Alle origini dell'assiomatica. Gli eleati, Aristotele, Euclide
EAN 9788854817302
La Prof.ssa Marcacci, autrice di numerosi contributi, ricerche, pubblicazioni, corsi universitari su storia e filosofia del pensiero scientifico, dedica particolare attenzione alla scienza antica e al pensiero dei Presocratici. Questo suo libro consegue alle ricerche per il dottorato presso la Pontificia Università Lateranense in Roma. In esso indaga come, grazie all’assiomatica greca, l’Occidente seppe costruire una scienza produttiva di risultati. Per capire le radici di tale vicenda, l’autrice muove da Talete, per arrivare ad Aristotele ed Euclide in quanto autori degli “Analitici” e degli “Elementi”, pietre miliari del pensiero. Nella “Presentazione” il Prof. Gianfranco Basti nota come Marcacci mostri il sistema del filosofo Aristotele “aperto”, perché i suoi assiomi rimandano alle essenze che fanno conoscere la realtà di un processo sempre perfettibile e mai concluso. Il matematico Euclide, invece, per rendere autonoma la matematica e più rapido il progresso matematico, tolse il richiamo all’essenza, chiudendo il sistema. Queste note, contestualizzando l’opera, aiutano a percepirne l’originalità. Prima di passare all’analisi, alquanto complessa, vorremmo tuttavia indicare due premesse che aiutano a comprendere alcuni problemi meno facili. Si tratta, infatti, di comprendere non solo le vicende indagate, ma anche le loro conseguenze per il pensiero contemporaneo e le problematiche attuali. La prima premessa la rileviamo da Ennio de Giorgi che nei suoi scritti annotò, con grande finezza, il valore sapienziale della matematica, estensibile pure alle altre scienze. Egli invitava, perciò, a considerare le scienze non come “pezzi di una macchina” ma come “rami vivi dell’albero della sapienza”. Più che a conoscere le teorie matematiche sollecitava a “comprendere lo spirito di questa scienza”. Di fronte alla radicata convinzione che la matematica fosse una scienza “quantitativa” ne sottolineava il carattere “qualitativo” dovuto al fatto che esplicitando le relazioni esistenti tra gli oggetti dell’Universo, ne riconosce in primo luogo le proprietà qualitative. L’autrice si attiene solidamente al riferimento sapienziale indicato nella sua Prefazione. Rileva, infatti, che «quella pratica di autonomia che Euclide fa svolgere alla matematica resta inscritta in un ordine sapienziale squisitamente greco, per cui è impensabile per la matematica non parlare di oggetti reali, come è impensabile pretendere di essere “costruttrice” di un mondo» (p. 16). Quanto ad Aristotele, ne sottolinea il riferimento sapienziale per il quale, «anche nella teoria assiomatica, si respira la scienza come “sistema aperto”, non autoconclusivo nel riferimento ad assiomi stabiliti per sempre ma, piuttosto, in itinere verso la definizione dell’essenza come causa della realtà» (ibidem). A questo punto, anticipiamo come seconda premessa, un’asserzione che l’autrice pone esplicitamente solo al termine del suo lavoro: la scelta di far precedere alla lettura degli Elementi la lettura di Aristotele. Questo le ha consentito di far emergere sia la “forte assonanza” che le “profonde differenze” riscontrabili, soprattutto, al momento effettivo della dimostrazione (cfr. p. 277). Queste due premesse ci aiutano a comprendere meglio la struttura e i contenuti dell’opera che si divide in tre parti. La prima tratta “L’astrazione geometrico-matematica prima della dimostrazione scientifica”. Muovendo dall’orizzonte culturale del VI e V secolo, Marcacci analizza la matematica prima di Euclide, tra astratto e concreto. Rileva, così, le due radici della prima matematica greca, rimaste presenti per secoli: la radice pratica, che con frequenza ricorre a rappresentazioni grafiche e strumenti meccanici (vedi Talete, Ippocrate, Archita ecc.); la radice astratta, nella quale prevale l’attenzione al rigore logico della deduzione (vedi Eudosso e Platone). Queste radici, confrontandosi, hanno originato l’ideale di un sapere strutturato e forte, nel quale le conclusioni discendono dalle premesse, con il carattere della certezza, e nel quale la matematica acquista la dignità di scienza da imitare (cfr. p. 108). La seconda parte del libro “Aristotele: logica assiomatica e logica deduttiva” si divide in quattro capitoli che studiano nell’ordine: la “Introduzione alla matematica e alla logica di Aristotele” (cap. 3); “Gli Analitici e il contenuto degli Analitici Primi” (cap. 4); “La scienza aristotelica negli Analitici Secondi” (cap. 5) e “La matematica in Aristotele” (cap. 6). Da essi emerge come Aristotele caldeggi una scienza che ha chiari i suoi principi, pur sapendo che la ricerca su di essi non potrà avere mai termine. Data l’origine induttiva degli assiomi, la realtà che interpella continuamente lo scienziato lo costringe a verificare continuamente i “punti di partenza”. Il sistema di Aristotele, quindi, si differenzia da quello ipotetico-deduttivo di oggi, poiché la ricerca degli assiomi, poggiando su principi universalmente veri, evita i regressi senza fine (cfr. p. 222). Nel paragrafo 6.4, che conclude il capitolo e tutta la seconda parte, l’autrice sottolinea che la struttura della scienza, emergente dagli Analitici Secondi, appare più vicina all’idea di sistema aperto di quanto si possa pensare. Nell’insieme, il capitolo sesto mostra come Aristotele consideri la matematica un modello per le scienze. La sua capacità di mantenersi fra astratto e concreto le consente di: essere trasversale a molti saperi; svelare il perché più profondo delle cose; giustificare il costante rinvio alla realtà. Ne