Sposare un uomo, che appartiene irrimediabilmente a un'altra razza, e vivere con lui, è un'impresa. Ma è un'avventura meravigliosa. E la sfida dell'impegno, di giocarsi tutto, di accogliere e accompagnare nuove vite. Una sfida che si può affrontare solo se ognuno fa la sua parte. L'uomo deve incarnare la guida, la regola, l'autorevolezza. La donna deve uscire dalla logica dell'emancipazione e riabbracciare con gioia il ruolo dell'accoglienza e del servizio. Sta alle donne, è scritto dentro di loro, accogliere la vita, e continuare a farlo ogni giorno. Anche quando la visione della camera dei figli dopo un pomeriggio di gioco fa venire voglia di prendere a testate la loro scrivania. In questa raccolta di lettere originali ed esilaranti Costanza Miriano scrive di amore, matrimonio e famiglia in uno stile inedito: se fosse per lei produrrebbe delle encicliche, ma siccome non è il Papa mescola i padri della Chiesa e lo smalto Chanel, la teologia e "Il grande Lebowski", sostenendo con ferrea convinzione la dottrina cristiana del matrimonio senza perdere d'occhio l'ultima borsa di Dior. D'altra parte, come scriveva Chesterton, "non c'è niente di più eccitante dell'ortodossia".
INTRODUZIONE
Sposati e sii sottomessa reloaded
Quando ho scritto questo libro, tre anni fa, calcolavo che se la mia mamma ne avesse comprate da sola una ventina di copie (attingendo alle riserve del ben noto Fondo Iniziative Strambe dei Figli), invitando a fare altrettanto zie, professoresse delle medie e vecchi istruttor di atletica — e io avessi fatto lo stesso con le mie amiche avremmo potuto dare un'impennata alle vendite, e sfiorare le due, trecento copie come se niente fosse.
Mai avrei pensato che decine di migliaia di persone lo avrebbero letto: indipendentemente da me, e per ME anche un po' inspiegabilmente, è infatti cominciato un passaparola sommesso, che è continuato costante, anzi si è ingrossato fino a formare un piccolo fiume. Donne (e uomini, credo) hanno comprato Sposati e sii sottomessa e lo hanno regalato alle amiche, alle conoscenti, E forse persino alle passanti: ho ricevuto foto di lettrici con dodici copie tra le mani, da comminare a incolpevoli conoscenti in odore di matrimonio, o anche no («Le regalo alla vicina, magari sposa quello del piano di sopra che poi così la smette di tenere la musica alta la sera: mi fa una dedica?» «Ma si conoscono?» «No.»). Mi hanno detto che avvocati matrimonialisti lo danno ai loro clienti sull'orlo del divorzio, qualche gastroenterologo lo prescrive ai pazienti dal colon irritabile, come terapia, poi, va be', sacerdoti lo propongono come testo agli incontri prematrimoniali. Quello è già un po' più normale, anche se, come dicevo, non me lo spiego del tutto. Diverse persone mi hanno addirittura scritto — è un peccato, erano quasi tutte email: ho letto, risposto e cestinato, e quando lo racconterò alla mia vicina di sedia all'ospizio non ci crederà, sicuro — per dirmi che la loro vita è cambiata decisamente dopo avere letto Sposati e sii sottomessa.
Devo ricordarmi di mettere da parte almeno la lettera della signora a cui un mio amico ha imposto il libro che avete per le mani, appena fuori dallo studio dell'avvocato a cui lei aveva portato le carte per iniziare la separazione. Le ha chiesto di leggere, e di provare, almeno, a vivere per un po' quella pratica estrema per donne senza paura. Posso immaginare l'entusiasmo che le abbia suscitato la parola "sottomissione" in un simile frangente, ma lei, non so perché, ha detto sì; solo, ha dato al mio amico un mese di tempo, non più di trenta giorni per vedere se la ricetta di questa pazza qui (che sarei io) avrebbe funzionato. Poi avrebbe tirato dritto per la sua strada, obiettivo divorzio. Non c'era molto da perdere.
Un mese dopo la signora mi ha scritto, dicendomi che il suo matrimonio era incredibilmente rifiorito, non si sa come, visto quanto erano rinsecchiti i suoi rami. Dall'avvocato è tornata solo per riprendersi tutti i documenti, poi a casa è cominciato un nuovo matrimonio. La cosa bella è che era con lo stesso marito.
