Ragione e incarnazione. Indagine filosofica sulla razionalità richiesta dal vangelo
(Saggi per il nostro tempo) [Con sovraccoperta stampata]EAN 9788846505224
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DETTAGLI DI «Ragione e incarnazione. Indagine filosofica sulla razionalità richiesta dal vangelo»
Tipo
Libro
Titolo
Ragione e incarnazione. Indagine filosofica sulla razionalità richiesta dal vangelo
Autore
Di Ceglie Roberto
Editore
Lateran University Press
EAN
9788846505224
Pagine
336
Data
maggio 2006
Peso
511 grammi
Altezza
21 cm
Larghezza
13 cm
Profondità
2,8 cm
Collana
Saggi per il nostro tempo
COMMENTI DEI LETTORI A «Ragione e incarnazione. Indagine filosofica sulla razionalità richiesta dal vangelo»
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Recensioni di riviste specialistiche su «Ragione e incarnazione. Indagine filosofica sulla razionalità richiesta dal vangelo»
Recensione di Valerio Bortolin della rivista Studia Patavina
Il superamento della moderna separazione tra ragione e rivelazione che ha condotto agli esiti opposti del razionalismo e del fideismo: questo l’intento dell’A., docente di Filosofia della Religione nella Facoltà di Filosofia dell’Università Lateranense di Roma. I nomi degli autori maggiormente citati (Tommaso d’Aquino, Gilson, Maritain) permettono immediatamente di coglierne l’orientamento speculativo: la tradizione di riferimento è quella classica, che può essere detta tomista in senso lato, accolta lungo i secoli dallo stesso Magistero della Chiesa e sostanzialmente confermata dalla recente enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II, secondo la quale esiste una intima connessione tra fede e ragione, una connessione che tuttavia non solo non elimina, ma anzi presuppone la loro reciproca autonomia.
Da una parte, infatti, condizione necessaria, anche se non sufficiente per l’accoglienza di una eventuale rivelazione è l’esistenza di un nucleo di conoscenze, «estremamente ridotto quanto al numero ma indubitabile quanto alla verità» (p. 44), accessibili a tutti gli uomini. Appare così il concetto di religione naturale, nel quale la ragione coglie l’essenza della religione: essa, essendo, per la sua universalità, previa ad ogni possibile rivelazione, ne costituisce anche necessariamente il metro di misura. Sarà infatti il possesso della coerenza con i suoi caratteri essenziali «a permettere di qualificare come possibilmente vera una presunta rivelazione divina» (p. 95). Una rivelazione pertanto, per poter essere accolta come vera, potrà certamente ampliare i contenuti minimali della religione naturale, altrimenti sarebbe inutile, ma non potrà essere in contrasto con essi. La religione naturale assolve così pure una funzione critica, vale a dire purificatrice, nei confronti di quanto di irrazionale, di superstizioso, di falso e di ingannevole, dovuto al male e ai limiti che caratterizzano l’uomo, è presente nelle religioni positive. I contenuti di tale religione possono essere ricondotti all’affermazione dell’esistenza di un Dio unico inteso come creatore, dotato di intelligenza e volontà e fonte di ogni bene, e al riconoscimento di una legge morale posta da Dio nel cuore di ogni uomo.
Tali contenuti non sono tanto il frutto di una conoscenza propriamente filosofica, ma propriamente appartengono ad una conoscenza spontanea, implicita, pre-filosofica, definibile come «senso comune», di cui ogni uomo, in quanto tale, è dotato. In questo senso le premesse razionali della fede non dipendono da una particolare filosofia, ma sono proprie di quella «ragione naturale» che dà luogo ad un autentico sapere, anche se ancora privo di una rigorizzazione epistemica.
Il cristianesimo, in quanto religione positiva, si pone in continuità con la religione naturale, offrendo «una visione del mondo, dell’uomo e del suo destino che dà piena soddisfazione dal punto di vista razionale» (p. 122), al contrario di tante altre religioni positive nelle quali l’essenza della religione appare incompleto se non addirittura deformato. È appunto questo il motivo per cui il cristianesimo, fin dalle sue origini, si pone in rapporto più con la riflessione filosofica greca che con la religione pagana, verso la quale anzi assume un atteggiamento di netta ostilità.
D’altra parte, se la fede presuppone una razionalità previa, è pure vero che la stessa ragione riceve sostegno dal rapporto con il dato rivelato; è appunto tale sostegno che permette il costituirsi della «filosofia cristiana», la quale, per un verso, è certamente fondata unicamente su basi razionali, ma, per un altro, deve riconoscere il suo debito, almeno a livello storico se non teoretico, con il cristianesimo. Inoltre, è dalla parte della stessa fede che proviene l’invito a partire dalla ragione, è la stessa fede che diventa avvocata della ragione. L’affermazione dell’autonomia della ragione non deve essere vista come l’inizio di un cammino che porta necessariamente ad una separazione tra le due, ma come un’esigenza richiesta dalla stessa fede.
