Islam e cristianesimo
(Istorica)EAN 9788849803013
Il principe Leone Caetani (1869-1935), un personaggio quasi leggendario della arabistica e dell’islamologia italiana, libero studioso, è l’autore di un’opera monumentale come gli Annali dell’islam (Milano 1905-1926) tuttora fonte di notizie e di analisi preziose, e dei un non meno importanti Studi di storia orientale (Milano 1911-1914). Egli fu anche deputato radicale del Regno di Italia, decisamente contrario alle imprese coloniali in cui vide un’azione inutile e dannosa per gli interessi nazionali, e contro cui pronunciò lucidi e argomentati discorsi al parlamento. La sua opposizione al fascismo nascente lo condusse poi alla scelta dell’auto-esilio in Canada. La riproposizione di questo suo scritto, curato da Fulvio Tessitore, si segnala come opera che consente qualche riflessione approfondita sul tema ormai all’ordine del giorno del rapporto tra le due fedi. Certo, i tempi sono cambiati: all’epoca del Caetani, gli italiani delle zone agricole più povere del Paese venivano spediti in Africa a colonizzare e «civilizzare»; oggi, com’è noto, l’Italia si è trasformata in terra di immigrazione dall’Africa e dal Medio Oriente. Il Caetani parte da una prospettiva originale per l’epoca e quasi da vox clamans in deserto: il pieno riconoscimento delle «colpe» occidentali e cristiane, soprattutto in merito alla demonizzazione di Maometto e della sua fede operata dai polemisti medievali. Ripercorrendo acutamente la storia della ricezione del fenomeno Islam in Occidente, egli afferma: «Mai nessuna fede, nemmeno la cristiana, aveva conseguito successi così rapidi e vasti. Qual meraviglia dunque se il divulgatore della nuova credenza (Maometto) fu raffigurato da noi come un crudele impostore, un’incarnazione di Satana, il quale mirava alla distruzione della sola vera fede, la cristiana? Maometto, la sua religione e i suoi seguaci divennero oggetto di un odio intenso, misto a terrore, il quale crebbe in proporzione alle perdite sofferte» (p. 50) dal mondo cristiano durante la fase espansiva dell’islam, che raggiungeva Gibilterra già nel 711. E successivamente «l’odio di religione e di razza si accrebbe con le Crociate, nelle quali i Cristiani, pur con gravissimo dispendio di vite, ottennero vantaggi solo e del tutto effimeri. All’odio antico si aggiunse allora la mortificazione delle sconfitte» (ivi). La riconquista della Spagna (1492) fu probabilmente una magra consolazione per la perdita di Costantinopoli (1453) e il successivo dilagare degli Ottomani nei Balcani fin sotto le mura di Vienna (1683). Questa storia di eterni conflitti, che prosegue poi in pieno ’800 con la seconda Riconquista, quella dei Balcani ad opera dell’azione congiunta degli Asburgo e della Russia zarista (sino alla risolutiva guerra russo-ottomana degli anni ’70), segna profondamente la storia dei rapporti tra le due religioni improntandola - secondo il Caetani - a un sentimento di reciproco «ribrezzo e avversione profonda, un odio ormai quasi ingenito per tradizione secolare». La conclusione, pessimistica, è che «Cristiani e Musulmani hanno vissuto per secoli e vivono ancora oggidì [gli anni ’20, in cui scrive l’Autore] con la mente offuscata da pregiudizi reciproci, creati dalla memoria dei danni sofferti, dalla sete di vendetta e di rivincita e dall’intensità delle passioni religiose […] Ognuna delle due parti è sempre partita dal concetto a priori che l’altra fosse in completo, voluto, errore, e che non fosse quindi di alcuna considerazione» (p. 52).
