I giovani sono il futuro e la speranza. Non possiamo averne altre. Perché allora descriverli solo attraverso gli aspetti problematici, come si tende oggi a fare in Italia, anche nella Chiesa cattolica? C'è bisogno di uno sguardo diverso, che questo libro - nato da approfondite ricerche sul campo tenta di assumere. Un attento ascolto delle loro voci suggerisce che i giovani non siano diventati sordi alle ragioni del cuore, che il loro orizzonte spirituale non sia chiuso al trascendente e che non siano dunque divenuti increduli e indifferenti, ma piuttosto che siano "usciti dal recinto". Da quel mondo cioè in cui si pensa che l'istituzione - anche quella religiosa - venga prima della persona, che la risposta venga prima della domanda, che la legge venga prima della coscienza, che l'obbedienza venga prima della libertà.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Prove di sguardo diverso sui giovani
L'unica domanda che conta
Non abbiamo conosciuto Alberto. Era figlio di amici con cui i legami si sono allentati, per le vicende della vita. "Dubito" è lo pseudonimo che si era attribuito, una sorta di "dubito ergo sum", quasi a definire una struttura della personalità. E del resto Alberto non era religioso, quel cielo che di lì a poco avrebbe solcato, sconvolgendo tutti, era per lui "vuoto" e così com'era - diceva - "gli stava bene"; il cielo forse, ma non la terra, che invece gli suscitava rabbia. Di lui sappiamo che era pieno di interessi e quindi - pensiamo - di energie che altri giovani non hanno. Era poeta, musicista, fotografo, street artist, aveva vinto premi ed era voce e autore dei testi di un gruppo rap sperimentale. Nella sua città era una voce nota, da qualcuno amata. La mattina di un giorno di primavera è volato dalla finestra della casa dove abitava. Aveva 21 anni.
Ci sono ragazzi molto diversi da lui, trafitto - come Icaro forse - dal desiderio di volare troppo in alto, ragazzi che non cantano e non scrivono poesie, schiacciati a terra dalla mancanza di fantasia e di sogni, dalla povertà culturale, dall'impossibilità di pensare un futuro nel quale realizzare un desiderio, ragazzi che non volano e non vivono.
La terra è il loro punto di contatto. Di quelli come Alberto che se ne sono staccati troppo e alla fine ne sono stati schiantati, e degli altri che non se ne sono mai separati, restandone schiacciati. Ci sono due modi di morire: provando il rischio del volo e non provandolo affatto.
La giovinezza non è proprio come nelle pubblicità della Coca Cola; la giovinezza è una sfida combattuta su un terreno irto di aculei che possono ferire, qualche volta uccidere. Parlare di loro espone dunque a rischi: quello di dire cose improbabili e di non capire, una eventualità nella quale certamente siamo incorsi in qualche misura. E quello di starnazzare e battere inutilmente l'aria dicendo cose insignificanti, un rischio che ci preoccupa ancor più del primo.
In ogni caso noi, una strana coppia formata da due sociologi, monaco l'uno, sposato e padre di due figli l'altro, a cui si è aggiunto un terzo, religioso e catecheta, abbiamo preferito correrlo. Lasciata da tempo la giovinezza abbiamo ritenuto, provando a porci dal punto di vista dei giovani, di correre anche il rischio di sembrare patetici. Non è escluso che lo siamo.
Abbiamo ritenuto di farlo perché da tempo nelle nostre ricerche e riflessioni ci occupiamo dei giovani, anche se da un punto di vista particolare, quello della fede; perché la situazione ci sembra richiederlo; perché ci pare che la Chiesa, a cui sentiamo di appartenere e alla quale dedichiamo una parte importante della nostra vita, non sia realmente interessata a loro e che in essa si siano affermate idee sui giovani che non condividiamo. Questo libro ha dunque un interlocutore, che non sono i giovani - non pensiamo di poter ambire a tanto, anche se ci piacerebbe -, ma è la Chiesa italiana nella sua mancanza di proiezione verso di essi.