Di lettere, telefonate, incontri come questi potrei raccontare davvero a lungo, ma non temete, voi che avete illuminato per me gli angoli più intimi della vostra vita: non svelerò niente a nessuno. Non tanto perché io sia riservata, quanto perché dimentico. Non le vicende personali, ma dimentico nomi e dati, li rimuovo nel giro di secondi: ho la memoria ingombra di personaggi di fumetti, medicine per il naso, confidenze di figli dalla prima elementare alla terza media (io, per dire, so chi ha fatto vedere le mutande a Giorgio dall'altalena), e non potrei mai immagazzinare ulteriori informazioni, a meno che non mi siano indispensabili alla sopravvivenza, come per esempio dove è parcheggiata la macchina (quando alla fine la ritrovo ho sempre un attimo di esitazione: è lei o un cassonetto? È lei, perché i rifiuti sono chiusi a chiave dentro. E ha i tergicristalli).
È per questo — perché ho dimenticato tutti i dati sensibili — che non vi tradirò. Però, a distanza di tre anni, vorrei almeno raccontare come sono andate a finire le storie dei destinatari delle lettere che compongono il libro: per alcuni è cambiato tutto — chi si è sposato, chi si è lasciato, chi ha fatto un altro figlio, anche altri due, a dire il vero, e solo perché in tre anni era un po' difficile farne tre —, per altri solo il senso, il modo di fare le vecchie cose, che poi è cambiare tutto anche quello. In questa nuova edizione troverete dunque gli ultimi sviluppi, e qualche piccola predichella in omaggio (quella non si nega mai a nessuno), alla fine dei capitoli. Spero che i miei amici, amiche soprattutto, mi perdonino se li tiro ancora in ballo, anche se non sempre sanno di essere loro quelli finiti nel mio libro (ma io comunque ho deciso di negare sempre, negare contro ogni evidenza; in questo caso mi approprio della tattica maschile per eccellenza). Che poi anch'io scrivendo mi sono chiesta: non è che per caso, eventualmente, accidentalmente qualcuno dei consigli che ho dato ha funzionato davvero?
A dire la verità, parrebbe che qualche volta sì, che abbiano funzionato, ma non certo per una mia presunta capacità di discernimento, né per una alchimia magica da azzeccare: è che se una donna decide di essere accogliente, di stare lealmente dalla parte di suo marito, di avere un pregiudizio positivo nei suoi confronti, guardandolo con gli occhi di chi vuole vedere il buono, l'uomo non le resiste, si trasforma. D'altra parte amare è proprio svelare all'altro la sua bellezza vera, che a volte lui non sa vedere da solo.
Se la donna rinuncia alla sua tentazione - il controllo - l'uomo abbandona la sua, di tentazione, l'egoismo. Lei smette di volerlo cambiare e lui, miracolo, si decide ad abbandonare la caverna - schermo del computer, moto, pesca a traino, visita a una mostra di sturalavandini, ogni via di fuga è buona - nella quale si rifugiava per sfuggire al temibile tentativo di miglioramento da parte della consorte. Per un uomo non c'è niente di più minaccioso, opprimente, soffocante di una donna che "lo dice per il suo bene". Noi siamo convinte di avere ricevuto la missione di apportare alcune semplici migliorie all'esemplare maschile che abbiamo ricevuto in dotazione, loro sentono il fastidio al collo per questo guinzaglio col quale vengono portati dove non avevano deciso, e hanno così una bella scusa per continuare a essere egoisti.
Sento nelle orecchie, distintamente, l'obiezione. Per ché prima la donna? Perché tocca sempre prima a noi questa fatica di lavorare su noi stesse, di fare spazio, di mordere la lingua quando la critica sale spontanea?
Non lo so. Chiedetelo a Dio, se avete contatti. È lui che «ha affidato l'umanità alla donna», come scriveva Giovanni Paolo Alla donna è chiesto di fare il primo pezzetto di strada, di dire il primo sì. Così è nella maternità biologica, come ogni volta che qualcosa nasce: un matrimonio, una famiglia, un amore. Così è quando un bambino viene al mondo: non è che la madre siapiù del padre. A lei però sta il compito di accudire la vita quando è debole. A lei tocca questo esercizio - che non è formale ma profondissimo - di tacitare le sue pretese, o attese anche legittime, permettendo che l'altro sia come è.
