Nato nel luglio 1934, padre Raniero Cantalamessa è giunto alla soglia fatidica degli "ottanta", ma non cessa di girare per il mondo a predicare la Parola di Dio, ascoltato e apprezzato in tutti i continenti. In questo libro-intervista padre Cantalamessa dipana, grazie alle domande di un cronista di razza come Aldo Maria Valli, il racconto della sua vita, intessuto con il filo rosso della chiamata a essere "il portatore dell'acqua viva". Nella vicenda biografica di padre Cantalamessa rileggiamo un periodo intenso e straordinario nella storia della Chiesa, caratterizzato dalla "svolta" impressa dal Concilio Vaticano II, di cui il religioso cappuccino è stato protagonista con la sua sensibilità ecumenica, l'attenzione ai segni dello Spirito e il servizio della Parola. Noto volto televisivo, grazie a molti anni di presenza sul piccolo schermo come commentatore delle letture domenicali, padre Cantalamessa ricopre dal 1980 l'incarico di "predicatore dal Papa", svolto sotto tre pontificati, da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI a Francesco, di cui padre Raniero dice: "Una cosa è certa: qualunque sarà la durata del suo papato, non sarà facile tornare indietro. E io aggiungo: per fortuna!".
PROLOGO
di Aldo Maria Valli
Lo stupore dell'innamorato
Che cosa mi piace di più del padre Raniero Cantalamessa? Direi così: in lui la dedizione alla Parola di Dio e l'amore per Gesù sono tanto forti, radicati e connaturati alla sua persona, che quando ne parla, chiunque sia l'interlocutore, esprime la stessa passione e ci mette lo stesso impegno. Che si tratti di una chiacchierata fra pochi amici, di una trasmissione televisiva indirizzata a milioni di persone o di una predica davanti al papa e all'intera curia romana, il padre Raniero conquista chi gli sta di fronte e lo fa con le stesse armi: la verità, la sincerità, l'autenticità e la libertà. Certo è preparatissimo, anche perché prima di diventare predicatore è stato a lungo studioso e insegnante universitario. E nell'arte di comunicare è un numero uno. Ma le sue risorse più importanti sono quelle interiori, che gli derivano dallo stupore che continua a provare davanti al volto di Gesù e alle Scritture. Lo stupore senza fine dell'innamorato.
Le pagine che seguono vogliono essere un omaggio per i suoi ottant'anni. Quindi l'intervistatore è rimasto opportunamente defilato. Ha fatto come certi giocatori di pallavolo, incaricati di alzare la palla al posto giusto e al momento giusto, perché gli attaccanti possano sferrare il colpo decisivo esprimendosi al meglio.
«Alzare la palla» al padre Raniero è stato un onore e un piacere. Abbiamo spaziato a tutto campo, senza timori e senza reticenze, e l'attaccante ha «schiacciato» da par suo. Oltretutto il nostro colloquio ha coinciso con i primi mesi di pontificato di Francesco, un periodo incredibilmente ricco di novità per la Chiesa e di spunti di riflessione. L'intervista è stata dunque un'esperienza provvidenziale all'ennesima potenza, perché ha permesso non solo di approfondire la conoscenza di un grande uomo di fede e di un grande comunicatore, ma anche, attraverso la sua storia e la sua testimonianza, di entrare meglio nell'insegnamento del primo papa arrivato dall'altra parte del mondo.
Da questo punto di vista devo dire che è stato sorprendente verificare, strada facendo, l'identità tra il pensiero di padre Raniero e i passi compiuti da papa Francesco, tanto che in certi momenti, preso com'ero tra la costruzione del libro-intervista e il mio lavoro di tutti giorni, che è quello di raccontare agli italiani le imprese del nuovo papa, mi sono sorpreso a chiedermi se per caso il buon cappuccino e l'esuberante gesuita non si incontrassero in gran segreto, per concordare la linea.
Per padre Cantalamessa, come per papa Francesco, è oggi opportuno che l'annuncio di fede, con il suo messaggio di speranza, preceda decisamente l'obbligazione morale che ne può derivare. Detta così, può sembrare una cosa ovvia. Ma se consideriamo che veniamo da secoli in cui l'apparato dottrinale ha nettamente prevalso sull'annuncio di salvezza (con tutte le conseguenze del caso sulla pastorale e sullo scollamento progressivo tra insegnamento della Chiesa e vita della gente), vediamo bene che siamo davanti a una rivoluzione. Anzi, come dice padre Raniero, a una regressione, nel senso migliore del termine, perché per il cristiano il vero atto rivoluzionario consiste sempre e soltanto nel tornare a Gesù e alla radicalità evangelica.
