La teologia del Novecento
(Frecce)EAN 9788843057085
La teologia del «secolo breve», appassionante, coinvolgente in tutte le sue articolazioni, illustrata a un pubblico di lettori che non vuole farsi irretire dalle sole manifestazioni religiose spettacolari e, a tratti, folkloristiche, ma che cerca un filo rosso atto a guidarlo in una materia, la teologia, che nel nostro paese è da sempre una sorta di recinto per addetti ai lavori. Con questo intento, pienamente riuscito, l’a., noto pastore e teologo valdese, docente di Dogmatica presso la Facoltà valdese di Teologia, ripercorre con chiarezza espositiva i momenti decisivi del pensiero teologico del Novecento (ragguardevoli i cc. dedicati a Barth e a Rahner) offrendo al lettore una solida base per inoltrarsi su sentieri più impervi. Da leggere come introduzione, da assimilare come abbecedario.
Tratto dalla Rivista Il Regno n. 10/2011
Per un insegnante, che ha guidato varie nidiate di alunni nel corso introduttivo alla teologia (come chi firma questa segnalazione), il volume di Fulvio Ferrario offre una simpatica e puntuale ‘rimpatriata’ percorribile quasi come un romanzo scritto con invidiabile capacità comunicativa. Ovviamente va condivisa la speranza (cf. p. 11) che le 300 fitte pagine contribuiscano a far riscoprire la luminosità del pensare teologico degli ultimi cent’anni anche ai non addetti ai lavori e ad inserirne l’apporto nel più ampio dibattito culturale, che in Italia paradossalmente sembra volentieri mettere tra parentesi la fecondità del pensare religioso cristiano. In nove passaggi il docente della Facoltà valdese di teologia di Roma passa in rassegna le stagioni e le figure più originali della teologia protestante (soprattutto tedesca nella prima metà del Novecento), chiarendone il metodo di lavoro, i nuclei tematici e le prospettive fondamentali derivanti dal riflettere sistematicamente sulla rivelazione cristiana.
Si tratta di figure di alto profilo, ben presenti nell’avventura della storia culturale e politica europea e progressivamente mondiale. Il percorso tuttavia non dimentica affatto il parallelo versante cattolico della riflessione cristiana specie francofona, che segue sentieri non così distanti come l’annosa polemica confessionale potrebbe far credere: del resto le sfide e i problemi sono analoghi se non identici. Verso la fine, nell’ottavo capitolo, non manca anche uno sguardo rapido ma attento e sempre simpatetico alla riflessione cristiana ortodossa nel drammatico Novecento. Il lettore cattolico trova segnalato l’apporto della propria teologia confessionale soprattutto nelle pagine dedicate alla crisi modernista, ai movimenti che sottotraccia lievitano la compattezza cattolica postridentina, all’evento e ai documenti del Vaticano II. Pur valdese, l’a. mostra di conoscere bene e apprezzare la teologia cattolica fino alla sorprendente affermazione: «Uno degli elementi più interessanti e, anche, commoventi che costituiscono la grandezza del pensiero cattolico è la ricchezza di spiriti che, nonostante una vigilanza occhiuta, la cronica paura di ricadute ‘moderniste’ e il perdurante sospetto dell’istituzione nei confronti della cultura moderna, cercano, con grande abne-gazione e passione ecclesiale, di percorrere vie più promettenti rispetto a quelle ufficialmente raccomandate» (p. 123).
L’affermazione di Ferrario è presente almeno alle pp. 33-45 (per la crisi modernista), a p. 142 («[I teologi cattolici] sono uomini di chiesa spesso boicottati, colpiti, imbavagliati dall’istituzione ch’essi amano con tutto il loro essere. Il loro lavoro resta in qualche caso clandestino per decenni…» prima del Vaticano II), a p. 169 (in cui l’a. si confessa deluso per la recezione ‘romana’ del Vaticano II pilotata dalla curia), alle pp. 178-179 (in cui l’a. difende criticamente la teologia della liberazione latinoamericana). La cosa dovrebbe far riflettere chi in campo cattolico ritiene ovvio presentare e far apprezzare ai fratelli protestanti il cosiddetto ‘servizio petrino’ come servizio dell’unità della chiesa. Nella temperie attuale, per teologi evangelici non proprio sprovveduti o prevenuti, la prospettiva appare semplicemente improponibile. Ma è tempo di ripercorrere l’interessante sentiero del libro, avvertendo che la riflessione protestante si concentra in figure di altissimo profilo che danno al lettore cattolico italiano la sensazione di un cammino a zig-zag quasi dialettico; la riflessione cattolica preferisce invece maturare attraverso movimenti che pur proponendo dei leader significativi dà il senso di compattezza nel cammino.