All'uomo spetta un'altra parte del lavoro, non minore, solo diversa. Per esempio, quando il piccolo dovrà diventare uomo, o donna, non gli sarà possibile farlo senza il padre che, custodendo la casa, lo spinga a lasciarla (io di certo tenterò di oppormi, inseguirò la prole col golfino e la Tachipirina e il gettone per chiamarmi: lo so, le cabine non ci sono più, ma che ne sai tu in caso di disastro nucleare). Allora all'uomo tocca il lavoro grosso, quello che poi ha sempre fatto (lo ha fatto?) mantenendo salda la barra della vita familiare. Gli uomini sono chiamati a plasmare il mondo, ma sono le donne a dargli il timbro interiore, il profumo, il colore. Da loro dipende il livello spirituale di una casa, di un gruppo, di un'epoca.
E se un uomo non fa la sua parte? Se è egoista, distratto, assente? Be', la donna ha l'istinto di tenere accesa la luce, di non perdere lo sguardo di speranza su di lui. Perché sottomissione è solo un altro modo di dire "mi fido di te". Non c'entra niente con la sopportazione né con la rassegnazione. Non significa rinunciare a dire le cose, a esprimere desideri e bisogni, a correggere quando serve. C'entra, invece, con il permettere che l'altro sia. Non è schiavitù, ma la massima forma di libertà. Una donna che non vuole cambiare l'uomo, ha sì bisogno di lui, ma non ne dipende come chi sta per affogare e si aggrappa alla ciambella.
Questo fare a meno di rivendicazioni e rancori è possibile solo ricordando che uomo e donna sono due povertà che si donano l'una all'altro, e che i diritti, giusti, legittimi, non si rivendicano gridando né scendendo in piazza: le piazze non cambiano in profondità i cuori.
Eppure, non vorrei osare troppo, ma, dopo avere ascoltato tantissime donne, ogni tanto mi viene il sospetto che si possa parlare della nascita di un nuovo femminismo, opposto a quello che ha fregato le donne di intere generazioni. Certo, dovremmo trovare un'altra parola, però, perché femminismo ormai per me è irrecuperabile a un valore positivo: qualcosa come maschio e femminismo, che rimandi al mistero della differenza tra i sessi come possibilità di attingere al mistero di Dio. Perché in modo simile a Lui, che è una dinamica di amore fra tre persone, noi ci definiamo solo in relazione.
Comunque, qualsiasi sia il nome che gli si voglia dare, c'è qualcosa di nuovo in giro. C'è una schiera di donne che ha ricevuto la libertà in eredità sin dalla nascita, donne risolte e pacificate, che non deve rivendicare nulla, che non grida in piazza (e a volte non sa neanche molto delle battaglie grazie alle quali può studiare, votare, lavorare: sono cose che dà per acquisite), e che anzi desidera fare spazio nella propria vita, che sa mettersi in relazione e metterci gli altri, mediando, smussando, accogliendo. Una schiera di donne che non si preoccupa tanto, direi per niente, delle quote rosa, di strappare un posto in un consiglio di amministrazione. Sono tantissime, sono quelle che incontro tutti i giorni davanti alle scuole dei miei figli, sono quelle che mi scrivono, che non trovano cittadinanza sui giornali. Sono quelle che non hanno bisogno di gridare, proprio perché sanno di non essere uguali all'uomo, né vogliono esserlo. Sono quelle che a volte amano anche il proprio lavoro, ma a un certo punto, alle cinque del pomeriggio di un giorno di sole, guardano fuori dalla finestra dell'ufficio e capiscono che preferirebbero essere a casa a preparare la merenda ai loro bambini. E magari per alcune è persino difficile ammetterlo, perché loro invece sono cresciute con l'imperativo di realizzarsi, trovare se stesse, dedicarsi del tempo, e i bambini non li hanno neanche fatti.