Non voglio anticipare nulla delle cose che il padre Raniero dirà nelle prossime pagine. Mi permetto soltanto una citazione, utile per dare la misura della sua lucidità e della sua libertà di giudizio. Quando gli chiedo se condivide la mia impressione circa il rischio che il messaggio di papa Bergoglio possa essere banalizzato dai mass media e ridotto a un generico buonismo di marca progressista, Cantalamessa va, secondo me, al cuore del magistero di Francesco e contemporaneamente della prova che la Chiesa cattolica è chiamata a sostenere in questo nostro tempo: «Con questo papa torna in modo prepotente la sfida più grande che la fede cristiana lancia a tutti: credere che Dio si sia fatto uomo e sia morto e risorto per ciascuno di noi. Spiritualmente, la maggior parte di noi vive ancora nell'Antico Testamento: la legge prima di tutto. Ma la legge da sola non può nulla e anzi rischia di inaridire l'uomo. Quando l'intera società era cristiana, non c'era bisogno di mettere in primo piano la fede, cioè la ragione profonda del comportamento morale, ma adesso, in una realtà postcristiana che è molto simile a quella precristiana, occorre tornare alle radici. Gli apostoli a Pentecoste non ricevettero lo Spirito Santo perché erano fervorosi, ma diventarono fervorosi per aver ricevuto lo Spirito Santo!».
Padre Raniero, da uomo libero qual è, nel corso dell'intervista rivelerà anche qualche rimpianto (per esempio, non aver dato importanza a Padre Pio e non essere andato a trovarlo a San Giovanni Rotondo) e di aver cambiato idea più di una volta nella sua vita, anche su questioni di un certo spessore per un religioso. Per esempio, inizialmente non vedeva di buon occhio il concilio Vaticano II e poi ne è diventato un sostenitore. Allo stesso modo, pensava di essere alieno da ogni forma di coinvolgimento in correnti spirituali carismatiche e poi è stato conquistato dall'esperienza del Rinnovamento nello Spirito Santo.
È la stessa libertà che dimostra quando, parlando del cammino ecumenico, non solo non nasconde la sua ammirazione per Lutero in quanto uomo di fede, ma dimostra l'assurdità di controversie che continuano a separare sia Oriente e Occidente sia Chiesa di Roma e Riforma protestante anche se, nel frattempo, nel mondo è cambiato tutto, i problemi sono diventati ben altri e le diverse Chiese dovrebbero ormai rendersi conto di aver di fronte le stesse sfide. Si pensi solo alla questione del senso della colpa e del peccato, che Lutero voleva superare, mentre oggi si tratta semmai di restituirne almeno un po' a un uomo che, avendolo smarrito del
tutto, ha perso anche il senso del limite. Sulla sua strada il padre Raniero Cantalamessa ha incontrato maestri che rispondono al nome di sant'Agostino, Pascal, Kierkegaard, Angela da Foligno, e quando ne parla sembra proprio che li abbia frequentati. Ma nella sua vita c'è stato posto anche per amici in carne e ossa, come Andrea Bocelli e come, per andare un po' più indietro negli anni, il professor Giuseppe Lazzati e il cardinale Carlo Maria Martini. Basta citare questi due ultimi nomi per ricordare gli anni di Milano, la Milano dell'Università Cattolica, dove il cappuccino di origini marchigiane ha vissuto la fase dello studio e della ricerca, prima di prendere la via della predicazione e di quello che lui definisce il suo secondo battesimo, con l'ingresso nel Rinnovamento. Anni, quelli ambrosiani, ai quali Cantalamessa guarda comunque con gratitudine, perché gli hanno consentito di irrobustire il bagaglio conoscitivo poi messo al servizio della diffusione della Parola di Dio.
Come predicatore della Casa pontificia, padre Raniero è un vero recordman: ha rivolto le sue meditazioni a tre papi (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco), attraversando fasi decisive nella vita recente della Chiesa. Può dunque dire di aver predicato a un papa santo, al papa che passerà alla storia per la scelta umilissima di rinunciare al papato e al primo papa sudamericano, gesuita e di nome Francesco.