Il primo percorso evangelico
Le prime quaranta pagine sono dedicate alla stagione della teologia liberale interessata alla sto-riografia e all’etica nel rispondere alla domanda ‘Che cos’è il cristianesimo?’ Adolf Harnack da impareggiabile storico in: L’essenza del cristianesimo propone una strenua difesa dell’annuncio cristiano neotestamentario, fondandolo su dati obiettivi e conferendogli una portata propriamente scientifica in un contesto che esigeva metodi critici. Mentre altri studiosi orientavano alla demoli-zione dell’attendibilità storica dei vangeli. Harnack segnala certo la discontinuità tra messaggio biblico e dogma ecclesiastico, frutto dello spirito greco sul terreno del vangelo. Lutero, secondo Harnack, separa la ‘buccia’ del dogma liberando la forza vitale della ‘polpa’ evangelica plasmatrice di civiltà e di cultura. La sua opera di storico, a distanza, si rivela tuttavia politicamente meno inno-cente di quel che sembra a prima vista, anche se il modello liberale intende proporre il messaggio cristiano in termini intellettualmente e anche pastoralmente responsabili.
L’indagine critica sul Gesú storico, che affascina la teologia novecentesca, è impensabile senza l’atteggiamento intellettuale che caratterizza il liberalismo, anche se il cristianesimo di Harnack è naturaliter tedesco e guglielmino. Altra personalità dal vigore incontenibile, che illumina l’alba del Novecento, è l’alsaziano Albert Schweitzer, esegeta, musico e medico, capace di riportare in primo piano la figura di Gesú nel proprio tempo come il profeta escatologico del mondo nuovo di Dio, del quale attende l’irruzione. L’amore per il prossimo costituirebbe il contenuto permanente del predicatore ucciso sulla croce, per cui la vita cristiana è un’esperienza morale, quasi mediazione tra la dimensione escatologica e quella temporale.
Il libro di Schweitzer su Gesú è tra i più citati del secolo, anche se più importante risulta il suo contributo alla ricerca su Paolo. Altri due teologi, a giudizio di Ferrario, meritano la citazione, Wilhelm Herrmann e Ernst Troeltsch per la loro riflessione sistematica tra storia e assoluto, sullo sfondo di una rilettura del pensiero luterano: il cristianesimo è prospettato come punto di convergenza della vicenda evolutiva del fatto religioso. Sul versante cattolico il drammatico episo-dio del modernismo permette la domanda su una ipotetica teologia liberale cattolico-romana almeno ne L’evangelo e la chiesa di Alfred Loisy e negli studi del grande storico Ernesto Buonaiuti. Altre figure coraggiose si rivelano capaci di mantenere vive alcune istanze di rinnovamento in una chiesa ufficiale che interpreta la parabola della modernità solo come una parentesi negativa da esorcizzare. Il secondo capitolo (Dio ha parlato) ha per protagonista il pastore svizzero Karl Barth: il suo è un pressante invito a tornare con rinnovata semplicità, ad ascoltare la voce dei testimoni biblici co-me appello di Dio alla chiesa. Il grido evangelico di battaglia Barth lo scopre nell’Epistola ai Romani.
