Metafisica
(Parva Philosophica)EAN 9788846731401
Nel segno affettuoso del fecondo magistero di Aniceto Molinaro (1936-2011), per molti anni docente di filosofia teoretica alla Pontificia Università del Laterano, questo breve ma assai denso libro di L. Messinese intende presentare un’introduzione al pensare metafisico. L’autore affronta il tema cercando di rispondere a tre domande fondamentali: innanzitutto se sia possibile giustificare una distinzione speculativa (ovvero non meramente empirica) tra scienza e filosofia eliminando il valore della conoscenza metafisica. In secondo luogo, e da un punto di vista piú formale, se il pensiero filosofico su Dio possa ambire a una qualità rigorosamente teoretica. Infine sondare quale eventuale parentela possa avere l’esito di un siffatto pensiero con il Dio della fede. La linea argomentativa è dunque retta dall’urgenza di delineare da un lato come la teologia rappresenti davvero l’esito naturale e rigoroso del discorso metafisico e, viceversa, come la stessa metafisica possieda intrinsecamente una propria «vocazione teologica». Che questa «vocazione» sia poi un interesse della stessa ragione, osserva Messinese nell’introduzione, costituisce il contributo piú significativo che la filosofia può oggi offrire al dibattito sul ruolo pubblico della religione (p. 9). Il libro è diviso in due parti, nella prima si intende appunto dimostrare la «strutturale vocazione teologica della metafisica» instaurando un confronto soprattutto con le istanze critiche rivolte alla metafisica da pensatori quali Kant, Nietzsche e Heidegger. L’esito di questa parabola, Messinese lo scandisce con le parole di Wilhelm Weischedel (uno dei piú significativi critici contemporanei della teologia filosofica) e cioè che «anche dove la teologia filosofica è abbandonata al suo declino, rimane ancora […] di importanza cruciale. È dunque a buon diritto che il discorso su Dio viene considerato il problema essenziale della filosofia» (p. 49). In questo senso Messinese rivendica e argomenta convincentemente la possibilità di riprendere un discorso di «metafisica teologica» senza ingenuità e senza sottovalutare gli apporti critici rilevanti del pensiero moderno. La filosofia, e la metafisica in particolare, non sono solo descrizione o problematizzazione della realtà, bensí capacità di «costruttività teoretica in relazione ai contenuti dell’esperienza» (p. 75), tentativo di risoluzione delle a-porie in cui cade la stessa ragione nei confronti dell’esperienza, a- porie che con l’assolutizzazione del finito, per lo piú sostenuta da diverse correnti contemporanee, non si risolvono affatto, bensí si radicalizzano o si ignorano. Nella seconda parte (pp. 79-149), l’autore cerca di delineare «la verità originaria della metafisica» a partire da un suo ripensamento in termini moderni per poi soffermarsi su alcuni termini specifici della sua struttura. Questo percorso cerca di riannodare le fila di un discorso segnato in Italia dalla grande disputa fra Gustavo Bontadini ed Emanuele Severino. Disputa che l’A. ha analizzato ampiamente in altre opere, e che forse a piú di qualche lettore potrebbe sembrare aspra, lontana e superata. In realtà questo a me pare un contributo importante del libro, perché introduce anche il lettore meno attrezzato a un orizzonte di questioni, argomenti e termini tecnici da troppo tempo trascurati. Certo trovare un percorso argomentativo pertinente nella forma e nei contenuti all’epoca del «pensiero liquido», «antimetafisico» e «infondazionalista», non è certo semplice, eppure va riconosciuto che nulla è dato per scontato nel libro di Messinese, a cominciare dai limiti stessi del sapere metafisico. Il libro termina con un «epilogo» (pp. 151-160) che istituisce un confronto fra il Dio della metafisica e il Dio della fede. Qui la differenza essenziale non riguarda il contenuto di ciò che eventualmente può venir affermato, bensí la sua forma, ovvero il suo apparire come tale, e in particolare il suo «apparire nella forma di un giudizio che mira alla assolutezza» (p. 153). Pur povera di contenuti rispetto alla fede, nel concepire Dio come essere trascendente al mondo, la metafisica «custodisce, sul piano della ragione la vera e radicale differenza [fra ente ed essere] colta nella sua dimensione originaria» (p. 158) e questo esito è molto importante perché non è affatto automatico – come sottolinea Messinese – che con la morte del Dio metafisico, venga quasi naturalmente a risorgere, in una forma di pensiero diversamente configurata, il «Dio della fede».
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 3/2012
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
Il titolo stringato del libro non deve trarre in inganno. Certamente l’argomento centrale è relativo al modo in cui oggi si può e si deve parlare di metafisica. Secondo l’A., tuttavia, l’obiettivo di fondo consiste nel privilegiare il tema metafisico per eccellenza che riguarda la questione di Dio. Per tanto, mi sembra opportuno iniziare dalle pagine finali per comprendere lo scopo della ricerca di Messinese. Si tratta di una rivisitazione del rapporto fra il Dio della fede e il Dio della ragione e tale rapporto è da intendersi, secondo l’A., come necessario per chi voglia scavare più a fondo nella struttura dell’essere umano, anche se non indispensabile per chi vive pienamente la sua esperienza religiosa.
