La cicogna miope. Dalla famiglia che violenta alla famiglia che ripara
(Strum. lavoro psico-sociale e educativo)EAN 9788846496553
Gertrude fece un errore gravissimo: non tutti i genitori sono felici di ricevere un cucciolo, perché non tutti sono preparati ad averlo, non tutti capiscono i bisogni di un piccolo, non tutti sanno voler bene a un bimbo». Gertrude, cicogna distratta e miope, legge male il biglietto con la destinazione di un fagottino: è l’inizio della favola che Lucia Sperase, con l’intelligenza acuta dell’amore, scrive per la figlia adottiva Chiara di fronte alle sue domande insistenti.
«Chiara comincia a chiedere sempre più spesso perché non è nata da me, e una sera di marzo, a cena, ci racconta di essere nata da un’incubatrice e portata in comunità, dove è rimasta finché non siamo andati a prenderla per portarla a casa con noi. Capiamo che dobbiamo trovare una motivazione al fatto che non è arrivata subito a casa nostra: è così che inizio a preparare un fascicolo con la storia della “cicogna miope”», descrive Lucia nel suo diario.
Una bimba nata da un’incubatrice: con quest’immagine prende il via il volume scritto a sei mani da Lucia e Marco Sperase insieme a Maria Teresa Pedrocco Biancardi, psicologa psicoterapeuta, da anni impegnata nella formazione degli operatori della tutela dei minori. Un libro che «non mira a commuovere il lettore, descrivendogli una storia d’ordinario maltrattamento familiare. Per quello è sufficiente la cronaca. Questa è invece la storia di un percorso di riparazione delle conseguenze del maltrattamento, un percorso tutto in salita, pieno di insidie, ma alla fine possibile». È uno strumento per il lavoro psicosociale ed educativo, completato da note critiche e riferimenti bibliografici.
Pedrocco Biancardi ricostruisce nel capitolo iniziale i primi dodici anni della vita della ragazza, segnati dalla violenza fisica, emotiva e sessuale, degli abusi da parte del padre e dello zio, dall’indifferenza della madre, dall’assoluta trascuratezza esemplificata dal terrore per i topi che circolano in casa. «Il fagottino biondo diventa parte della famiglia Topon, figlia di persone che non sanno come fare i genitori, che non s’impegnano a imparare, che non sanno meritarsi quella cucciola», scrive Lucia nella fiaba.
A dodici anni, Chiara viene trasferita in una comunità d’accoglienza. Questo periodo è segnato dalle indagini sulle violenze subite e, tra i momenti più drammatici, l’incidente probatorio che raccoglie la sua testimonianza. Chiara è carica di vergogna e senso di colpa, ma descrive gli abusi subiti. Il suo racconto è interrotto dalla madre che le urla «bugiarda! bugiarda!». La Consulenza tecnica d’ufficio valuta non attendibile la testimonianza di Chiara e il caso viene archiviato.
È in questo quadro che, all’inizio della scuola media, la famiglia Sperase entra nella vita della bambina con un progetto di affido sine die, aperto a una possibile futura adozione. Ed è da qui che prendono il via i diari di Lucia, che coprono la prima parte del volume. Per la donna e il marito, Chiara è da subito «nostra figlia». E lo è in un quadro drammatico: Chiara ha quattordici anni, ma appare molto più piccola, è terrorizzata dal buio e per quattro anni dormirà nella camera di Marco e Lucia; teme di essere nuovamente abbandonata, non ha punti di riferimento nel tempo e nello spazio.
Comincia così il cammino di riparazione di Chiara insieme ai suoi nuovi genitori. Ogni azione appare difficilissima, dalla scuola alla vita di casa. «Ho capito come si sentono le mamme che hanno bimbi con problemi: o diventano tigri oppure si sentono umiliate e in colpa», scrive Lucia. Assieme al marito annota tutto, ogni parola o gesto che possa far comprendere cosa Chiara cerca di comunicare loro. Ma le crisi si acutizzano: si dibatte, si ferisce e urla per la paura fino a quando la crisi non si scioglie in pianto.
Arrivano le scuole superiori e sempre più in Chiara emergono frammenti del passato, che perturba e sconvolge il presente, con quel carico di rimozioni che ha origine proprio nella casa che avrebbe dovuto proteggerla. Pedrocco Biancardi ricorda come «nelle circostanze in cui si prospetta per la vittima la possibilità di un cambiamento positivo della sua esperienza, si riacutizzano le manifestazioni sintomatiche». Il passato di Chiara riemerge e la bimba – nonostante gli ormai 16 anni – comincia a «vomitarlo».
Disegni, sogni, canzoni: tutto rievoca il passato. Ed è il ricordo più terribile, quello dell’abuso del padre e dello zio, comunicato alla nuova mamma facendole ascoltare ossessivamente Mary, successo discografico in cui si ripete che «quella bestia non è mio papà», a squadernare definitivamente la sua storia. In questa fase cruciale Lucia contatta una psicologa ascoltata nel corso di una conferenza. Nasce così il rapporto fatto di e-mail quasi quotidiane tra la coppia e la dottoressa Biancardi. Una terapia virtuale nei mezzi di comunicazione, ma «efficace, appassionata, concreta, risolutiva».
E nasce anche la «scatola dei rifiuti tossici» in cui, combattendo con la vergogna e un senso di colpa profondissimo, Chiara scrive e libera i ricordi che la terrorizzano.
In questo epistolario elettronico la psicologa accompagna i genitori nella fase più difficile: quella che potrà davvero segnare la «guarigione» dal trauma, ora che esso è stato denudato. Se, come scriveva Alfredo Carlo Moro, «i veli cadono fin troppo presto», le pagine di diario fotografano mesi di lavoro tenace da parte di Chiara e della sua famiglia. La ragazza scava nei «rifiuti tossici» della propria storia, vince il senso di colpa, supera le crisi e costruisce la sua personalità.
Un lavoro di lutto durissimo, con continue cadute, rischi, possibili regressioni. Ma Chiara ha «gli occhi di una ragazza che vuole farcela»: s’impegna a scuola, supera la maturità, s’impegna in stage nel volontariato. I nuovi test a cui viene sottoposta negano il ritardo mentale. Scopre che può esistere. È la stessa Chiara a spiegarlo: «Fingevo di non esserci, uscivo da me per non vivere quei momenti, per non morire, perché erano momenti bruttissimi e se io restavo dentro di me non avrei potuto resistere». L’ultima e-mail indirizzata alla psicologa descrive la festa di Chiara che in chiesa festeggia il «battesimo del cognome», l’adozione a una famiglia nata sei anni prima.
Il volume è quindi «un messaggio incoraggiante per le famiglie combattute tra la volontà di mettersi in gioco accogliendo un bambino in difficoltà e il timore di non essere in grado». È una denuncia delle violenze a cui possono essere sottoposti i minori, ma anche degli interventi tardivi e sbagliati, delle responsabilità che dalle pareti di una scuola fino a quelle di una comunità o di un’aula giudiziaria (eloquente l’episodio della perdita del fascicolo di Chiara) investono chi in questi ambiti lavora.
La storia di Chiara non finisce, come il volo di «una cicogna con gli occhiali che sorvola per un attimo quella casa felice, batte le ali e si allontana».
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 10
(http://www.ilregno.it)