Teoria e teologia della storia
(Biblioteca di testi e studi)EAN 9788843080892
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DETTAGLI DI «Teoria e teologia della storia»
Tipo
Libro
Titolo
Teoria e teologia della storia
Autore
Gianluigi Pasquale
Editore
Carocci
EAN
9788843080892
Pagine
697
Data
giugno 2016
Collana
Biblioteca di testi e studi
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Prof. Giovanni Spagnolo il 21 ottobre 2016 alle 22:19 ha scritto:
Non è la prima volta che abbiamo l’occasione di occuparci della ormai vasta produzione teologica, filosofica e agiografica di Gianluigi Pasquale, frate cappuccino della Provincia veneta, dottore di ricerca in Teologia e Filosofia, professore nella Pontifica Università Lateranense (Città del Vaticano) e nello studio “Laurentianum” di Venezia e Milano e volto noto al grande pubblico per le sue non rare apparizioni televisive (Rai, Tv2000 e Teleradiopadrepio).
Il volume che qui presentiamo, pubblicato dalla prestigiosa casa editrice Carocci, costituisce, così come c’è dato di percepire, una sorta di opus magnum in cui Gianluigi Pasquale consegna ai lettori il frutto dei suoi lunghi anni di appassionata ricerca scientifica e di amorosa investigazione sul tema a lui caro della Teoria e teologia della storia che, in un precedente volume, aveva affrontato anche dal punto di vista filosofico: La ragione della storia. Per una filosofia della storia come scienza, appunto.
Il percorso che Gianluigi Pasquale segue nel suo volume è da lui sintetizzato nella breve Presentazione in cui, in estrema sintesi, espone le sue tesi o meglio la sua tesi: quella di Dio che abita nel tempo, all’origine del nostro dramma, la condizione umana, che è “quella dell’ , mentre Dio, invece, ”. Infatti, “Da quando si è definitivamente rivelato in Gesù Cristo, fra gli uomini Dio appare l’ salutis tra gli historiae” (p. 19).
E’ per superare “le polarizzazioni tipiche dell’esperienza dell’uomo nell’età postmoderna e tardomoderna” che Gianluigi Pasquale propone la sua “riflessione teologica sulla storia” che s’inserisce, per verificarlo, “sul piano storico che Dio penetra, con e nella storia” (Ibidem).
Naturalmente, leggiamo ancora nella Presentazione, “Questo volume intende presentare una teoria e teologia della storia nella prospettiva cristiana (p. 20), nella convinzione che “La storia ha una sua consistenza profana che viene assunta da Dio, e anche noi dobbiamo stare la storia, tutta la storia, anche quella che non sembra avere nulla a che fare con Dio. La storia è il campo delle sorprese di Dio” (p. 21).
Rinviando a un incontro personale con il volume di Gianluigi Pasquale attraverso una lettura attenta e meditata, facilitata dal registro linguistico da lui adottato, che ne favorisce la comprensione anche ai non addetti ai lavori, ci limitiamo a presentare l’ordito della sua narrazione.
Dopo una sorta d’iniziale explicatio terminorum, “Per una teoria della storia” (pp. 23-28), il volume si dipana in quattro corpose parti con un titolo generale, una premessa e una sintesi, con i ritmi e i movimenti di una vera sinfonia, scandita da vari momenti.
Nella prima parte l’Autore discute L’imposizione della teoria storica (pp.31-65) che si conclude con l’ importante affermazione: “la storia non è mai distopica”.
La seconda parte, più estesa e di ampio respiro, Esordio: il tentativo di coniugare il tempo all’Eterno (pp. 69-233), arriva alla sintesi densa di significato: “la storia della salvezza sporge da quella profana”.
Intermezzo: lo sviluppo storico si assottiglia all’essenziale (pp. 237-532) costituisce la parte terza della ricerca di Gianluigi Pasquale che, dopo una dettagliata disanima del pensiero e delle tesi di vari Autori formula, motivandola, la sua sintesi: “senza lo stigma salvifico la storia perde quello scientifico”.
