisce (si spera)
di assumere queste posizioni, dall'altro aiuta a sostenere un carico emotivo
molto forte.
Il sostegno dato agli operatori è uno degli aspetti importanti, per quanto
forse poco confessato, del lavoro di rete. «Confessato» nel senso che la com-
ponente interpersonale del lavoro è stata progressivamente svalutata se non
svilita e, se il disturbo del paziente è visto come albergante esclusivamente
in lui stesso, parallelamente il lavoro delle varie figure professionali è stato
valutato in termini di efficienza ed erogazione di prestazioni. Riunioni e
lavoro condiviso appaiono antiquati e perdite di tempo. Le emozioni suscitate
dagli utenti sono scotomizzate o ignorate, e rappresentano comunque una
questione che l'operatore deve gestire da sé.
Va anche detto che l'offerta di aiuto a volte può anche «fare male»
a chi la riceve, perché fa sentire più acutamente lo stato di deprivazione
vissuto in precedenza. L'operatore diventa così responsabile di infliggere
una sofferenza aggiuntiva e viene attaccato aggressivamente, specie da pa-
zienti che hanno subito gravi sofferenze, per alleviare la tensione suscitata
dall'offerta di un rapporto.
La necessità di garantire un'adeguata cornice per la crescita a adolescenti
portatori di vari tipi di disagio psichico si è evidenziata sempre di più nel
110 Gli adolescenti tra immaginario collettivo e scena sociale


corso degli anni, di fronte ai cambiamenti delle manifestazioni del disagio
giovanile, che si contraddistingue per maggior precocità della comparsa
delle manifestazioni, per l'età sempre più giovane in cui avvengono ricoveri
in reparti di psichiatria, per la comparsa di fenomeni specifici e «nuovi»,
quali le condotte disturbate di giovani adottati ed extracomunitari, mentre
appaiono in diminuzione gli esordi psicotici secondo le modalità classica-
mente descritte dalla psichiatria.
Il disagio si presenta sempre di più in modo multiforme, estendendosi
contemporaneamente a varie sfere, quali l'abuso di sostanze, peraltro di
recente e sempre nuova introduzione, i problemi giudiziari e scolastici, le
condotte auto ed eteroaggressive (bullismo con manifestazioni particolar-
mente violente).
La risposta che i diversi servizi coinvolti a vario titolo nella cura degli
adolescenti possono mettere in campo deve basarsi necessariamente sul
lavoro di rete. Questa necessità è stata avvertita contemporaneamente in
realtà territoriali diverse, che hanno elaborato specifici progetti per rispon-
dere ai bisogni di cura della fascia di utenza giovanile, coordinando vari
servizi sociali e sanitari.
A questo proposito ricordiamo il «Progetto Giovani» elaborato nel
2008 sul territorio del Distretto Sociosanitario Ventimigliese, per creare un
canale privilegiato per gli utenti della fascia adolescenziale e giovanile, con la
collaborazione della Neuropsichiatria infantile, dell'assistenza consultoriale,
della Struttura complessa Salute Mentale e Dipendenze Patologiche e gli
ambiti territoriali-sociali e le scuole secondarie di primo e secondo grado.
Il coinvolgimento di enti non sanitari è dovuto alla necessità di raggiungere
l'utenza senza etichettarla in senso sanitario e di individuare percorsi di cura
in senso lato, utilizzando risorse informali presenti sul territorio.

Bibliografia
Codignola F. (2001), Una cornice per la crescita: Psicoanalisi e lavoro psicosociale con
l'adolescente, Milano, FrancoAngeli.
Jeammet P. (1992), Psicopatologia dell'adolescenza, Roma, Borla.
Winnicott D.W. (1968), Concetti contemporanei sullo sviluppo dell'adolescente
e loro implicazioni per l'educazione superiore. In Id., Gioco e realtà, Roma,
Armando.
Le storie raccontano i servizi 111