I condizionamenti di tipo storico risultano del tutto secondari; l’interesse è tutto sui contenuti in una originale e alternativa ‘esegesi teologica’ che si concentra sulla Sache. Nell’esperienza pasto-rale a Safenwil in ambiente operaio e nell’esperienza accademica a Gottinga a Barth interessa la sottolineatura della infinita differenza qualitativa tra tempo ed eternità: la fede in un Dio ‘totalmente altro’ pone in crisi ogni forma di esperienza umana. Con Thurneysen e Gogarten nel 1922 Barth fonda la rivista Zwischen den Zeiten con allusione alla condizione escatologica della fede e nel 1927 esce il primo volume della Dogmatica cristiana. Già qui il motivo conduttore di tutto il lavoro dogmatico barthiano manifesta la propria fonte esclusivamente in Gesú Cristo La concentrazione cristologica si accompagna al netto rifiuto della cosiddetta ‘teologia naturale’. Appoggiandosi ad Anselmo di Aosta, di cui riprende la teologia come fides quaerens intellectum, Barth radicalizza nella Dogmatica ecclesiale (lavoro che lo impegnerà per tutta la vita) la propria concezione della teologia come obbedienza del pensiero umano al movimento del Dio che si rivela in Gesú Cristo, escludendo ogni dialogo con il mondo e con le altre discipline.
L’esistenza teologica Barth la manifesta molto chiara nell’opposizione al nazismo, intuito come caso patologico di teologia naturale. Al sinodo di Barmen della chiesa confessante nel ’34 il testo finale redatto da Barth lancia un messag-gio politicamente esplosivo fin dalla prima tesi della dichiarazione teologica che richiama alla re-sponsabilità di predicare l’evangelo proprio per incidere nella storia. Rispondono a Barth due teologi luterani, Werner Elert e Paul Althaus, custodi di una ortodossia confessionale assai rigida e allergici a ogni sorta di critica teologica al potere costituito. Anche altri amici come Emil Brunner esprimono perplessità, a cui il teologo svizzero risponde con un aspro Nein! Antwort an Emil Brunner che mostra una seria difficoltà di comprendere in bonam partem l’interlocutore. Dal nazismo Barth è costretto a lasciare la Germania e a rientrare nella natia Basilea, da dove il teologo può esplicitare tutto il carattere anticristiano della politica nazista, ma soprattutto dare alla luce i successivi volumi della Dogmatica ecclesiale. Nonostante l’aggettivo del titolo Barth vi esclude qualsiasi forma di ecclesiocentrismo: come le altre religioni, il cristianesimo si colloca di fronte alla critica della rivelazione e dunque accetta di vivere esclusivamente del perdono. Anche sullo snodo della predestinazione Barth innova l’eredità agostiniana della Riforma: Gesú è il sì di Dio nei confronti dell’umanità, per cui l’elezione non ha un parallelo nella reiezione: il radicale ottimismo teologico si fonda sulla cristologia. Un gigante del pensiero teologico può costituire una presenza ingombrante, che mostra col tempo i suoi limiti almeno in una certa sottovalutazione pratica dell’aspetto dialogico della parola di Dio. Tuttavia anche il protestantesimo italiano ne apprezza il fascino con Giovanni Miegge, lo storico Valdo Vinay e il dogmatico Vittorio Subilia. La teologia protestante come ermeneutica si sforza di dire Dio nella modernità: le quaranta pagine del terzo capitolo narrano tale sforzo messo in campo specie da Bonhoeffer, Bultmann e Gogarten.
Il primo intreccia in modo originale teologia e biografia, meritando un’ammirazione parteci-pante. Con una formazione giovanile d’alto livello, tra gli allievi più brillanti di Harnack, poco più che ventenne scrive la dissertazione Sanctorum Communio mostrandosi interessato alla chiesa reale, integrando riflessione ecclesiologica e apporto sociologico: a ventitré anni è libero docente e ottiene una borsa di studio per NewYork, decidendosi per un profondo discepolato cristiano: al ritorno in Germania studioso e predicatore si fondono. Quando Hitler prende il potere, la famiglia Bonhoeffer si schiera compatta all’opposizione, delusa dell’entusiasmo di larghi settori ecclesiastici per il regime. Con La Chiesa e la questione ebraica Bonhoeffer prende posizione: il ‘paragrafo ariano’ gli si prospetta come una vera e propria eresia nella chiesa. A Londra allaccia contatti importanti per la resistenza e nel 1935 torna in Germania per assumere la direzione del seminario di formazione pa-storale a Finkenwalden. Una vita comunitaria, capace di coniugare con sorprendente serietà le esigenze evangeliche e la spiritualità monastica, troverà testimonianza in Sequela e Vita comune, due volumetti di enorme fortuna anche in ambiente cattolico. Interrotta dalla Gestapo l’esperienza del seminario, il teologo accetta l’opportunità di trasferirsi negli Stati Uniti, da cui rientra quasi subito per condividere il destino del proprio paese nel tentativo di un colpo di Stato. Bloccato nei viaggi e negli scritti, Bonhoeffer concentra il proprio servizio nella chiesa confessante. Scrive l’Etica, il cui manoscritto è salvato dall’amico Eberhard Bethge: si tratta di una grande meditazione sull’impegno del teologo nelle contraddizioni della storia, cioè nella resistenza antihitleriana.