Nella parte quarta poi si coglie, forse, l’essenza e l’originalità del contributo offerto da Gianluigi Pasquale, L’epilogo del senso storico: passare dall’”e” congiuntivo all’”è” copulativo (pp. 537-614) con l’affascinante sintesi: “ciò che accade nel tempo è solo uno sviluppo della vita di Gesù Cristo”.
Questo imponente volume dello studioso cappuccino non ha, come è giusto che sia, una “Conclusione” ma delle “Conclusioni” (pp. 615-622) in cui egli ripercorre, ancora una volta, il cammino fatto a partire dal significato e dal valore da attribuire all’espressione historia salutis, introdotta dal Concilio Vaticano II (p. 615).
Alla fine del suo lavoro, Gianluigi Pasquale riafferma la sua convinzione profonda, cioè che “il senso definitivo della storia è nascosto in Dio” e che “Tuttavia, di fronte al permanente , il assicura al credente che, alla fine, . Ma ” (p. 622).
Non possiamo, infine, non rilevare come sconfinata e specializzata è la Bibliografia che correda il volume (pp. 629-686) a riprova, se ce ne fosse bisogno, dello spessore scientifico di Gianluigi Pasquale, come pure l’assai affollato Indice dei nomi (pp. 687-697) che sono poi gli Autori con i quali Egli si è confrontato.
Vogliamo concludere questa recensione, certamente parziale, con la preghiera tratta dal Proslogion di Anselmo d’Aosta che l’Autore ha voluto mettere in exergo alla Presentazione di questo suo volume: “Tu non eri ieri, tu non sarai domani; ma ieri, oggi e domani. Tu sei. Meglio ancora, tu non eri né ieri, né oggi, né domani: ma semplicemente Tu sei, al di fuori di tutto il tempo. Poiché tutto ciò che esiste ieri, oggi e domani, esiste solo nel tempo; ma sebbene nulla possa esistere senza di Te, Tu non sei né nel luogo, né nel tempo, bensì tutte le cose sono in Te. Nulla Ti contiene, ma Tu contieni tutte le cose”.
Una preghiera, quella di Anselmo d’Aosta, di grande spessore teologico e poetico, che sintetizza assai bene l’assidua ricerca scientifica di Gianluigi Pasquale e illumina anche questo suo ultimo esemplare volume.
Giovanni Spagnolo
Prof. Markus Krienke il 1 ottobre 2017 alle 12:32 ha scritto:
Nelle «Conclusioni» (615-622), l’autore Gianluigi Pasquale afferma la necessità indispensabile di ogni trattazione teologica della storia di «valutare con attenzione l’ambito e il momento in cui il concetto di “storia della salvezza” è stato accolto nella teologia sistematica» (615), e precisamente a questa impresa ardua è dedicato l’ampio volume di 697 pagine. Tale discorso, che si comprende quindi preliminare e fondamentale a ogni futura teologia della storia, è metodologicamente impostato come risultato di due esigenze sentite da parte della teologia cattolica: contrapporsi alla sfida della «filosofia della storia» e soprattutto dello storicismo (616), e difendersi dall’accusa, mossa da parte protestante, di non essere incentrata sufficientemente sulla cristologia (617). Implicitamente, Pasquale, oltre all’individuazione di queste due sfide, se ne prefigge di una terza, forse decisiva per il metodo che vuole difendere anche oggi: ossia come sia possibile articolare e rendere credibile la teologia in un’epoca in cui queste due sfide non esistono più (618)? Attraverso questa problematizzazione, il paradigma proposto da Pasquale è costruito per reggere, secondo l’autore, niente meno che le esigenze della «teologia naturale» (620). Inoltre, una riflessione storico¬-ecclesiologica è per l’autore il naturale esito di questa prospettiva storico-salvifica (621).