Il pensiero razionale, d’altra parte, non è un pensiero astratto, arido, ma è, appunto, una componente dell’essere umano che deve essere tenuta in considerazione, si potrebbe aggiungere, a livelli diversi di esercizio. Certamente l’esercizio filosofico è il massimo livello che possa essere raggiunto dalla ragione umana e, attraverso tale esercizio, è possibile dare un sostegno notevole alla fede.
Poiché il Dio della metafisica è «ciò che dà alla fede religiosa dell’uomo anche il conforto della ragione» (158), non è superfluo cercare tale conforto, sebbene vada tenuto conto che il terreno sul quale ci si muove è difficile e complesso, soprattutto nella filosofia contemporanea. In essa sono presenti numerosi rivoli prevalentemente caratterizzati dalla negazione della validità della ricerca metafisica. Messinese li cita e li individua sostanzialmente nelle correnti della filosofia ermeneutica e della filosofia analitica, ma gli autori con i quali discute prevalentemente sono, sul versante cosiddetto antimetafisco, Kant, Nietzsche e Heidegger; su quello metafisico Bontadini, Severino e Molinaro.
Per quanto riguarda Kant, l’A. sottolinea che, al di là del fatto che il filosofo tedesco metta in guardia dalle illusioni metafisiche, sostiene, in ogni caso, che è necessario per il pensiero umano dirigersi verso il sovrasensibile. Al contrario, Heidegger critica fortemente la capacità logica della ragione di attingere l’Assoluto. Per entrambi i pensatori, però, l’Intero, che è oggetto del pensiero metafisico, è presente sia in Kant come idea della ragione, sia in Heidegger come orizzonte ontologico. Si tratta, pertanto, non dell’eliminazione dell’oggetto della metafisica, ma della critica rivolta alla modalità della sua comprensione.
In riferimento alla posizione di Heidegger, le pagine che Messinese dedica all’analisi del suo pensiero in generale e, in particolare, alla questione del problema teologico sono da tenere presenti per l’acutezza teoretica ed “ermeneutica” che le caratterizza. Chi vuole una chiarificazione di questo tormentato argomento deve leggere ciò che l’autore scrive, perché si tratta di un’analisi essenziale, che coglie il nucleo profondo dell’impostazione heideggeriana. Tenterò di riassumere brevemente l’interpretazione di Messinese, perché è nota l’influenza che tale posizione ha esercitato e continua a esercitare anche nell’ambito degli studi teologici. La proposta di Heidegger si muove indubbiamente al confine fra le due discipline, ma la comprensione di essa è possibile solo sotto il profilo filosofico-metafisico.
Messinese ricorda che il tema proposto dal “fenomenologo” è quello relativo alla fondazione del sapere metafisico e, a questo proposito, la sua prima presa posizione, che Messinese ritiene valida, consiste nel mettere in evidenza la differenza ontologica fra ente ed essere. Tuttavia, in una seconda fase dell’indagine heideggeriana prevale la critica all’onto-teo-logia, che, a suo avviso, ha caratterizzato la storia della metafisica occidentale.
Ci si può domandare quale sia il nuovo “modo” di affrontare la differenza ontologica proposto da Heidegger. Messinese individua nel tema dell’evento, cioè dell’apparire dell’essere, la novità del pensiero di Heidegger e, quindi, la categoria che emerge è quella della possibilita che di volta in volta si realizza storicamente. Che cosa ha a che fare tutto ciò con la questione di Dio? Se l’Essere si riduce all’apparire degli enti è chiaro che non si può identificare l’Essere con Dio. Ed è proprio l’insistenza di Heidegger sulla questione dell’apparire che conduce ad escludere la validità del pensiero inferenziale e argomentativo.
Messinese definisce Heidegger un “fenomenologo”, perché egli è interessato all’Erscheinung, a ciò che appare. Indubbiamente, Heidegger mantiene un legame con l’impostazione fenomenologica di Husserl nell’attenzione rivolta al tema della manifestazione, ma mi sembra opportuno sottolineare che Husserl non si è mai fermato a questa dimensione, ma, al contrario, ha sempre dato grande spazio alla logica e al procedimento argomentativo. Infatti, a mio avviso, la questione dell’inferenza distingue radicalmente i due pensatori, come ho cercato di mostrare nella mia ricerca sulla questione di Dio in Husserl, fino al punto che ho potuto avvicinare alcune sue affermazioni addirittura alle argomentazioni della metafisica classica, stabilendo un’assonanza con le posizioni di Anselmo e di Tommaso (cf A. Ales Bello, Edmund Husserl. Pensare Dio. Credere in Dio, Padova 2005). Quindi, si può dire che l’impostazione fenomenologica husserliana non assolutizza l’apparire, come accade in Heidegger; pertanto, si può osservare che “fenomenologia” si dice in molti modi. Certamente la “fenomenologia” di Heidegger si distingue per la sua peculiarità, anche perché non viene applicata a questioni antropologiche e metafisiche, come accade in Husserl, E. Stein, H. Conrad-Martius e in altri esponenti della scuola fenomenologica. Ciò giustifica anche il contrasto e la separazione di Husserl da Heidegger. La differenza fra i due è confermata, inoltre, dal legame che Heidegger pone fra evento e storicità: da qui l’accusa mossa a quest’ultimo da Messinese di rimanere su tale piano, escludendo la possibilità di parlare di Dio.