La domanda fondamentale, ancor oggi pienamente attuale, che l’A. ci pone davanti e con cui dobbiamo confrontarci è la seguente: che cosa presuppone la rivelazione? Infatti, per quanto portatrice di una novità radicale, la rivelazione non può non presupporre qualcosa che rende possibile la sua accettazione da parte di tutti gli uomini. L’opera che qui abbiamo preso in considerazione intende i presupposti della rivelazione sul piano dei contenuti (esistenza di Dio personale e della legge morale). Ci si potrebbe chiedere se il presupposto non sia piuttosto un qualcosa di strutturale: la radicale apertura dell’uomo al Mistero. Percorrendo tale strada, probabilmente, si arriverebbe non tanto al concetto di religione naturale, correndo il pericolo che questa venga in qualche modo intesa come una concorrente delle stesse religioni positive, quanto piuttosto a quello di religiosità, intesa come l’apertura allo spazio della trascendenza di cui la rivelazione costituirebbe la determinazione positiva a livello storico.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
Da una parte, infatti, condizione necessaria, anche se non sufficiente per l’accoglienza di una eventuale rivelazione è l’esistenza di un nucleo di conoscenze, «estremamente ridotto quanto al numero ma indubitabile quanto alla verità» (p. 44), accessibili a tutti gli uomini. Appare così il concetto di religione naturale, nel quale la ragione coglie l’essenza della religione: essa, essendo, per la sua universalità, previa ad ogni possibile rivelazione, ne costituisce anche necessariamente il metro di misura. Sarà infatti il possesso della coerenza con i suoi caratteri essenziali «a permettere di qualificare come possibilmente vera una presunta rivelazione divina» (p. 95). Una rivelazione pertanto, per poter essere accolta come vera, potrà certamente ampliare i contenuti minimali della religione naturale, altrimenti sarebbe inutile, ma non potrà essere in contrasto con essi. La religione naturale assolve così pure una funzione critica, vale a dire purificatrice, nei confronti di quanto di irrazionale, di superstizioso, di falso e di ingannevole, dovuto al male e ai limiti che caratterizzano l’uomo, è presente nelle religioni positive. I contenuti di tale religione possono essere ricondotti all’affermazione dell’esistenza di un Dio unico inteso come creatore, dotato di intelligenza e volontà e fonte di ogni bene, e al riconoscimento di una legge morale posta da Dio nel cuore di ogni uomo.
Tali contenuti non sono tanto il frutto di una conoscenza propriamente filosofica, ma propriamente appartengono ad una conoscenza spontanea, implicita, pre-filosofica, definibile come «senso comune», di cui ogni uomo, in quanto tale, è dotato. In questo senso le premesse razionali della fede non dipendono da una particolare filosofia, ma sono proprie di quella «ragione naturale» che dà luogo ad un autentico sapere, anche se ancora privo di una rigorizzazione epistemica.
Il cristianesimo, in quanto religione positiva, si pone in continuità con la religione naturale, offrendo «una visione del mondo, dell’uomo e del suo destino che dà piena soddisfazione dal punto di vista razionale» (p. 122), al contrario di tante altre religioni positive nelle quali l’essenza della religione appare incompleto se non addirittura deformato. È appunto questo il motivo per cui il cristianesimo, fin dalle sue origini, si pone in rapporto più con la riflessione filosofica greca che con la religione pagana, verso la quale anzi assume un atteggiamento di netta ostilità.
D’altra parte, se la fede presuppone una razionalità previa, è pure vero che la stessa ragione riceve sostegno dal rapporto con il dato rivelato; è appunto tale sostegno che permette il costituirsi della «filosofia cristiana», la quale, per un verso, è certamente fondata unicamente su basi razionali, ma, per un altro, deve riconoscere il suo debito, almeno a livello storico se non teoretico, con il cristianesimo. Inoltre, è dalla parte della stessa fede che proviene l’invito a partire dalla ragione, è la stessa fede che diventa avvocata della ragione. L’affermazione dell’autonomia della ragione non deve essere vista come l’inizio di un cammino che porta necessariamente ad una separazione tra le due, ma come un’esigenza richiesta dalla stessa fede.
La domanda fondamentale, ancor oggi pienamente attuale, che l’A. ci pone davanti e con cui dobbiamo confrontarci è la seguente: che cosa presuppone la rivelazione? Infatti, per quanto portatrice di una novità radicale, la rivelazione non può non presupporre qualcosa che rende possibile la sua accettazione da parte di tutti gli uomini. L’opera che qui abbiamo preso in considerazione intende i presupposti della rivelazione sul piano dei contenuti (esistenza di Dio personale e della legge morale). Ci si potrebbe chiedere se il presupposto non sia piuttosto un qualcosa di strutturale: la radicale apertura dell’uomo al Mistero. Percorrendo tale strada, probabilmente, si arriverebbe non tanto al concetto di religione naturale, correndo il pericolo che questa venga in qualche modo intesa come una concorrente delle stesse religioni positive, quanto piuttosto a quello di religiosità, intesa come l’apertura allo spazio della trascendenza di cui la rivelazione costituirebbe la determinazione positiva a livello storico.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2007, nr. 1
(http://www.fttr.glauco.it/pls/fttr/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=271)
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