La trattazione si suddivide in quattro parti che dopo l’esposizione del problema e dello status quaestionis (29-66) descrive nella seconda parte il progetto di «coniugare il tempo all’Eterno» (67-234), per poi indagare l’evoluzione teologica di questo argomento in particolare nella dinamica intorno al Concilio Vaticano II (terza parte, 235-534), e infine esporre la tesi di questo libro nella quarta parte (535-614), del resto già delineata nelle parti introduttive (19-28): la “distinzione storico-fondamentale” tra l’«e» della condizione dell’uomo e l’«è» cristologico di Dio (19, 554) costituisce l’asse di realizzazione di questo trattato, che avanza una tesi di teologia fondamentale ossia che soltanto una teologia della storia riesca ancora a «sostenere la credibilitas Revelationis christianae» (19). Da qui si delinea la forte tesi di questo lungo trattato, che si presenta come una modulazione del paradigma di Löwith: «la matrice apocalittica proveniente dall’annuncio del Nuovo Testamento» è il motivo remoto di «qualsiasi [sic!] filosofia [sic!] della storia» (25-26). Inoltre, proprio dall’incontro dell’interpretazione della storia, che in età moderna si costituisce filosofica, con quella teologica, dalla quale essa si è emancipata, nascerebbe la svolta all’interno del dibattito teologico verso il paradigma della «storia della salvezza» (26).
Dopo questa duplice virata dell’argomento, resta però la domanda sistematica, che forse avrebbe ancora dovuto trovare spazio in tale ricerca amplissima e completa dal punto di vista della ricostruzione del paradigma (seconda e terza parte) e della sua rilevanza attuale: proprio il rileggere la storia «con le categorie di Logos e storia» (622) non solleva il problema di un certo “determinismo teologico” e la questione, oggi più urgente che mai, della libertà umana? Quale significato, epistemologico e morale assume la libertà umana sotto il segno del senso “assoluto” nella storia che è la «piena e personale manifestazione in Gesù Cristo» di «Dio [...] Signore della storia» (622) e nei confronti della «questione del cristianesimo quale vera religio» (537)? Dove resta la libertà dell’uomo e la sua libera collaborazione, dal momento che «la storia della salvezza è, in realtà, coestensiva alla storia del mondo o storia profana, dal momento che le due non si lasciano dividere di netto» (574)?. Si allude qui ad un’interpretazione del passo tratto dal De civitate Dei di Agostino, in cui quest’ultimo afferma: «l’uomo non pecca perché Dio ha conosciuto per prescienza che avrebbe peccato. Anzi, è innegabile che pecca, quando pecca, perché Dio, la cui prescienza non può fallire, non ha conosciuto per prescienza che il destino, il caso o altro di simile bensì che lui stesso avrebbe peccato. Se non vuole non pecca, ma se non vorrà peccare, anche questo Dio ha conosciuto per prescienza» (De civitate Dei V, 10, 2). La quarta parte della trattazione di Pasquale, occupandosi proprio di questa questione «verità e storia», identifica la libertà umana con la preparazione temporale della sua salvezza attraverso l’«atto di libertà creaturale» diventato «un elemento della storia salvifica realmente assunto» in Gesù Cristo (580), che costituisce l’irreversibile identità tra storia e salvezza che proprio nella storia umana si dimostra reversibile (581). Così si costituisce lo specifico «insieme» delle due storie – umana e divina – che viene caratterizzata come «reciproca e circolare inclusione o immanenza» e pertanto come «dialogo» (582-583). In questo modo l’«evento storico che è Gesù Cristo [...] è anche il fondamento [...] dell’autentica e vera storicità di qualsiasi uomo» (583) che implica certamente la tesi rahneriana dei “cristiani anonimi” e la soluzione per la dialettica tra libertà divina e umana viene trovata in DV 2 e 4 (585) e poi nella teologia trinitaria (587- 614), quindi mediata dalla «coscienza di Gesù Cristo incarnato» (598) ossia, in modo più concreto, dalla «compresenza in forma di trascendenza» per cui il futuro umano coincide con il presente divino (599).