Il Caetani documenta la abbondanza straordinaria di «menzogne, calunnie, errori» che furono divulgati dall’amplissima letteratura polemica, cui s’è fatto cenno, condita di insulti pesanti a Maometto (impostore, lussurioso, omicida, figlio del demonio ecc.) che ha significative e lussureggianti appendici nell’epoca posteriore alle Crociate e soprattutto dopo la perdita di Costantinopoli. Con l’unica luminosa eccezione dei nostri poeti cavallereschi (Ariosto, Boiardo) che, pur condannando la dottrina dell’infedele, non esitano a ritrarre «fiere e nobili figure» di Saraceni (ma occorrerebbe ricordare anche la figura del Saladino, idealizzata nel medioevo cristiano come un modello insuperato di valori cavallereschi). Il tenore di questa letteratura post-Crociate, è bene riassunto dal programma di un’opera polemica del XVI sec. promossa da Martino Garcia, vescovo di Barcellona «per raccogliere in essa (opera) le fabulose fittioni, truffarie, inganni, bestialitadi, pazzie, bruttezze, inconvenientie, impossibilità, bugie e contadittioni, di passo in passo, quali il perverso e malvagio Macometo per ingannare i semplici popoli ha lasciate seminate nei libri di sua setta, e principalmente nell’Alcoran» (citazione da p. 55). Il Caetani, commentando amaramente («tale era lo spirito con cui allora s’intendeva scrivere la storia»), si consola guardando fiducioso alla leva nascente degli studiosi tra fine ’800 e inizi del ’900 di cui lui stesso è certamente uno degli alfieri: «fu merito speciale dell’indirizzo scientifico del XIX secolo, se una ristretta classe di colte persone si pose a studiare imparzialmente il nemico secolare» (p. 52).
Queste poche citazioni, io credo, ci mettono già di fronte ad alcuni nodi irrisolti. Lo studio scientifico del mondo islamico ha fatto progressi immensi dal tempo del Caetani, ma chi può dire che pregiudizi e incomprensioni reciproche siano di altrettanto scemati? La stampa, anche la meno corriva, pullula di imprecisioni e pregiudizi per non parlare dei luoghi comuni che imperversano nei discorsi di politici e persino, talora, di studiosi. Dovremmo chiederci: la Cristianità, che pure nel documento Nostra Aetate del Concilio Vaticano II cominciava a «voltare pagina» nei suoi rapporti col mondo musulmano, in questi ultimi decenni ha davvero riflettuto sino in fondo e senza remore sul proprio atteggiamento complessivo nei confronti dei musulmani? Ho l’impressione che la coraggiosa iniziativa di Papa Benedetto XVI di inaugurare un forum permanente di dibattito e confronto tra musulmani e cattolici sia solo un primo, necessario, passo in questa direzione. Forse - è lecito supporre - l’immenso complesso di colpa che grava sull’Europa, quello per l’Olocausto, e la sua necessariamente lunga e (ancor oggi) dolorosa «rielaborazione» all’interno della comunità e della stessa identità cristiana, ha oltremodo ritardato la presa di coscienza del confronto con l’altra eredità pesante (dall’epoca delle Crociate a quella post-colonialistica), e non ancora adeguatamente analizzata e «elaborata», dei rapporti col mondo musulmano.
