Oltre l'usura
-La Chiesa moderna e il prestito a interesse
EAN 9788849810509
Disponibile anche come | Prezzo |
---|---|
Libro usato | da 21,00 € |
1 pezzo in stato usato come nuovo | 30,00 € → 21,00 € |
Vorrei focalizzare la mia attenzione su alcuni aspetti storico-filosofici dell’indagine compiuta da Paola Vismara. Mi ha colpito dalla lettura delle intense e densissime pagine del volume il fatto che la Chiesa cattolica, ma si potrebbe dire anche le Chiese riformate ed in genere le comunità cristiane che in età moderna si sviluppano fuori da gerarchie e da tutele del magistero dottrinale cattolico, si riferiscono nelle loro prese di posizione di ferma condanna dell’usura alla tradizione ebraica ed ai Vangeli, ponendo frasi e prescrizioni di antichissima origine come pietra di paragone per giudicare i fenomeni del prestito e dell’usura. Se c’è una costante nelle prese di posizione ecclesiastiche e nei commenti dei teologi e dei canonisti essa è il riferimento alla Scrittura. Il divieto di prestito ad interesse è proclamato perché è legge divina, piú volte comunicata agli uomini, che il denaro non può generare alcuna forma di frutto economico nel momento in cui è prestato, cioè nel momento in cui una persona contribuisce alle necessità dell’altra con un intervento in denaro. Il prestito, segno di una solidarietà che nasce dai precetti evangelici, non può generare in chi lo compie un guadagno nella restituzione di esso. In base a questo principio, che si esplica dall’atto d’amore verso il fratello che ha necessità, ogni elemento che si frapponga tra l’atto del prestare e l’atto del restituire va visto con sospetto. Infatti l’atto del prestare deve essere considerato nell’assoluta gratuità del gesto.
Se si considera questa argomentazione elementare e basilare ci si rende conto della difficoltà che, a partire dal capitalismo mercantile medievale, la Chiesa ha incontrato nel convivere con un’attività economica basata sempre piú sull’esistenza degli Istituti di credito, addirittura su un sistema economico incardinato nel credito, cioè in soggetti collettivi che praticavano direttamente e per loro natura intrinseca il prestito ad interesse. Il macigno che, nel Seicento, si pone sulla strada dell’evangelizzazione e della conservazione della purezza evangelica nelle comunità cristiane sta nel fatto che la tentazione di far fruttare il denaro, distogliendolo dal suo ruolo semplice di elemento di scambio e di semplificazione nell’attività economica e produttiva degli uomini, diviene attività organizzata e prescinde sempre piú dalla norma morale. Mi sembra che il piú grave problema per la Chiesa fin dal Medioevo e poi nel Rinascimento e via via nell’età moderna sia la perdita di ogni valenza morale in quell’aspetto dell’attività economica che concerne il prestito del denaro.
Il moltiplicarsi delle condanne e delle sempre piú severe requisitorie contro l’usura (condite da prese di distanza delle pur numerose eccezioni possibili) rivela una situazione che sta sfuggendo di mano alla Chiesa ed ai moralisti e teologi: via via che l’economia affina le sue armi e rende sempre piú complesse le sue operazioni si rivela, a mio avviso, la «neutralità morale» del prestito e del credito, cioè il fatto che il denaro assume una funzione fondamentale nella crescita di ogni attività economica proprio perché esso può «fruttare» secondo regole che ormai non appartengono piú all’ambito morale.
Rendendosi conto di questo diversi teologi e moralisti sono indotti a compiere dei complicati «distinguo», separando il fenomeno dell’usura dal fenomeno del prestito ad interesse e conducendo il peccato di usura dal puro e semplice uso fruttifero del denaro all’abuso in esosità nella richiesta di interesse a seguito di prestito. L’incontrarsi e magari lo scontrarsi di moralisti «lassisti» e «rigoristi» indica la complessità del problema e la necessità che da molti è avvertita di togliere alla questione dell’usura il carattere di una sorta di «prova» sulla validità della morale cristiana nel mondo degli affari. Pur manifestando tanto lassisti quanto intransigenti una forte condanna nei confronti di chi presta denaro ad interesse per puro proprio guadagno, e pur non discostandosi gli uni e gli altri dal riconoscere tutti le medesime fonti di questa assoluta condanna, si avverte nei distinguo, a volte ingegnosi, a volte di puro buon senso, una presa di posizione favorevole circa il «neutralizzarsi» di una serie di attività umane. Emblematica di questo atteggiamento è la posizione di Scipione Maffei, un erudito, un filologo, ma laico ed animato dall’intenzione di «disinnescare» la bomba dell’usura come ostacolo all’esplicitazione dell’umana sensata attività.