Anche se ogni tanto vorrei sentirmi una scrittrice, so bene che non è per la mia prosa che tante persone hanno sentito l'urgenza di invitare gli amici a comprare questo libro (io veramente la musa della letteratura l'avrei anche cercata, ma si vede che era in ferie; d'altra parte non ho «una stanza tutta per me», come raccomanda Virgina Woolf a ogni donna che voglia scrivere, ma solo un tavolino a cui mi siedo di notte, di giorno ingombro di fumetti di Calvin e Hobbes, cani di plastica e diari segreti di peluche rosa con lucchetti). Insomma, niente stanza, niente musa, ma evidentemente per una fortuita serie di eventi mi sono trovata a dare voce a tutte queste donne che non hanno paura di perdere terreno se fanno spazio a un uomo, che lo scelgono per sempre, così com'è, senza volerlo rendere più simile a sé, anzi, lo vogliono proprio perché irreparabilmente diverso (capace, per esempio, di leggere la storia dipanando fili misteriosi di complotti sovranazionali, ma disabile alla memorizzazione di vicende esistenziali-sentimentali che non riguardino fondi monetari o mercati energetici, ma solo cugine di secondo grado della moglie. «Caro, sai quello che ti ho detto ieri di Elisabetta?» «Elisabetta chi?»).
Ci sono donne che si sono lette tra queste pagine, finalmente rappresentate; che vogliono essere accoglienti e prendersi cura, e non perché plagiate da secoli e millenni di cultura maschilista, ma perché è scritto dentro di noi, e perché quando riusciamo a farlo siamo felici.
Quanto a me, dopo tre anni, il cambiamento più evidente nella mia, di vita, è che se di notte (spesso sono alzata a scrivere) incrocio un figlio per il corridoio il disgraziato mi abbraccia esclamando «No, non ci posso credere, Costanza Miriano!!!» e mi chiede un autografo. Più sono conciata male — è tutta colpa della mia vestaglia stile socialismo reale, eppure si sa che non posso digitare neppure una parola senza indossarla, credo che non mi si accenda neanche il computer — e più i miei figli si divertono a fingere di essere miei ammiratori. Hanno visto varie persone chiedermi una firma, e trovano inspiegabile che qualcuno possa davvero trovare desiderabile conoscere quella vecchia signora che prepara loro i pasti, balla piuttosto male, ride e bacia senza motivo e per il resto non ha nessuna qualità al di sopra della media, se non quella, straordinaria, di impedire il funzionamento di tutti gli oggetti tecnologici al solo avvicinarvisi (mica come il babbo, quello sì che aggiusta le cose). Io comunque rispondo «Mi dispiace, parli con il mio agente» e lo rispedisco a letto.
A parte dunque il fatto che in casa tutto è rimasto uguale, e casomai il mio già precario prestigio ha subito i colpi dell'ironia filiale, fuori di casa un piccolo ciclone mi ha travolta. Ho ricevuto centinaia di richieste di interviste, di presenze in trasmissioni (da ogni truccatrice ho imparato qualcosa, prima o poi dovrò scrivere un libro sulla colla per le sopracciglia e i correttori color arancio, magari quando avrò capito perché per gli smokey eyes serva un pennello così ciccione), di inviti ad andare a parlare in giro: in teatri riempiti da ottocento persone piene di entusiasmo esagerato, in parrocchie, auditorium, piazze (ma anche in qualche sala con una trentina di ascoltatori, contando la pianta di ficus, qualcuno appisolato). Non potendo collocare, se non altro per motivi di immagine, i miei figli in orfanotrofio, ho dovuto dire moltissimi no, rispetto ai sì, e a dire la verità a volte ho scelto anche un po' a caso, magari solo per liberarmi dell'insistenza di chi mi invitava (d'altraparte lo stile vedova importuna è raccomandato dal Vangelo). Sono partita a orari impervi per mancare da casa il minimo indispensabile, con il mio kit da viaggiatrice in borsa — panino con la bresaola, Pocket Coffee, banana spiaccicata — e sono tornata dopo tre ore di sonno, ripartendo all'alba per fiondarmi in redazione la mattina seguente, carica di affetto, allegria, a volte di regali, a volte di nuovi amici in carne e ossa, che stanno diventando parte della mia vita vera (quelli virtuali e basta non contano).
Anzi, forse l'unico neo in tutta questa storia è che ci sono in giro, ho scoperto, troppe persone che vorrei come amici per la pelle. Purtroppo le amicizie richiedono tempo ed energie, beni di lusso estremo per una quadri-mamma bilavoratrice, e quindi punto a individuare una casa di riposo nella quale ritrovare qualcuno di questi nuovi amici fra una trentina d'anni, per giocare a tombola e discutere di mele cotte e orari di visita.