Un’altra parte estremamente stimolante del breve saggio del Caetani riguarda la sua ricostruzione dei rapporti tra Asia e Europa. Partendo dalla considerazione che il successo travolgente dell’Islam a danno della Cristianità del Mediterraneo orientale si spiega anche come «implacabile rivolta contro la dominazione bizantina», notoriamente contrassegnata da un sistema fiscale predatorio e da un controllo ideologico asfissiante (lotta agli eretici), il Caetani allarga il discorso a una considerazione più generale del conflitto insanabile che da sempre sarebbe esistito tra queste «due parti del mondo civile», partendo dal postulato di «un istintivo conflitto spirituale che ha sempre reso impossibile ogni unione durevole di sentimenti tra i popoli dell’Asia e quelli dell’Europa». Egli passa in rassegna l’elenco dei tentativi di «unione« falliti: l’impresa di Alessandro che condusse alla riscossa arsacide in Persia e alle dinastie nazionali in India; le guerre degli imperatori romani sul limes orientale, che alimentarono la riscossa vittoriosa dei Parti; l’effimero successo della propaganda cristiana nestoriana, pur indipendente da Roma e Bisanzio, ma non sufficientemente «orientale» per resistere poi alla valanga islamica. Ecco, il Caetani interpreta tutti questi sommovimenti di reazione in chiave di «riscossa» anti-europea, di cui lo stesso Islam di Maometto sarebbe una manifestazione: «tale ardente e millenario nazionalismo orientale fu dunque moto generale non ispirato o diretto da alcuno, ma di genesi contemporanea inconscia in tutta quella parte dell’Asia dove le influenze europee si erano fatte sentire» (p. 78). Non solo l’Islam, ma, prima di esso, almeno in parte le stesse eresie cristiane dei primi secoli vengono lette dal Caetani come un moto incontenibile di reazione dell’Asia: «Nelle così dette eresie dei Siri, dei Copti, degli Armeni, degli Aramei sottomessi alla Persia, dei nestoriani e di altri gruppi minori, non era tanto una convinzione profonda in una verità diversa da quella ortodossa, quanto una necessità psicologica, incosciente, irresistibile a pensare e credere diversamente dagli ortodossi e in modo più asiatico» (p. 82) . Dove l’asiaticità cui pensa il Caetani si esprimeva essenzialmente in una pertinace opposizione alla Chiesa che, «suggestionata dall’unità politica dell’Impero romano a volere l’unità di fede del genere umano», si diede a combattere senza requie ogni dottrina dissenziente chiamandole «errori, scismi, eresie». Vale la pena di riportare la conclusione del Caetani, certo discutibile, di taglio storico-sociologico: «L’uniformità assoluta non esiste nella natura, e meno ancora nel mondo dei fenomeni morali e sociali. Le così dette eresie erano in realtà, nella loro intima essenza incoscienti, istintivi moti sociali, ciechi sforzi della psiche orientale per emanciparsi dal gioco [o giogo?, forse qui c’è un refuso, nota mia] religioso e sacerdotale della Chiesa ufficiale, per recuperare, nel distacco e nel distinguersi da essa, la sua antica libertà di fede e le caratteristiche locali sì care al sentimento primitivo, sempre individualista» (p. 82). Svolto questo ragionamento preliminare, l’avvento dell’Islam si spiega nel saggio di Caetani come un corollario. Per tutti i secoli che precedono l’Islam, si sarebbe accumulato in Oriente «una forza immensa di concentrata esasperazione anti-biazantina e anti-occidentale»: è la fede di Maometto che, sconfiggendo Bisanzio, «diede novella vita e vigore a tutto l’individualismo religioso dell’Oriente ribelle all’asservimento chiesastico di Bisanzio e di Roma, ancor più rigido e duro di quello civile e militare dell’impero» (p. 86). Forse, argomenta il Caetani, l’Oriente non cercava affatto una nuova fede, anche lo stesso Cristianesimo avrebbe coperto solo superficialmente «l’antichissima, indistruggibile antichità pagana»; ma «il bisogno vero [dell’Oriente] era di riacquistare la libertà religiosa, e di distaccarsi da Bisanzio, dal sui clero e da tutto l’Occidente. Ambedue queste liberazioni furono largamente fornite dall’Islam il quale… significò emancipazione completa, assoluta, dall’Occidente» (ivi).
Qui si avverte il senso in qualche modo profetico delle parole del Caetani, se solo si pensa oggi a quanto ancora l’Islam, specie nella predicazione degli estremisti, mantenga di «potenziale antagonistico» rispetto all’Occidente, a quanto esso venga tuttora sentito dalle masse come potente elemento identitario e di «(ultima) difesa» di fronte all’invadenza del colonialismo culturale occidentale. Certo, si potrebbe discutere sull’uso forse un po’ troppo disinvolto che il Caetani faceva di categorie come «Europa» e «Asia»; o anche sul suo manifesto guardare alla storia dei popoli in termini di «conflitto di razze», con concessione allo spirito della cultura del suo tempo. Ma certamente la lettura di questo libriccino si rivela quanto mai stimolante e capace di fornire un più ampio sfondo all’attuale cosiddetto «conflitto di civiltà», di cui si va da anni dibattendo.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2009, nr. 1
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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