risalta particolarmente la vocazione sapienziale della scienza aristotelica e il fatto che l’empiria preceda il cogitum (cfr. p. 242). La terza e ultima parte riguarda “Euclide e la dimostrazione negli Elementi Logica matematica e logica assiomatica”. In essa l’approccio al testo euclideo è sintetico e non dettagliato. Il senso del termine “elementi” è chiarito come “sistema correlato di singoli componenti” o, in senso moderno, come sistema di proposizioni legate richiamanti l’un l’altra. È pure sottolineato il carattere “didattico” dell’opera. Euclide, comunque, si differenzia da Aristotele poiché elimina ogni riflessione metafisica, comportandosi solo da matematico, senza interessarsi alla comprensione filosofica dei principi-guida sui quali costruisce il suo sistema (cfr. p. 275). Nel capitolo ottavo e ultimo, dedicato agli “Appunti sulla ‘filosofia’ negli Elementi”, Marcacci nota che «con Euclide l’ideale di una comunicazione rigorosa e di un sapere caratterizzato di certezza e incontrovertibilità sembra finalmente raggiunto, nella determinazione di uno standard dimostrativo» (p. 277). Ricordato il problema del platonismo di Euclide, sollevato da Proclo e dai commentatori, da Pietro Ramo al Commandino e le Colletiones di Pappo, affronta il tema dell’interesse e influsso della geometria euclidea per gli ambienti scientifici moderni. Descartes orientò l’assunzione dell’analisi e della sintesi (Pappo, Euclide) e dell’idea di una mathesis universalis in una direzione che portava all’orizzonte tecno-scientifico pratico, volto al dominio della natura da parte dell’uomo. Questo divenne l’obiettivo e il fine di gran parte del pensiero moderno. Fu Hilbert, tuttavia, a dimostrare che la geometria euclidea fornisce gli strumenti per dimostrare di non essere l’unica geometria possibile. L’autrice nota giustamente che, rivisitando la ricezione delle matematiche antiche, si potrebbe fare anche luce sulle radici del pensiero moderno e contemporaneo. Rinvia, però, a un’altra opera l’esame delle sorti della geometria euclidea dal secolo XVI in poi (cfr. p. 282). Tale opera appare molto opportuna perché, dopo il matematismo seicentesco, non si riuscì più a rinunciare a “ridurre il mondo a una struttura matematica”, perdendo di vista la finalità sapienziale ben viva nella scienza greca. Sia i moderni che i contemporanei lessero opere magistrali come gli Elementi, in un orizzonte puramente tecnico, ad essi totalmente estraneo. In questo modo ne ignorarono il carattere di esperienza sapienziale e di matematica consapevole di non poter procedere da sola a una costruzione del mondo. Queste conclusioni, nel libro appena accennate, ci sembrano preziose per affrontare molti problemi discussi e insoluti del nostro tempo. Esse sono tanto più importanti in quanto derivano da un lavoro di scavo, molto accurato e profondo, su tematiche sia specialistiche che fondamentali. Altro motivo del valore del libro e conferma della serietà, impegno e fatica dell’autrice sono la bibliografia, ricca di 446 opere e l’indice dei nomi che annovera 278 autori. La lettura del libro è impegnativa e richiede buona cultura filosofica e specialistica e consapevolezza della complessità delle problematiche coinvolte. Il suo studio è essenziale per gli specialisti di storia e filosofia della scienza, della matematica e dell’epistemologia. È pure molto utile a ogni persona di cultura e agli studenti delle diverse facoltà universitarie scientifiche e umanistiche. La riteniamo soprattutto fruttuosa per chi si impegna nel dialogo fra pensiero tecnoscientifico, filosofia e pensiero cristiano e per quanti intendono sviluppare un umanesimo scientifico, una cultura tecno-scientifica e un’etica dell’attività scientifica, esigenze e urgenze vive del nostro secolo. È tuttavia necessario un appunto critico al sistema delle citazioni e alle modalità delle 518 note del libro. Un’opera di questa mole e impegno, da affrontare con la massima attenzione e concentrazione, esige al fondo di ogni pagina note bibliografiche complete e non ridotte al solo cognome e anno. Il lettore deve poter distinguere subito l’identità degli autori aventi cognomi eguali. Deve anche poter conoscere subito i titoli delle differenti opere di un autore. È defatigante, deconcentrante e fonte di gravi sprechi di tempo, energie e attenzione, riandare continuamente dalla pagina a fine libro e viceversa, sfogliare ogni volta le pagine e scorrervi gli elenchi della bibliografia. La bibliografia è inutilmente appesantita dalla ripetizione di ogni cognome e anno di edizione. Per libri impegnativi come questo rimane insostituibile il metodo classico e ben collaudato di citazioni a fondo pagina, complete e con le abbreviazioni ormai codificate. Ritornando ai contenuti, approviamo volentieri quanto l’autrice rileva al termine del suo studio. Avendo dovuto fermarsi per “ragioni di spazio”, sottolinea la necessità di un ulteriore passo: “un serio esame delle sorti della geometria euclidea dal XVI secolo in poi” perché «una rivisitazione della ricezione delle matematiche antiche potrebbe non solo illuminarci sul senso di molte dottrine e teorie scientifiche degli antichi, ma anche sulle radici del pensiero moderno e contemporaneo» (p. 282). È un bellissimo programma e un progetto di vivo interesse e utilità. Oltre a condividerlo pienamente, esprimiamo alla valida autrice la speranza e l’augurio di attuare anche al riguardo una ricerca-riflessione analoga a questa così lodevole che abbiamo qui recensito.
Tratto dalla rivista Aquinas n. 1-2/2008
(http://www.pul.it)
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