Don Pezzini sollecita una radicale revisione degli atteggiamenti negativi che ancora oggi scattano quasi in modo automatico davanti alla scoperta di sapere che un conoscente o un figlio è omosessuale. Lo sforzo dell'autore è quello di rompere con i pregiudizi e di indicare sul piano educativo, soprattutto a genitori e educatori, come aiutare la persona omosessuale a giungere all'accettazione di sé, ma soprattutto comporre con le esigenze evangeliche la propria vita affettiva, in una parola il proprio mondo relazionale, costruendosi un'autentica capacità di amare. Il libro ruota attorno a tre parole chiave: accogliere, comprendere, aiutare, aggiungendo in chiusura alcune testimonianze dirette di ragazzi e genitori.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
Accogliere, comprendere e aiutare sono i tre verbi nei quali Domenico Pezzini compendia il ruolo dei genitori che scoprono di avere un figlio omosessuale. A ben guardare si tratta di verbi che definiscono, più in generale, il senso e le prospettive dell'azione educativa e che hanno — aggiungiamo — una grande risonanza etica. Scandendo attorno ad essi la propria riflessione, che procede con rigore logico ma che è connotata soprattutto da una profonda tensione sapienziale, Pezzini sollecita una radicale revisione degli atteggiamenti che hanno per molto tempo contrassegnato (e che, per alcuni aspetti, tuttora contrassegnano) il modo di accostarsi alla condizione omosessuale o — come egli in modo più appropriato dice — alle persone omosessuali. Sono noti i numerosi pregiudizi di ordine culturale che si sono progressivamente sedimentati nella coscienza collettiva (spesso nell'inconscio) provocando uno stato di diffidenza preconcetta che alimenta il rifiuto o provoca quanto meno una situazione di diffuso disagio esistenziale. Come nota è la situazione di marginalità sociale che ha a lungo contrassegnato chi si riconosceva appartenente a tale condizione.
Lo sforzo che Pezzini fa (e che ci sembra perfettamente riuscito) è quello di rompere con tali pregiudizi e di indicare sul piano educativo i presupposti non solo perché l'omosessuale giunga all'accettazione di sé (accettando la propria identità), ma soprattutto perché riesca a comporre con le esigenze evangeliche la propria vita affettiva, in una parola il proprio mondo relazionale, costruendosi un'autentica capacità di amare. Tra le cause che hanno influito sulla creazione di molti stereotipi negativi persistenti nel linguaggio e nella mentalità dominante, un posto di rilievo va senz'altro ascritto all'etica, grazie soprattutto all'enorme influenza da essa esercitata sulla produzione dei modelli e, più ancora, sulla determinazione del costume.
Lo sviluppo di un modello fortemente repressivo in campo sessuale (soprattutto ma non solo nell'ambito della Chiesa cattolica), e l'affermarsi di una concezione restrittiva del fatto etico, ridotto al ruolo di momento del giudizio e della condanna, hanno largamente contribuito a dare vita alla tabulizzazione di molti comportamenti — quello omosessuale in primis — considerati in se stessi gravemente inaccettabili. È allora evidente che la costruzione di un'attitudine positiva come quella auspicata da Pezzini passi anche (e forse in primo luogo) attraverso l'elaborazione di un modello etico alternativo: un modello in cui il riferimento al dato valoriale si sviluppi nel segno dell'accoglienza e della comprensione e si traduca in una forma di aiuto alla piena liberazione della persona. I tre verbi — e in questo caso i tre sostantivi da essi derivati — richiamati da Pezzini ritornano, e sembrano spingere l'etica a imboccare nuove strade per fornire al lavoro educativo il supporto di serenità di cui necessita e contribuire perciò a renderlo efficace.
Anzitutto l'accoglienza. Accogliere non è impresa facile: presuppone un animo sgombro da precomprensioni negative che non hanno origine soltanto nell'emotività personale, ma sono spesso espressione di una morale conformista, che ripudia per principio (salvo poi praticarli nascostamente) quei comportamenti che non rispettano i canoni del perbenismo borghese. Questa concezione ha ricevuto particolare impulso con l'introduzione del concetto di «natura» (e di «legge naturale») quale criterio di discriminazione del bene e del male — è questa la posizione della morale cattolica — e perciò a seguito della considerazione dell'omosessualità come fenomeno «innaturale» (o «contro natura») che va condannato in quanto «intrinsecamente cattivo». Senza entrare nel merito di questioni complesse, che van-
no affrontate in sedi più appropriate, ci sembra di poter dire che la possibilità di fuoriuscita da questo vicolo cieco è rappresentata dal ricupero, al di là della «natura» (o forse più radicalmente in alternativa ad essa), del primato della «persona», nella sua unicità e irripetibilità, come fulcro della vita morale. Se è vero che non esiste l'omosessualità (se non come processo astrattivo teso a individuare alcuni lineamenti dell'identità personale che accomunano taluni soggetti), non è meno vero che non può esistere una morale del tutto oggettiva, fondata su una astratta definizione della «natura», ma che la morale deve avere, in ultima analisi, come referente, la persona di cui va rispettata e assecondata l'identità. Questo non significa negare importanza ai valori che delineano le mete da perseguire nel cammino di crescita; significa semplicemente riconoscere che essi vanno rapportati alla persona e alle tappe del suo sviluppo così da favorire processi di vera umanizzazione.
L'accoglienza presuppone l'accettazione incondizionata dell'altro in quanto altro; presuppone cioè una grande disponibilità verso il «mistero» che avvolge ogni soggetto umano. La morale della pura conformità alla legge è del tutto estranea a questo progetto; va sostituita da una morale della persona, che educhi ciascuno a porsi in attitudine di attenzione e di ascolto verso l'altro, evitando la tentazione di facili (e aprioristici) giudizi e creando le condizioni perché possa diventare ciò che è, mettendo a frutto i doni ricevuti e perseguendo la propria vocazione.