Il problema dell’usura giunge in età moderna ad un capolinea: nonostante il reiterarsi dei documenti di condanna e di regolamentazione rigida del fenomeno del prestito ad interesse, nonostante il moltiplicarsi dei manuali che pongono l’usura tra i peccati piú gravi per i cristiani, la Chiesa cattolica, o forse sarebbe meglio dire le Chiese cristiane, debbono riconoscere che l’usura appartiene alla categoria delle esagerazioni rispetto ad operazioni di per sé neutre sul terreno economico. Il ritenere giustificabile il prestito ad interesse finisce con il non appartenere piú al tentativo di trovare dei casi di eccezioni ad una condanna generalizzata. Il ritenere l’operazione di prestito un qualcosa che non attiene al terreno morale, come sono il puro nutrimento od il puro elemento economico del barattare o del produrre, significa in sostanza togliere al precetto evangelico parecchio della sua forza, riducendolo ad un gesto accessorio per il cristiano. In altre parole: mi sembra che in età moderna, nonostante il crescere di attenzione per il peccato di usura, nonostante la lotta che a questo fenomeno viene intrapresa (documentata passo per passo da Vismara), ci si avvii alla considerazione di esso come una sorta di sottospecie dell’esagerazione nei confronti di operazioni senza un risvolto morale immediato.
Considerando lo schiudersi massiccio di un’attività economica sostanzialmente basata sul prestito la Chiesa finisce con il lasciare scivolare quel peccato da peccato capitale a peccato di esagerazione rispetto a tendenze normali per la vita sociale ed economica. Mi sarebbe piaciuto che questo mutamento di prospettiva fosse stato chiarito da Vismara: invece lei lascia intravedere il processo, ma non lo tratta in tutta la sua rilevanza. Può essere che abbia ragione l’autrice nel vedere entro la grande quantità di trattazioni nell’età moderna il manifestarsi di una consapevolezza del problema del prestito come problema morale di una legittimazione di forme nuove dell’economia anche nei paesi cattolici. Le sue considerazioni conclusive sono equilibrate. Io propenderei a vedere nella situazione della Chiesa cattolica il manifestarsi di difficoltà notevoli di fronte alla progressiva perdita della valenza morale del prestito ad interesse. Tale perdita si verifica nella prassi e viene percepita dai moralisti piú avvertiti. Nella maggior parte dei casi, comunque, la Chiesa non si rende conto che il mutamento è radicale e continua a proporre divieti e canoni, a comminare pene, oppure, come nel caso dell’enciclica Vix pervenit di Benedetto XIV, si propone di ricondurre divieti e consigli ad una complessità di casi e di circostanze. Queste scelte pongono la Chiesa in gravi difficoltà, che si assommano alle altre di cui soffre nel Settecento, secolo di una generalizzata contestazione della sua autorità. Anche in questo caso, l’arroccarsi su posizioni rigoristiche, oppure l’eccedere in cautele di fronte a fenomeni economici generalizzati, contribuiscono alla perdita della sua autorevolezza e credibilità nell’ambito dell’opinione pubblica dei diversi paesi in cui opera. Ritengo che lo specchio di questa situazione siano il consultori delle Congregazioni romane, di fronte anche ai casi concreti di coscienza scaturenti dalla situazione dei diversi paesi e dei paesi di missione. Essi sono i depositari della dottrina ortodossa anche in ambito morale, e, dovendo mediare tra i casi di coscienza e le norme, considerate nella loro assolutezza, sentono il peso di situazioni attraverso le quali si percepisce un orientamento difforme di fronte alle condanne ed alle direttive. Sull’usura i responsabili del Santo Uffizio si rendono conto che l’economia porta a considerare il prestito ad interesse talmente importante, indispensabile, da mettere in dubbio il richiamo alla gratuità del denaro.
La condanna dell’usura in tempi di sviluppo sfrenato del capitalismo può anche avere un suo significato di difesa del ruolo disinteressato dell’atto morale e politico, contro un puro economicismo. Tuttavia, il richiamo alle radici bibliche ed evangeliche per condannare l’usura ha rischiato di rendere astratta ogni indicazione seguente ed ha rischiato di far perdere il senso piú profondo del denaro come pura «merce», nelle sue quotazioni relative. La perdita di valenza etica dell’operazione del prestare può addirittura essere vista come un episodio fondamentale della tendenza alla secolarizzazione che appare incipiente.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2005, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
-
16,00 €→ 15,20 € -
17,50 €→ 16,62 €