Pretesa. Quale rapporto tra Vangelo e ordine sociale? (La)
(Catholica) [Libro in brossura]EAN 9788849835847
Coniugando profondità di prospettiva e agilità di stile, questo saggio può essere considerato una efficace summa del pensiero di un autore significativamente capace di analisi di spessore scientifico e accademico, ma in grado, al contempo, di «presa» sull’attualità; e che, sui temi inerenti il ruolo della religione nella società, rappresenta una delle voci piú originali, autonome e autorevoli del panorama italiano.
La pretesa sintetizza infatti le due direttrici principali cui si sono rivolti sinora i lavori di Diotallevi, studioso di Luhmann e teorico della società in generale, per un verso, ma anche sociologo della religione e analista attento, nello specifico, del cattolicesimo e ancora piú in particolare di quello italiano. Queste due linee di ricerca erano state sviluppate in altri lavori recenti, Una alternativa alla laicità (Rubbettino 2010) e L’ultima chance. Per una generazione nuova di cattolici in politica (Rubbettino 2011). Ma le pagine della Pretesa si situano altresí in continuità con il lavoro, piú distante nel tempo, Il rompicapo della secolarizzazione italiana. Caso italiano, teorie americane e revisione del paradigma della secolarizzazione (Rubbettino 2001), nonché con il recentissimo, anche del 2013, I laici e la chiesa. Caduti i bastioni (Morcelliana).
I titoli citati segnalano già alcuni elementi principali della proposta di Diotallevi: una critica al modello «continentale» della laicità, per quanto riguarda la pars destruens, ispirata da recenti tendenze di matrice anglosassone, ma significativamente innervata da diversi riferimenti alla tradizione teologica classica; e la proposta dell’impostazione fondata sulla libertà religiosa per ripensare la presenza pubblica dei culti nelle società occidentali e, piú in particolare, della chiesa cattolica in Italia. Muovendo dall’analisi della crisi attuale, che per Diotallevi è «crisi di un mondo», quello moderno, e dunque dell’intera gamma di istituzioni che lo ha accompagnato, queste pagine sottolineano come la modalità religiosa espressa dal cattolicesimo risulti particolarmente interessante in una fase storica in cui il processo di Entzäuberung verso una spiritualità completamente interiorizzata risulta fallito, o quantomeno interrotto.
Filosofia della storia lineare e progressiva, modernità, stato nazione fondante un ordine rigidamente monarchico e incentrato sul primato del politico e infine laicità, sono tutti fattori che Diotallevi ha buon gioco a leggere come strettamente connessi; e hanno rappresentato, in buona parte della coscienza culturale europea, l’unico paradigma possibile. Tanto che gli stessi cattolici si sarebbero troppo facilmente e frettolosamente lasciati schiacciare sulla dicotomia tra presenza pubblica sottomessa alla laicità e dunque controllata dallo stato, per un verso, e nostalgia per modelli pre-moderni di controllo della società da parte della religione. Il modello della religious freedom, invece, offrirebbe una terza via: sorto anche storicamente prima di quello della laïcité, non sarebbe sottomesso concettualmente alla libertà di coscienza, ma ne costituirebbe fondamento e garanzia. Esso tuttavia è stato sorprendentemente rimosso, soprattutto nel dibattito italiano, anche di matrice cattolica; e il fatto è ancora piú sorprendente se si considera come la laicità non è contenuta né nella Costituzione, né nei documenti del concilio Vaticano II, come talvolta, al contrario e troppo frettolosamente, si afferma.
Mentre la laicità deriverebbe direttamente dall’idea di natura pura elaborata dalla tarda Scolastica – dall’etsi Deus non daretur, il modello della libertà religiosa – nella lettura che ne offre in modo decisamente originale Diotallevi, chiamando dalla sua parte De Lubac – sarebbe radicato nell’agostinismo e nell’idea di corruzione irrevocabile della natura umana, per cui ogni suo prodotto storico sarebbe imperfetto e transeunte: ivi incluso, dunque, anche lo stato. Al fondo della realtà, infatti, non vi sarebbe una «natura», ma il saeculum, non un ordine, ma un conflitto: per cui i cristiani, come messo in luce da Cullmann, dovrebbero comportarsi né come anarchici né come zeloti.