«In realtà - si schermisce - io non ho fatto altro, per tutta la vita, che portare l'acqua della Parola di Dio». La metafora nasce da un'immagine scolpita nella sua memoria e nel suo cuore: il piccolo Vinicio (così si chiamava allora), che nelle campagne della sua bella terra marchigiana porta l'acqua ai mietitori. Lo ha fatto, e lo fa, così bene, da essere conosciuto in tutto il mondo,perché se qui da noi è noto soprattutto come volto televisivo (e ancora oggi, anche se non appare più sul piccolo schermo, quando va in giro viene continuamente fermato da persone che lo riconoscono, lo salutano e lo ringraziano), negli altri paesi, al di qua e al di là dell'Oceano, il nome di Cantalamessa è sinonimo di predicazione, sia in incontri e convegni sia in ritiri spirituali, e non solo fra i cattolici.
Tanta notorietà può dare alla testa? Padre Raniero è sufficientemente onesto con se stesso da ammettere che il rischio c'è, perché, spiega, dominare la parola vuol dire affascinare e sottomettere. Però la predicazione è anche un cammino di umiltà, perché attraverso la Parola di Dio sei giudicato continuamente. A questo proposito cita un'immagine contenuta nella Bibbia: quella del rotolo presentato da Dio a Ezechiele, mentre una voce dice al profeta di prenderlo e mangiarlo prima di andare a parlare («Mangia questo rotolo e poi va' e parla alla casa d'Israele. Nutriti il ventre e riempiti le viscere di questo rotolo che ti do»). Padre Raniero dice che le cose stanno proprio così: prima di trasmetterla, la Parola di Dio va, in un certo senso, mangiata, cioè interiorizzata, fatta propria in profondità. E se Ezechiele dice che il rotolo gli sembrò dolce come il miele sulle labbra, Giovanni nell'Apocalisse precisa però che prima gli era sembrato amaro come il fiele nelle viscere. «E si capisce perché» commenta padre Cantalamessa: «La Parola mette a nudo anzitutto il peccato di chi la proclama».
Ecco, con un uomo così, coltissimo ed eloquente ma capace di prendere le distanze da se stesso, si sta bene. E c'è da ringraziare il Signore per averlo donato non solo alla Chiesa, ma alla cultura intera e alla grande divulgazione.
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
Anni difficili
Padre Raniero, quali sono le tue origini familiari? E com'è stata la tua infanzia?
Sono nato nel comune di Colli del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno, il 22 luglio del 1934, in una delle tante vallate che degradano dagli Appennini al mare, lungo la strada che i romani antichi avevano costruito per andare a fare il sale nell'Adriatico, la Salaria. Mio padre si chiamava Giuseppe e mia madre Lavinia Giovannini. Uno dei pochi libri che c'erano in casa era Quo vadis e così mi chiamarono Vinicio come il protagonista del romanzo. Erano anni, come si sa, di alta mortalità infantile, specie nelle campagne, così perdetti due fratellini gemelli nati prima di me e una sorellina nata dopo di me. Siamo rimasti io e una sorella, Giovannina, di tre anni più grande di me, sposata con Gino D'Angelo. Hanno un figlio, Giuseppe, laureato all'Università Cattolica, che lavora e vive a Milano con Lucia Finotto, sua moglie, e le loro tre figlie.
Degli anni precedenti la guerra ho solo brandelli di ricordi. Rivedo le guardie fasciste che percorrevano la Salaria nelle divise nere, al rombo delle loro moto (quasi i soli veicoli motorizzati che si vedevano in giro dalle nostre parti) e prendevano visibilmente gusto nell'incutere timore reverenziale nella gente. Guardavo con curiosità e forse anche con un po' di infantile invidia i miei coetanei di città che in certe parate sfoggiavano la divisa di Figli della lupa o di Balilla, con tanto di nappina in testa.
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Roberta Santangelo il 6 marzo 2018 alle 21:23 ha scritto:
Il libro-intervista, suddiviso in quattordici capitoli, vede l’alternanza tra le domande del giornalista Valli e le risposte del famoso francescano cappuccino. Conosciamo così il percorso di padre Raniero che attraversa più di cinquant’anni di storia recente della Chiesa. Tre sono state le grandi svolte o conversioni della sua vita: la chiamata al sacerdozio a dodici anni, il battesimo nello Spirito nel 1977 con il RnS e il trasferimento nel 2009 in un eremo a Cittaducale, dove condivide la vita di alcune monache clarisse cappuccine. E’ sicuramente uno dei protagonisti del cammino ecumenico se afferma: «Ho scoperto la forza del pensiero di Lutero e alcune delle sue opere sono tra i libri che tengo sempre a portata di mano». All’uscita del libro, circa un quarto della sua predicazione era dedicato ai fratelli riformati.