Un fidanzamento breve, profondo e drammatico con una nobile diciottenne della Pomerania non interrompe l’impegno resistente che porta Bonhoeffer in carcere, dal quale una serie di lettere straordinariamen-te dense disegneranno la testimonianza cristiana in un ‘mondo adulto’ ormai emancipato dal cristia-nesimo tradizionale ed esigente una lettura della Bibbia priva di scorciatoie spiritualiste. Le lettere dal carcere saranno raccolte in Resistenza e resa, i cui semi teologici non cessano di interrogare le chiese. Rudolf Bultmann, da grande esegeta, prosegue le preoccupazioni di Barth (far sfociare l’esegesi nella dogmatica) e di Bonhoeffer (condurre l’interpretazione biblica fino al nucleo del messaggio, oltre categorie inesorabilmente tramontate). Il filo conduttore di Bultmann sta nella convinzione che il Cristo creduto si incontri nella parola biblica e non coincida con il Gesú storico criticamente ricostruito: Cristo si fa conoscere essenzialmente attraverso la sua opera in noi. Il primo capolavoro, la Storia della tradizione sinottica analizza la genesi delle singole unità letterarie dei primi tre evangeli utilizzando il metodo della ‘storia delle forme’. Ma il pensiero di Bultmann è segnato in modo decisivo dall’incontro con l’analisi delle strutture dell’esistenza umana proposte da Heidegger e rilette in prospettiva luterana: la fede è la forma di esistenza autentica perché si fonda su ciò che è radicalmente indisponibile, cioè la parola esterna dell’annuncio che determina la direzione del proprio impegno esistenziale. Bultmann trae le conseguenze ermeneutiche: l’accoglimento dell’annuncio può solo essere frutto della ‘decisione’ di fronte alla realtà di Dio.
Credere e comprendere sarà il titolo di una serie di volumi di ricerche esegetico-teologiche e il commento all’Evangelo di Giovan-ni resterà uno dei classici dell’esegesi del XX secolo, segnalando la potenzialità di ogni istante: di-ventare quello decisivo, escatologico (l’ora giovannea). Nello stesso anno 1941 Bultmann ritiene possibile reinterpretare gli elementi mitici del messaggio biblico: la fede si fonda sull’evento dello Spirito che guida alla decisione credente. Nelle prediche di Marburg degli anni Cinquanta emerge il nucleo profondamente ‘classico’ del suo pensiero, mentre il programma di demitizzazione trova ampio respiro nei due volumi di Teologia del Nuovo Testamento. Nelle ultime opere pur prestigiose la comprensione esistenziale della storia tende a risolversi nella storicità dell’essere umano di fronte alla decisione: gli eventi storici perdono rilevanza quasi a dissolversi nell’ermeneutica, come il Cri-sto storico tende a dissolversi nel puro daß della sua esistenza, quasi dimenticandone ‘docetisticamente’ i concreti contorni. La feconda eredità dell’esegesi bultmanniana riapre la discussione sul Gesú storico nella variegata fila dei discepoli fra cui spicca Ernst Käsemann. Le varie fasi della ricerca registra studiosi impegnati come Günther Bornkamm, e i due esponenti della ‘nuova ermeneutica’ Ernst Fuchs e Gerhard Ebeling, a cui il volume di Ferrario dedica pagine sintetiche e preziose.