Se il primato del politico non fa altro che sostituire un ordine monarchico e sacralizzante a quello religioso (svincolandosi però molto poco, come d’altronde tanta teologia politica piú o meno recente insegna) da un orizzonte «religioso», la differenziazione per funzioni della società permette secondo Diotallevi di ovviare alla possibile commistione tra politica e religione, di frenare le reciproche (e speculari) pretese egemoniche, senza però che il religioso debba rinunciare al proprio ruolo pubblico e quindi venga appunto ridotta a mera «religione». «In un caso le realtà temporali, le istituzioni e i poteri, sono compresi come autonomi perché irriducibili a un qualsiasi ordine stabile, e l’impossibilità dello stabilizzarsi di un qualsiasi sistema di istituzioni e di poteri è vista come una preziosa garanzia. Nell’altro caso le realtà temporali, le istituzioni e i poteri, sono comprese come autonome perché organiche e dipendenti da un ordine effettivamente realizzabile, o almeno modello di origine non arbitraria dal quale dedurre le sue approssimazioni storiche» (p. 42).
Dunque, non sarebbe in crisi la modernità in quanto tale, ma una ben determinata modernità. Per cui certo Diotallevi è lontano nella sua prospettiva da ogni intento anche nascostamente restauratore (e lo dimostrano, tra gli altri passaggi, anche alcune critiche disseminate nel libro, come quella all’utilizzo dell’infelice espressione «principi» e/o «valori» «non negoziabili», con ambigua oscillazione dei sostantivi). A riprova poi di come la discussione speculativa e la lettura storico-filosofica vengano contaminate molto proficuamente da Diotallevi con i casi concreti del dibattito pubblico, nonché collocati sullo sfondo specifico delle vicende intra-ecclesiali italiane, è dimostrato dal terzo capitolo, in cui viene analizzato il caso della discussione sulla proposta di privatizzazione dell’acqua contro cui si sono registrate proteste di tutti gli schieramenti politici, e tra cui hanno spiccato per veemenza e per unitarietà le voci del mondo cattolico, altrimenti, di solito, plurali: la salvaguardia di un bene comune, infatti, è stata associata immediatamente e direttamente al controllo pubblico da parte dello stato.
La genealogia ideale di questa posizione viene ricostruita da Diotallevi con il riferimento all’idea di autonomia delle realtà temporali esemplificata in modo paradigmatico da un discorso di Lazzati del 1985. Tale discorso si situa tra l’altro al cuore del dibattito tra «cultura della mediazione» e «cultura della presenza» che ha segnato la chiesa italiana in quegli anni. Verrebbe presupposta una naturalità e una razionalità intrinseca alle realtà sociali, sul modello di quelle fisiche, che sarebbero perciò governate da leggi oggettive e indipendenti, cui la rivelazione cristiana non apporta alcun contributo. Al vertice vi sarebbe la politica; e la sussidiarietà, di conseguenza, viene sviluppata solo in senso verticale. A un siffatto modello si potrebbe invece contrapporre, nelle considerazioni finali del volume, che si segnalano per originalità, oltre che per radicalità della proposta, una idea di società incentrata sull’eucarestia: «L’eucarestia non fornisce alcun modello definito né definitivo di ordine sociale. Al contrario essa annuncia l’esclusiva pertinenza di un ordine proporzionato e perfetto alla Gerusalemme celeste, non certo ad alcuna sua ingenua o arrogante imitazione terrena, foss’anche opera di artefici religiosi».
Senza sposarle in pieno, ma contestualizzandole e soprattutto declinandole alla luce della tradizione teologica e del magistero ecclesiale, Diotallevi riprende qui, ed è cosí tra i primi a introdurle in Italia, anche le proposte della cosiddetta radical orthodoxy. L’ordine escatologico, le cose ultime, cominciano in essa a essere della storia: la sua opera è quindi al contempo dissolutrice (di ogni pretesa terrena) e costruttrice (dei cieli nuovi e della nuova terra). Per questo essa può instaurarsi sulla instabilità della situazione del saeculum, e si sposa con la poliarchicità della civitas (contrapposta dall’A. alla monarchicità politica della polis, prodromo dello stato): a partire dalla crisi del progetto di autofondazione politica del mondo, e di una specifica idea di modernità, l’Italia e l’Europa si troverebbero quindi di fronte al bivio. «La crisi del mondo di cui una certa etica fu lo spirito lascia apparire la possibilità di una civitas di cui la liturgia eucaristica è un presidio» (p. 138).
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 3/2013
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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