Insomma, conoscere troppe persone eccezionali con cui si desidera essere amici, scoprire che il mondo è così bello che non si avrà mai tempo di goderselo tutto, be', non mi sembra un grosso problema, e se togliamo il fastidio di rispondere a false richieste di autografo da figli prematuramente sarcastici, direi che il bilancio per me è completamente positivo. Se oltre a questo ho dato una mano a qualche donna a (ri)scoprire la sua profonda bellezza, non posso sognare di più (a parte eliminare la ritenzione idrica con cioccolata e salame... con le bacche di ginepro ci riescono tutte).
ESTRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
Da che pulpito
«Costanza, dimmi ancora una volta perché mi dovrei sposare. E fra soli quindici giorni.» Serve l'auricolare. Sistemare la lattina nel suo cassettino, benedette le macchine americane. Sputare i semi del mandarino (marito, prometto che un giorno porto una busta e pulisco tutto, anche le carte di Pocket Coffee). Trasformare questo letamaio, la mia macchina, il ricovero di una dissoluta che pranza ai semafori del lungotevere, renderla un salottino appropriato in pochi secondi. La Oprah Winfrey dei poveri.
Perché il bello dell'amicizia non è tanto avere accanto qualcuna che abbia il coraggio di dirti in faccia che i colpi di sole di quella sfumatura nespola putrefatta non valorizzano il tuo nuovo caschetto; qualcuna che si sforzerà, sinceramente, di trovare una buona ragione per cui tu debba comprarti la nona collana di jais, perché con quel nodo proprio ti risolve il guardaroba, come no; qualcuna che ti dica che meravigliosa scelta organizzativa hai fatto e gestito benissimo, e come era imprevedibile che i quattordici amichetti dei figli che avevi a casa ti sfuggissero un po' di mano e sventrassero a pallonate le uniche due piante di rose che erano riuscite a fiorire.
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Studente Nicola Lucchetti il 18 dicembre 2013 alle 14:05 ha scritto:
Da leggere sicuramente! Questo libro cambierà la storia! In modo veramente scorrevole e che a volte fa sorridere l'autrice presenta il problema principale delle famiglie dei nostri tempi: assenza di chiarezza dei ruoli del padre e della madre che devono seguire le loro differenti nature.
Margherita Panero il 17 giugno 2014 alle 15:27 ha scritto:
Bello, lo consiglio. A tratti forzatamente ironico, ma anche se spiazza parecchio è molto utile. Da rileggere.
Ho comprato anche "Sposala e muori per lei".
Studente Ilaria Lorusso il 29 marzo 2016 alle 13:19 ha scritto:
Costanza Miriano ha la capacità di trasferire sulla carta emozioni, allegria, quotidianità. Il libro diventa cosi, una vera e propria catechesi, nel riscoprire il valore della "sottomissione" della donna nel matrimonio. Consiglio a tutti di leggerlo soprattutto ai fidanzati, per riscoprire le potenzialità dell'essere maschio e femmina insieme.
loris blasizza il 29 luglio 2017 alle 16:23 ha scritto:
Un libro raccontato con grande ironia dall'autrice, di facile e piacevole lettura ma contiene numerosi spunti che fanno riflettere sulla vita di coppia è sul ruolo della donna all'interno della coppia e della famiglia. Da leggere
Prof. Tiziana Balmativola il 11 ottobre 2017 alle 06:33 ha scritto:
geniale
Chiara Peyron il 17 settembre 2019 alle 11:50 ha scritto:
Con questo titolo provocatorio, Costanza Miriano ci invita a riflettere sul ruolo della donna (e anche dell'uomo) all'interno del matrimonio.
Essere sottomessa non significa essere rassegnata o destinata alla sopportazione, ma vuol dire sostenere la famiglia nel suo cammino.
Il libro è strutturato in tante lettere indirizzate ad amiche ed amici e anche alle due figlie. In ciascuna lettera si affronta un tema: dalla scelta o meno del matrimonio, all'accoglienza per cui la donna è stata creata, alla scelta di fare le mamme lavoratrici o casalinghe, al mistero delle due povertà di uomo e donna che si uniscono per diventare una ricchezza.
Consiglio questo libro a tutte le donne, sposate e non, per riflettere sul mistero di "maschio e femmina li creò".
Avv. Gabriele Chiarini il 22 maggio 2020 alle 22:18 ha scritto:
Un classico da una Autrice brava, colta e molto tonica: Costanza Miriano è un narratrice abile e ispirata, che vale sempre la pena leggere.