In effetti il confronto con la modernità chiede enormi energie intellettuali per superare strutture mentali non più adatte a un mondo secolarizzato: vi si impegna Gogarten per la secolarizzazione e sulla linea di confine si colloca Paul Tillich insistendo sulla tensione creativa tra domanda della situazione umana e risposta da accogliere nella rivelazione. Primo accademico tedesco espulso dall’università monopolizzata dai nazi, Tillich emigra negli Stati Uniti dove elabora una interpretazione teologica della storia in grado di valorizzare la valenza simbolica del secolare, in duro contrasto con la proposta bar-thiana. Un ambizioso progetto di Teologia sistematica in cinque parti si fonda sul metodo della ‘correlazione’ di due fuochi: la situazione-domanda e la rivelazione-risposta. La proposta di Tillich trova un’eco assai ampia per il suggestivo intreccio tra umano e divino e per la capacità di parlare al di fuori della cerchia dei teologi puntando su una polifonia dell’umano.
Il versante cattolico
Il quarto e il quinto capitolo narrano con vivacità e partecipazione la lunga marcia della teologia cattolica ‘con Tommaso e oltre Tommaso’, sfociata nella primavera conciliare del Vaticano II (cf. pp. 107-169). In un clima ufficiale di pesante sospetto verso la modernità e di prestigio della tradizione tomista come ‘philosophia perennis’ rilanciata dall’enciclica Aeterni Patris di Leone XIII nel 1879, il medioevo teologico viene riscoperto come fonte di rinnovamento da un gruppo di studiosi domenicani nel convento di Le Saulchoir in Belgio, guidati dallo storico medioevale Domini-que Chenu: il religioso francofono ritrova la passione divorante di Tommaso per la razionalità e parla di una ‘fides in statu scientiae’ collegando la ricerca teologica alla preghiera e alla vita religiosa, in un intenso credere pensando. Tommaso ridiventa esploratore del mistero, vero ‘doctor communis’ e il suo confratello, che dopo secoli con sofferta fatica l’ha estratto dalla ‘teca’ della scolastica barocca, parteciperà al Vaticano II come perito. Un altro domenicano francese, Yves Congar, parteciperà al concilio offrendo apporti decisivi sui temi della chiesa e della tradizione, approfonditi per silenziosi decenni con sensibilità ecumenica e apertura allo Spirito. Accomunato nella condanna al silenzio preconciliare e nella riabilitazione conciliare è anche un gruppo di gesuiti lionesi della cosiddetta nouvelle théologie, tra cui Jean Daniélou e Henri de Lubac, teologi per nulla rivoluziona-ri. Nei gesuiti di Lione-Fourvière il rinnovamento del pensiero cristiano corre su un doppio asse: il ritorno alle fonti bibliche e patristiche e il dialogo con il pensiero moderno.
Iniziative editoriali come la collana ‘Sources Chrétiennes’ si accompagnano a studi per un recupero della tradizione viva, come il volume Soprannaturale di de Lubac che sottolinea nel naturale una strutturale apertura all’assoluto come desiderio profondo e ‘ontologico’. Sempre tra i gesuiti non va dimenticata la grandiosa e audace interpretazione filosofico-teologica dell’universo in evoluzione proposta dal paleontologo Pierre Teilhard de Chardin, la cui lettura teleologica, in fondo altamente ingenua dell’evoluzione verso il ‘punto omega’, coglie il possibile rapporto tra la creazione e la cristologia in una interazione sorprendente, ma già intuibile in passi decisivi del NT. Nell’area di lingua tede-sca decisivi spunti in avanti tra le due guerre si possono cogliere nella teologia kerigmatica orientata alla predicazione, ad esempio nel gruppo di gesuiti di Innsbruck e nella complessa figura di Roma-no Guardini, animatore culturale e formidabile educatore della gioventù a cui regala il meglio di sé in una memorabile serie di letture dei grandi classici della cultura, da Socrate, Agostino e Dante a Pascal, Dostoevskij e Rilke, senza dimenticare il suo apporto al rinnovamento liturgico in una stagione sofferta ma vitalissima. A parte vanno menzionati due colossi del pensiero cattolico: lo svizzero Hans Urs von Balthasar incarna l’anima ‘patristica’ e in ultima analisi ‘platonica’ del cattolicesimo romano, il tedesco Karl Rahner si radica nell’eredità scolastica per pilotarne la fuoriuscita teoretica dallo orizzonte ne-otomista.