3.2. Un'esperienza di rete: il gruppo «Adolescenti a rischio»

G. Garufi, C. Costa, V. Mazzoni, E. Rossi e R. Schenone

Nell'ambito dei gruppi di lavoro integrati nati con queste finalità,
vogliamo descrivere in modo dettagliato il gruppo «Adolescenti a rischio»,
attivato in collaborazione nel giugno 2003 dal Centro di Salute mentale
e dal Distretto Sociale Medio Levante di Genova, allo scopo di affrontare
la complessità delle situazioni in carico, facendo interagire professionalità
diverse, riconoscendo le peculiarità e le opportunità dei servizi già esistenti
e favorendo l'integrazione dei loro interventi.
Attualmente tale progetto è portato avanti da un gruppo di lavoro
piuttosto numeroso al quale partecipano operatori di tutti i servizi territoriali
del centro-est cittadino (distretti sociali, UO Salute Mentale, SERT, consul-
torio, in particolare il Centro Giovani, l'USSM), della Clinica Psichiatrica
dell'Università di Genova dell'Ospedale San Martino, e di alcune realtà del
terzo settore (CSED, la CET, il CSE).
I partecipanti sono rappresentativi delle diverse professionalità presenti
nei servizi: psichiatri, assistenti sociali, neuropsichiatri infantili, psicologi,
educatori, la coordinatrice del distretto sociale che ospita il gruppo di lavoro,
due psichiatre della Clinica Psichiatrica.
La presenza della Clinica Psichiatrica nel progetto permette sia di fare
riferimento a uno specifico ambulatorio per psicoterapie individuali, sia
eventualmente di attivare ricoveri o viceversa di seguire in tempi successivi
pazienti segnalati dopo un primo ricovero in reparto.
Gli obiettivi del gruppo sono: consolidare la rete istituzionale, realizzare
un lavoro di rete a carattere continuativo, attivare percorsi di intervento
precoce e discutere casi multiproblematici. Viene fatta un'elaborazione
congiunta del progetto individuale con attribuzione di compiti tra i diversi
servizi coinvolti, con aggiornamento e monitoraggio periodico.
Gli incontri hanno una frequenza mensile e durano circa due ore. I
casi somigliano molto a quelli descritti da Codignola (2001): adolescenti
abusati, figli di genitori violenti, impegnati in separazioni conflittuali,
o con problemi di abuso di sostanze e/o di depressione o altre patologie
psichiatriche mai curate, ragazzi responsabili di furto o quant'altro, che
vanno incontro con modalità ripetitive ad altri rifiuti e abbandoni, ragazzi
112 Gli adolescenti tra immaginario collettivo e scena sociale


che lasciano la scuola, autori di reati, autolesionisti, stranieri ricongiunti
con la famiglia dopo anni di distacco, rifugiati sbarcati dai barconi o ragazzi
adottati con comportamenti di fuga.
Così è la storia di Ivan/Ivano, 18 anni, di origine russa e arrivato in
Italia a 8 in una famiglia dallo stile molto austero che non è riuscita ad
accogliere il suo malessere arrivando all'espulsione. Ivano è glaciale ed è
difficile capire cosa gli passa dentro.
Ben difficilmente potrebbe essere etichettato con una diagnosi psi-
chiatrica specifica, ma il suo malessere è forte e le sue azioni coinvolgono
inevitabilmente il mondo esterno, richiedendo risposte urgenti e concrete.
Il gruppo propone una presa in carico del ragazzo al CSM competente e un
nuovo invio all'ufficio adozioni per un sostegno alla genitorialità.
L'incontro non ha la funzione di supervisione, nel senso che nessuno
dei membri si pone o viene posto come supervisore degli altri, ma c'è uno
scambio di saperi, di informazioni e di risorse attraverso una lettura multi-
disciplinare del disagio giovanile.
Ogni operatore ha facoltà di richiedere la discussione del caso attraverso la
compilazione di una scheda e la discussione assume una funzione collettiva di
pensiero e di cornice all'interno della quale vengono individuati alcuni quesiti/
filoni che possono poi sfociare in percorsi operativi da parte dei diversi servizi.
Le richieste più ricorrenti riguardano:
' interventi valutativi presso il consultorio;
' percorsi terapeutici presso gli ambulatori della clinica psichiatrica;
' valutazioni tossicologiche presso il SERT;
' consulenze sui percorsi penali;
' prefigurazioni di inserimenti in comunità sia educative che terapeutiche;
' aggancio e tenuta da parte degli operatori delle comunità.
Quest'ultimo punto è spesso oggetto di riflessione e discussione;
come sopra accennato si discute di ragazzi privi di una cornice relazionale
sufficientemente adeguata da consentire loro di g

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