Ora, mentre a tale discorso non si può negare la sua convinzione teologica, non si delinea espressamente come si situi qui quella ricomprensione filosofica della storia, la quale, metodologicamente, è stata annunciata. In questa chiave sembra senz’altro rilevante l'affermazione che «dall’incarnazione di Gesù Cristo il divenire della storia può, in ultima istanza, essere riscattabile dalla propria paradossalità – e, pertanto, giustificabile – soltanto dalla Trinità, e questo sia a livello ontologico, sia sul versante storico-salvifico» (613). Ma la pretesa anche filosofica di questo discorso, sebbene di “filosofia cristiana” o in qualche modo ex-negativo a partire da una teologica, aggiungerebbe qui la considerazione come in questa prospettiva “teandrica” (604, 613 et al.) della cristologia tale «paradossalità» o dialetticità della storia si lascia tematizzare nella sua radicalità. Ad esempio in Schelling si potrebbero trovare degli spunti importanti per una tale impresa. All'ultimo Schelling, infatti, attraverso la sua lettura kasperiana, è dedicata proprio la sezione che tematizza la dialettica tra «[s]oluzione razionale e risoluzione credente della relazione assoluto-storia» (424-451), evidenziando che «la significazione della storia ha un fine religioso [...] perché la storia tende all’unità e alla perfetta rappresentazione dell'assoluto nel finito e il ritorno del finito nell’infinito» (429). Pasquale riesce in questo modo a rilevare la storia come modo umano di conoscere l’assoluto attraverso il finito, pervenendo senz’altro a un modo di poter concepire «il principio della libertà umana nella sua indipendenza» (431). Tramite la cristologia, così la declinazione kasperiana di Schelling, «creazione, tempo e storia significano qualcosa per Dio» (446). Senz’altro deve essere visto in questo capitolo uno dei momenti centrali della tesi del nostro autore che spinge tale pensiero fino all’affermazione secondo la quale «una netta cesura tra storia della salvezza e storia profana è impensabile» e che «la storia, proprio nella sua pura storicità, è il modo in cui Dio esibisce la non-disponibilità di se stesso e del suo messaggio» (467, 471). Proprio tale sguardo su Schelling porta però il discorso di Pasquale completamente dentro la cristologia (478-509), mentre per un grande filosofo-teologo cattolico dei tempi di Schelling, Antonio Rosmini, tale fine cristologico non comprometteva un approccio più razionale alla stessa storia. Tale prospettiva di teodicea in Rosmini purtroppo non viene considerato, come è del tutto tralasciato il tema della stessa teodicea, probabilmente per le scelte metodologiche iniziali di incentrarsi sull'argomento della “storia della salvezza” intorno al Concilio Vaticano II e la sua impostazione cristologica. Ma proprio così l’argomento resta, probabilmente più che l’autore poteva immaginare, debito al «tremendum» che la storia costituisce per la teologia (94). Così – al di là della lista interminabile degli autori di riferimento – Leibniz e Vico non sono interlocutori, così come non lo sono Löwith (ad eccezione 24-26, 57-60) e i teoretici del paradigma della secolarizzazione come paradigma storico. Ma proprio in questa chiave sarebbe interessante chiedersi quale posto teorico una teologia della storia abbia nel mondo post-secolare e di fronte alla sfida del “ritorno delle religioni” e delle nuove teologie politiche che da vari punti di vista religiosi ed ideologici cercano di impadronirsi della prerogativa interpretativa della storia. Certamente sono prospettive che oltrepassano, metodologicamente e contenutisticamente, questo discorso e tentano piuttosto di collocarlo all'interno di un dibattito attuale dal quale però ogni teologia fondamentale dovrebbe farsi sfidare.
Un ampia bibliografia (629-686) è un utile indice dei nomi (687-697) chiudono questa trattazione che senza dubbi merita di essere consigliata sia per la sua chiarezza espositiva sia per la completezza sistematica, ma soprattutto per il suo carattere di essere un bilancio: dopo le varie teologie della storia del ‘900 e l’insegnamento del Concilio Vaticano II, occorre urgentemente fare sintesi e tirare le somme, non per chiudere tale discorso, ma per ri-aprirlo in un’epoca nuova. Solo così la Chiesa – e in questo l’indirizzo ecclesiologico di questo tema da parte di Pasquale è fondamentale – potrà collocarsi con efficacia e responsabilità all’interno di quelle nuove dinamiche che troppo facilmente suscitano nelle religioni reazioni fondamentalistiche che sono tutte a-storiche. Il messaggio dell’analisi di Pasquale è che il paradigma cristologico e trinitario di guardare la storia ne costituisce il vero antidoto.
Markus Krienke
30 Giugno 2017
in «Teologia» 40 (2017) n.2, pp. 330-332
© Glossa Editrice