Il metodo del ‘tutto nel frammento’ porta il primo a dedicare numerose monografie d’alto livello a grandi figure della tradizione remota e recente, da Origene e Gregorio di Nissa a Barth, Guardini e de Lubac. Mai titolare di cattedra universitaria e neppure perito al Vaticano II, ‘la perso-na più colta del nostro tempo’ (a parere di de Lubac) lascia l’ordine dei gesuiti e con il medico Adrienne von Speyr fonda una sorta di ordine laicale, la Joannesgemeinschaft, con l’intenzione di dedicarsi alla pubblicazione delle esperienze mistiche della propria partner spirituale. Tra il 1960 e il 1987 Balthasar redige il suo opus magnum in quindici volumi, diviso in tre grandi parti (Gloria, Te-oDrammatica e TeoLogica) a partire dalla categoria della bellezza dichiaratamente ispirata al quarto vangelo. Il pensiero balthasariano resiste fieramente al tentativo di riassumerlo perché la struttura argomentativa è al servizio del compito ‘ostensivo’ della teologia: Ferrario ne dà tuttavia la traccia in tre pagine preziose. Anche sul pensiero frammentato di Karl Rahner è difficile prospettare una sintesi: tuttavia già in Uditori della parola (1941) appaiono importanti coordinate dell’impianto generale del pensiero del gesuita di Friburgo.
Nei sedici volumi di Saggi teologici manca un monumento paragonabile al-la Dogmatica di Barth o alla trilogia di Balthasar: Rahner vi sviluppa una interessante dottrina della grazia concepita come ‘esistenziale soprannaturale’ e la conseguente teoria, sottilmente annessioni-stica, del ‘cristianesimo anonimo’. Si mostra teologo del Vaticano II nel tentativo di porsi in dialogo con la modernità culturalmente e religiosamente plurale, in uno sforzo di fedeltà creativa. La goccia scava la roccia: alla luce del pensiero cattolico, pur tortuoso e tormentato, il concilio Vaticano II appare meno imprevedibile di quanto percepito dai contemporanei. Attrezzare la chiesa a far fronte alle nuove domande poste dalla storia è il sogno del vecchio papa Giovanni XXIII, sogno che si esprime nel termine aggiornamento. Alla fine, in quattro periodi, il sogno troverà concretizzazione con Paolo VI attraverso una maggioranza innovatrice in documenti finali che risulteranno talora soluzioni di compromesso per non sconfessare la battagliera minoranza conservatrice. Nonostante tutto, l’atmosfera conciliare è una ventata di aria nuova e permette svolte potenti nella liturgia, nell’ecclesiologia, nell’ecumenismo, nel rapporto con le religioni non cristiane e con il mondo contemporaneo. Il dialogo prosegue in sedi istituzionali, ma anche attraverso teologi come Hans Küng e Johann Baptist Metz. Negli anni settanta il dibattito cristologico trova, tra gli altri, un rap-presentante nel teologo belga Edward Schillebeeckx, già perito al concilio: l’esperienza fondamen-tale di Gesú sta nella consapevolezza di un rapporto assolutamente unico, di immediata vicinanza, con il Dio vissuto come abbà, papà. Nei massicci volumi del domenicano fiammingo la chiesa dei Paesi Bassi trova appoggio e ispirazione per il Nuovo catechismo come ‘magna charta’ del grande esperimento di riforma pastorale condotto sotto la guida del card. Alfrink. Roma non gradisce: con la nomina di vescovi conservatori e un sinodo romano che chiama a rapporto l’episcopato olandese nel gennaio del 1980 la primavera nordica finisce.
Dopo un cenno alla teologia italiana nel quarantennio postconciliare e alla monumentale Storia del concilio Vaticano II (sotto la guida di Giuseppe Alberigo), la conclusione del quinto capitolo confessa una profonda delusione per una stagione conciliare potenzialmente gravida di conseguenze ma sostanzialmente sconfitta e riassorbita dall’istituzione romana. Un analogo amaro giudizio viene espresso da Ferrario a p. 179 sulla conclusione della parabola della teologia latinoamericana della liberazione, definendo «una vera e propria mutazione genetica» della chiesa continentale la capillare e oculata politica di nomine di vescovi da parte di Roma.
