Cattolici e politica: un'agenda per il domani
(Focus)EAN 9788851405243
Il testo avvia la riflessione dall’analisi della situazione di impoverimento generalizzato dei tre cardini della società attuale: le imprese, la famiglia, lo Stato. In questi ultimi decenni, queste realtà hanno dovuto subire un sistematico depauperamento che viene chiamato “trasferimento di ricchezza”. Il fenomeno è ritenuto essere non congiunturale ma strutturale, pianificato e voluto scientemente dalla speculazione finanziaria internazionale. L’analisi, efficace quanto spietata, parte innanzitutto dal registrare un impoverimento della società nelle sfere produttive, soggette a sistemi imposti dalla finanza speculativa orientata al solo profitto, che hanno determinato una sorta di “vampirizzazione” dell’economia produttiva: è un’economia plasmata dalle necessità dei super-ricchi e una politica controllata dai mercati finanziari, non più rappresentativa degli interessi della collettività. Nel rapporto tra politica ed economia, la prima rimane ai margini dei processi decisionali e subordinata ai poteri economici.
Nella nuova geografia economica e con l’avvenuto trasferimento di funzioni, di produzione e di ricerca, i paesi asiatici sono i paesi emergenti che guidano l’economia col possesso delle tecnologie e dei primati dei consumi. Sono i paesi con alta quota di produzione industriale mondiale ma con bassi salari di milioni di operatori. Le conseguenze: forte aumento della produttività ma scarsa retribuzione; divario tra sviluppo economico e sviluppo sociale, tra aumento di standard di vita e possibilità di beneficiarne; concentrazione della ricchezza in mano di pochissimi. Da quinta potenza industriale, anche l’Italia sta conoscendo la deindustrializzazione, la perdita di migliaia di posti di lavoro, l’emigrazione di intelligenze, il peggioramento delle condizioni di vita, la dipendenza offerta dai beni importati. L’Italia, quindi, sta diventando un paese di soli consumatori. L’istituto familiare, altro cardine della società civile, costituito in gran parte dalla classe media, vive una situazione di inquietante affanno. Le famiglie sono finite sotto una montagna di debiti e non pochi sono i casi di ricorso all’indebitamento e all’usura. Tra i maggiori beneficiari delle difficoltà finanziarie delle famiglie ci sono le banche che hanno decuplicato il loro ricavo con l’attività al dettaglio, l’erogazione di mutui, i prestiti e fidi alle famiglie e la tenuta dei loro conti correnti.
L’altro importante ambito della società civile, quello pubblico e istituzionale, ha subìto una vera e propria depredazione con la privazione di fonti di reddito come le vendite di azioni che erano possibili voci in entrata e gettito salutare per l’erario. La ricaduta per i cittadini ha generato un’alta pressione fiscale e tagli ai servizi pubblici. Le opere pubbliche, affidate alla finanza privata, sono risultate interventi fatti in base a profitti personali e non finalizzate al riequilibrio sociale e alla solidarietà sociale. I soggetti privati sono, dunque, diventati centro sociale di pianificazione. Gli oligopoli privati, al posto del monopolista pubblico, hanno prodotto la formazione di cartelli per profitti certi, rischi minimi e riparo dalla concorrenza. È, dunque, un approccio ai problemi condizionato dagli interessi di chi promuove l’iniziativa. Dalla rappresentanza si è passati alla rappresentazione, che ha messo in crisi la democrazia, nonostante che i cittadini godano dei più ampi diritti democratici. E la crisi della democrazia rischia di portare all’instaurazione di regimi populisti, autoritari e bellicisti. Lo sforzo degli autori non si ferma, però, a dipingere un quadro della società a tinte fosche. Al fine di favorire una chiave interpretativa delle attuali difficoltà della società italiana, ci si chiede: “cosa” o “chi” c’è a monte di questo dissesto sociale? L’aspetto rilevante del saggio consiste nell’averne individuato la principale causa: l’area culturale liberal-socialista di orientamento ultraliberista. Portatrice del mito dell’uguaglianza delle opportunità di partenza, si è tradotta, nel tempo, in dittatura culturale e mediatica (pensiero unico). In ambito personale, essa propugna una logica permissivista, all’insegna del relativismo etico, che ammette un unico limite, il rispetto del diritto altrui ed un unico principio di autorità e di verità, la volontà della maggioranza, intesa come somma delle volontà individuali. In economia, propone un capitalismo internazionale sempre meno soggetto a regole, controlli, trasparenza e con l’esclusiva ricerca del profitto e del potere: di fatto, le regole del gioco sono imposte dai più forti, con impoverimento globale della società. Lo Stato, inteso come “regolatore di mercato”, svolge solo un’azione notarile.