Ma certamente questo libro si rivolge a quel genere di Chiesa che ancora può sentire una vicinanza con i giovani, quella delle parrocchie, le nostre care vecchie sgangherate parrocchie, quella degli oratori "con tanto sole, tanti anni fa", dei gruppi, delle associazioni, dei campi estivi, delle "insensate" camminate in montagna, delle serate passate a condividere pensieri e paure. La "piccola Chiesa" che non pensa ai giovani come a truppe da spostare da una piazza all'altra del mondo per poter convincere e convincersi di essere ancora una "Chiesa giovane", ma che soffre per loro, e anche della loro assenza, che celebra i loro disperati funerali, ma che vorrebbe vederli anche nelle loro feste, ascoltare le loro canzoni, che vorrebbe sentirsi rianimata dalle loro speranze e, nel loro futuro, ritrovare il proprio.
Sia all'una che all'altra Chiesa vorremmo dire che l'unica domanda che veramente conta di fronte al volo di Alberto è: che cosa sarebbe stata "la salvezza" per Alberto? Che cosa avrebbe potuto essere? Certo, i nostri bravi giovani cattolici direbbero ai suoi genitori feriti: "Non piangete. Alberto è in cielo, perché non c'è l'inferno nel regno del buon Dio", come canta il Vangelo che ha vinto, quello "secondo De André". Ed è un modo per evitare il dramma. Ma è una risposta insufficiente a cogliere la domanda che si leva dall'universo giovanile. Questa riguarda la salvezza qui e ora, in questo mondo, nel mentre con speranza e inquietudine ci si affaccia alla vita. Questa è l'unica domanda che oggi suscita la passione dei giovani. Come possiamo evitare di perderci? Come possiamo vivere bene? Come possiamo condurre una vita felice?
E, in termini più prosaici, che cosa si può fare perché essi riescano nel difficile compito di scoprire una vita inventare felice e se stessi, condizione oggi essenziale per poter condurre autentica? Le nostre Chiese hanno qualcosa da dire su questo? Che non sia semplicemente: "Giovani ritornate con noi"?
La preoccupazione primaria infatti non è quella che la Chiesa abbia perduto i giovani, ma che essi non si perdano, non è che essi ritrovino la Chiesa, ma che trovino se stessi.
Giovani che non contano
Nel noto racconto di James Matthew Barrie i "bambini sperduti" sono quelli che, caduti dalla carrozzina, non vengono reclamati da nessuno e finiscono a Neverland, l'Isola che non c'è". Lì trovano un ragazzo che vola. Si chiama Peter Pan, fa loro da guida ed è capace di difenderli dagli adulti, i quali tramano da lontano spingendo i bambini ad abbandonare l'isola che non c'è per diventare come loro, cioè adulti. Peter ha un sistema efficace e tremendo per proteggerli da questo richiamo. A ogni suo respiro egli può uccidere un adulto e, quando vede gli amici fuggire, seguendo Wendy e i suoi fratelli che vogliono tornarsene a casa, comincia a respirare più forte che può. Peter è infatti convinto che gli adulti rovinino tutto.
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Dott. Paolo Floretta il 20 aprile 2015 alle 09:52 ha scritto:
Testo molto bello che aiuta a cogliere le percezioni dell'esperienza di ricerca e di fede dei giovani. Ha il pregio di sintetizzare la più corposa ricerca espressa in «C'è campo?» e di indicare alcune linee di operative di nuova pastorale.
Prof. Roberto Visconti il 5 luglio 2021 alle 13:56 ha scritto:
Ottimo libro di analisi della situazione giovanile, che evidenzia e sintetizza le diverse forme di esperienza giovanile nel campo religioso e il modo con cui si affaccia al mondo umano, capace di intuire e leggere le nuove generazioni.