Verso il Terzo Mondo
Siamo già nel capitolo sesto dedicato a Il Dio degli oppressi e delle oppresse, che oltre alla teologia latinoamericana dedica pagine interessanti alla teologia nera nordamericana, alla teologia africana e al pensiero delle donne. Si tratta di progetti teologici che si sviluppano in contesti letti come ‘il rovescio della storia’, dove il soggetto è l’oppresso, tendenzialmente negato proprio come sog-getto e dove le teologie si considerano riflessioni su di una specifica prassi di liberazione e politicamente militanti. Per la teologia latinoamericana, dopo la puntuale descrizione delle tre fasi e il pensiero specifico dei protagonisti in dialogo con l’analisi sociologica della realtà che rivela come sia difficile vivere la speranza cristiana, Ferrario ne sintetizza alcune affermazioni di fondo: a suo parere, senz’altro condivisibile, quelle linee direzionali resteranno comunque, perché non si tratta di mode ma del vangelo stesso. Negli Stati Uniti la lotta di liberazione degli afroamericani richiama una ricca tradizione di rilettura nera dell’esperienza cristiana, che ha il suo momento artistico negli Spiritual e l’ispirazione biblica nel Dio dell’esodo e di Gesú: dunque in un Dio schierato, partigiano. Nella teologia nera si coniugano progressivamente insieme la protesta anche violenta, la speran-za e la riconciliazione. Negli anni Settanta il Terzo Mondo si scopre soggetto teologico in una rete di contatti tra giovani studenti di teologia di tre continenti, interessati ai temi del contesto e dell’enfasi liberazionistica, ma con domande sull’aspetto interculturale e interconfessionale della teologia in relazione al messaggio cristiano, troppo a lungo annunciato in categorie europeo-occidentali.
Si prende coscienza dell’esistenza di una cultura africana sul piano etnico e politico, mentre l’Asia offre culture impregnate da tradizioni religiose antiche e ad altissimo livello di elaborazione, al punto da prospettarsi come uno dei laboratori più avanzati per la teologia cristiana delle religioni. La specificità dei contesti non è però l’unica sfida: ce n’è un’altra ancor più basilare, quella di genere, su cui lavorano le teologie femministe in un universo di episodi, figure e stili di pensiero. Due grandi correnti si collegano con la tradizione biblica e alla religione della Gran Madre. Un libro affascinante l’ha scritto Elisabeth Schlüssler Fiorenza, In memoria di lei (1983) nel tentativo di riscoprire il potenziale sovversivo dello strato più antico della rivelazione. S’accompagna una nuova enfasi sullo Spirito Santo, arricchendo l’immaginario con una cospicua serie di immagini bibliche femminili. Non mancano germogli sulla mariologia e sul ministero delle donne. Il settimo capitolo costringe a un passo indietro, rientrando momentaneamente in Europa per non dimenticare figure come Oscar Cullmann e Wolhfart Pannenberg, per i quali il tema della storia è centrale.
Il primo gode di una notevole recezione e simpatia nell’ambito italiano sia protestante che cattolico fin dalla prima, decisiva opera Cristo e il tempo, che si riallaccia marcatamente alla te-ologia di Luca. Anche la sua Cristologia del Nuovo Testamento offre un modello di grande interesse nel sottolineare la continuità tra il Gesú della storia e la fede della chiesa: l’esegesi cullmanniana si segnala a livello ecumenico ben oltre il volume su Pietro. In una ripresa del filone barthiano, Rive-lazione come storia è invece il manifesto del Circolo di Heidelberg riunito attorno al dogmatico luterano Wolfhart Pannenberg, per il quale la rivelazione è autorivelazione di Dio. Dio non si rivela in primo luogo nella parola bensì nella storia, del cui significato la parola rende conto in un intreccio in cui la parola non aggiunge nulla alla realtà storica. Dio risuscitando il Crocifisso lo presenta come prolessi del senso della storia universale: quanto è anticipato rinvia al compimento e quindi proietta la storia in avanti. L’interesse di Pannenberg si concentra sul rapporto tra teologia e filosofia nel tentativo di fondare lo statuto scientifico dell’impresa teologica in ordine a una plausibilità della fede. Nella maturità Pannenberg è tra i teologi più recepiti in ambito ecumenico e riesce inte-ressante tra i filosofi dialogando sulla necessità di un fondamento religioso delle strutture fonda-mentali della convivenza umana. Epistemologia e antropologia offrono materiale per opere importanti e nel 1988 appare il primo volume della Teologia sistematica, opera che prosegue con particolare ampiezza sulla ecclesiologia e il ministero presentata nel modo più consono possibile con le posizioni romane, ben conosciute dal teologo di Heidelberg, che resta un maestro forse inattuale, ma affascinante aldilà di ogni possibile critica evangelica.