L’intreccio tra i proprietari di banche, finanza ed aziende pregiudica anche l’autonomia dell’informazione, che diventa il braccio operativo di ristretti interessi economici e finanziari, con conseguente condizionamento del mercato pubblicitario. Paradossalmente, si corre il rischio di avere molte notizie ma poco pluralismo informativo! Dalla puntuale analisi delle conseguenze di tale scempio e al fine del superamento delle attuali degenerazioni, gli autori auspicano un immediato quanto fecondo ritorno alla politica vera, quella cioè che ha il coraggio di riproporre i grandi valori quali una democrazia matura, sostanziale, inclusiva e con un’informazione equilibrata; un sostegno più deciso alle famiglie; un ruolo più influente dello Stato; un sistema produttivo efficiente. Innanzitutto, una democrazia matura e cioè rappresentativa, di partecipazione e corresponsabilità di tutte le aree della società, che si veda restituita la verità (ethos comune e valori condivisi) e la libertà dai poteri forti e cioè quello economico-finanziario, dell’informazione e quello scientifico-tecnologico. La libertà della democrazia è spesso gravemente compromessa dall’interferenza dei media, che hanno un’enorme potere di manipolazione sia per produrre consenso che per determinare gli obiettivi da perseguire nell’azione politica. Questa difficoltà obiettiva è più grave in Italia dove sia il polo pubblico sia quello privato sono, al momento, nelle stesse mani di chi detiene il potere politico. È una situazione molto rischiosa in tema di libertà e di pluralismo d’informazione, con il possibile rischio di una uniformità di pensiero. Di contro, è sottolineata la positività del diverso rapporto tra politica, informazione e potere economico con il ruolo del cosiddetto “popolo della rete”: diverso, in quanto lo stabilire la gerarchia di importanza delle notizie è definito dai navigatori. C’è bisogno, dunque, di una democrazia né “monarchica o carismatica” (il pensiero unico neoliberista), che rischia di sfociare in una dittatura della maggioranza e di portare alla deriva plebiscitaria, nè funzionale (cartelli elettorali col solo fine di raccogliere voti per essere eletti).
È la partecipazione popolare alla vita politica, con salvaguardia della rappresentanza e classe dirigente selezionata dal basso. Quale risposta, poi, per le famiglie? Una possibile soluzione può essere data da un’adeguata politica familiare negli ambiti fiscale, del lavoro, dell’istruzione, della salute, della casa, dei servizi sociali, delle pari opportunità, della conciliazione lavoro/famiglia come pure dalla circolazione della ricchezza, generata dai redditi da lavoro. E lo Stato? Se vuole salvare se stesso, deve necessariamente frenare l’inasprimento della leva fiscale. Inoltre, deve mettere in atto un sistema di equità fiscale per i detentori di grandi ricchezze finanziarie e impegnarsi efficientemente contro l’evasione fiscale. Infine, deve impedire sia la delega a privati della gestione di servizi, privi di concorrenza, sia l’alienazione di immobili pubblici come pure adoperarsi per la riduzione della spesa pubblica (sprechi ed inefficienze) e la rinazionalizzazione dei servizi. Cosa fare, poi, in ambito economico per favorire una decisa inversione di rotta? Con l’economia dei servizi e cioè la cura della persona, la ristorazione, l’azienda turistica, l’edilizia e il commercio, è necessario un consolidamento dell’industrie manifatturiera, chimica, della tecnologia informatica, della robotica, aeronautica, aerospaziale, cantieristica. Un’adeguata politica industriale, quindi, che necessita di una maggiore vicinanza delle istituzioni e una banca nazionale per la piccola e media impresa. Una logica economica, dunque, che riesca ad armonizzare efficienza produttiva e solidarietà, attraverso un rapporto equilibrato tra privato, pubblico e corpi intermedi e un mercato visto come strumento utile alla prosperità di tutta la società e non idolo da adorare. Insomma, è lo sforzo di perseguire il bene comune, quale criterio ispiratore e possibile orizzonte condiviso verso cui ogni cultura politica, in un rapporto di fecondazione reciproca, deve tendere: il bene che non deriva dalla somma dei beni individuali, come propugnato dal sistema politico liberale ma che è «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente» (GS 26).
Alla luce di questa poliedrica visione dell’uomo, della società, dello Stato e dell’economia, si vuole decisamente tendere al tramonto sia della logica del conservatorismo compassionevole, dei filantropi plurimiliardari, elargitori di elemosine, sia del falso progressismo di tipo radicale/individualistico, libertario e fautore di soli diritti individuali, come pure della concezione del riformismo come smantellamento dello Stato sociale, della libertà di licenziamento, dell’indebolimento della previdenza pubblica in favore del fondo pensioni e delle privatizzazioni selvagge. È un secco rifiuto, insomma, di una politica subordinata all’economia, guidata solo dalla pura logica del profitto! Contro il rischio di tiepidezza, di annacquamento o, ancor peggio, di accidia politica, il cattolicesimo democratico intende intercettare le nuove sfide alla democrazia, al fine di proporre un progetto politico generale e complessivo della società, avendo come criterio ispiratore la dottrina sociale della chiesa e come modello di riferimento l’agenda, di matrice sturziana, dei “liberi e forti”.
Tratto dalla rivista Asprenas n. 1-2/2010
(http://www.pftim.it)
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