L’apparire costituisce il filo conduttore che consente all’A. di compiere il passo successivo verso la posizione di Severino, messa a confronto con quella del maestro di quest’ultimo, Bontadini e con quella del suo proprio maestro, Molinaro.
Tale percorso muove da quella che Messinese definisce la “torsione” del pensiero di Heidegger operata a proposito del carattere “temporale” dell’essere, criticato da lui, sulla base di un’affermazione opposta: «la metafisica prescinde dal tempo ed è proprio nel suo collocarsi “sub specie aeternitatis” che consiste la sua verità» (70). In realtà, Heidegger sostiene che l’eternità di cui parla la metafisica è l’assolutizzazione del presente, cioè di una delle tre estasi temporali. Ed è proprio questo che Messinese contesta.
Che cosa ritiene egli valido rispetto ai tre pensatori sopra citatati? Per quanto riguarda Severino, egli dissente dalla sua più recente interpretazione, secondo la quale la metafisica occidentale, in quanto tratta dell’apparire dell’essere, sia, piuttosto, una “fisica”, accettando in tal modo la lezione heideggeriana. Più convincente, secondo Messinese è, invece, la posizione iniziale di Severino, il quale aveva affermato che il compimento dell’ontologia avviene nella teologia. Si tratta, però, di giustificare tale assunto. Per farlo, è necessario affrontare la questione gnoseologica, prendendo posizione sia nei confronti del realismo, che presuppone l’indipendenza dell’essere dal pensiero, sia dell’idealismo, che sostiene la derivazione dell’essere dal pensiero. L’indagine di Messinese ruota intorno al concetto di trascendentale nel duplice senso dato a questo termine nella filosofia medievale e in quella moderna. Il punto di vista trascendentale, qui proposto sulla scia di Molinaro, consente di affermare che «l’essere è già originariamente ciò che il pensiero pone nell’atto del pensare» (87). La validità di questo riconoscimento permette, secondo l’A., di legare il trascendentale antico a quello moderno e di intendere la filosofia come l’aprirsi del trascendentale verso la trascendenza. In altri termini, non c’è solo esperienza degli enti, ma anche il pensiero dell’essere in quanto essere, che non assorbe in sé il piano fenomenologico, ma al contrario lo lascia vivere nella sua autonomia.
In questo senso si può notare che, anche se con modalità diverse, questa posizione sia vicina a quella proposta da Husserl, il quale, in primo luogo, cerca di superare la contrapposizione idealismo-realismo attraverso il tema dell’intenzionalità e, in secondo luogo, si riferisce all’Assoluto come giustificazione ultima, raggiunto attraverso una riflessione razionale.
È chiaro che l’Assoluto, una volta raggiunto, si manifesta come il momento veritativo per eccellenza, e proprio sotto il profilo della verità non può essere in contrasto con l’oggetto dell’esperienza religiosa: tuttavia, in quest’ultimo caso non abbiamo a che fare solo con una verità ad intra, cioè la verità di ragione, ma con la verità ad extra, cioè la verità di fede.
Si tratta, allora, di due verità o di due differenti modi di dire la verità? La seconda opzione è quella valida, secondo l’A.; infatti, la verità nel caso della metafisica è saputa, nel caso della fede è creduta; ciò non significa che sia falsa, ma per usare un’espressione cara ad Edith Stein, si presenta come “tenebra per l’intelletto” e non è sottoponibile alla dicotomia vero/falso secondo i procedimenti razionali.
In questo senso, il metafisico deve assumere un atteggiamento che potrei definire “umile”, perché sa bene che ci sono altre domande alle quali non sa rispondere; il suo servizio, in ogni caso prezioso, è quello di mostrare – ed è questo il messaggio del libro – una terra solida sulla quale può incontrare Dio con il conforto della ragione.
La posizione che Messinese assume in questo piccolo, ma densissimo volumetto – una piccola Summa delle questioni metafisiche – supera molte contrapposizioni: non solo quella già indicata, relativa al contrasto fra realismo e idealismo, ma anche quella fra razionalismo e fideismo, entrando nel cuore delle problematiche metafisiche del presente e del passato e proponendo una personale e originale soluzione al problema metafisico, problema che, accettato o respinto, continua a rimanere fondamentale nella speculazione occidentale.
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 2/2014
(http://www.rassegnaditeologia.it)
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