Un’ulteriore figura di teologo meritevole di attenzione è senz’altro il riformato Jürgen Moltmann, che scopre una imprevista vocazione durante la tragedia della guerra e della lunga prigionia. L’interesse per le grandi domande della vita lo induce a leggere intensamente la Bibbia e, rientrato in Germania, decide di diventare pastore dopo aver sposato la compagna di corso Elisabeth Wendel. Dalla gente comune apprende le domande da cui nasce il testo innovatore Teologia della speranza decisivo per la chiamata universitaria a Tubinga. Il Dio crocifisso e La chiesa nella forza dello Spi-rito sono testi nutriti da esperienze culturali e spirituali nell’approfondire la valenza politica della fede cristiana e nel lasciarsi interpellare anche dal movimento ecumenico. La centralità del pensiero trinitario valorizza l’apporto della teologia ortodossa. In cinque rapide pagine Ferrario sintetizza i nuclei della proposta di Moltmann prima di una rapida puntata sul pensiero di Eberhard Jüngel, cre-sciuto nella DDR come esegeta animato da forte interesse sistematico, capace di muoversi tra Barth e Bultmann. La sua teologia si appunta sulla croce che rivela un Dio diverso dalle attese del pensiero religioso umano: la sconfitta e la morte sono dimensioni che entrano a far parte dell’essere stesso di Dio, capace di assumere come propria in Cristo la dimensione tragica della storia.
Dio mistero del mondo è l’opera sistematica più importante che rilegge la linea di Lutero attraverso Bonhoeffer in dialogo con la filosofia contemporanea. La sua proposta vigorosa si apre a un confronto ecume-nico coraggioso per una prassi ecclesiale spiritualmente responsabile. Tornando oltre Oceano tro-viamo la riflessione teologica statunitense che si sforza di unire l’eredità del Risveglio al carattere pragmatico anglosassone in ordine a dare risposte biblicamente responsabili alle questioni sociali percorse da forti risvolti pastorali. I movimenti che godono una stagione breve ma intensa di notorietà mondiale sono la teologia della morte di Dio (interpretazione distorta dell’ultimo Bonhoeffer) e la teologia del processo che tende ad aprire il cristianesimo alla pluralità delle manifestazioni del vero. La numerosa pattuglia di pensatori si richiama, pur con spunti originali, all’eredità di Paul Til-lich e mostra che, nonostante i reiterati de profundis, la domanda su Dio non cessa di inquietare e provocare la ragione.
Il Novecento Ortodosso
L’ottavo passaggio del libro porta la ‘novità’ del pensiero teologico ortodosso sintetizzato nel termine ‘Divinizzazione’. Pur intitolate semplicemente come Note, le venti pagine si rivelano pre-ziosa informazione su una riflessione cristiana che non ha, come l’Occidente, un padre comune in Agostino e proviene da un radicamento vitale nella vita di preghiera della chiesa, specie nella maestosa liturgia che inserisce anticipatamente l’uomo nell’eterna sovranità di Dio. Il dogma trinitario è il paradigma metodologico e spirituale della riflessione, che mantiene un accentuato carattere di lode e chiede all’Occidente un riequilibrio della cristologia con un recupero sullo Spirito Santo. Nel Novecento il revival teologico russo indica l’apporto di autori legati da un filo d’oro come Vladimir Solov’ëv nel dialogo tra Oriente e Occidente, Sergej Bulgakov per una teologia alla luce dell’incarnazione, Pavel Florenskij in una passione per l’unità, il suggestivo ecclesiologo Nikolaevi? Afanas’ev, Alexander Schmemann che si ritrova a ripensare la sobornost ormai in diaspora statunitense, analogamente a John Meyendorff e a Pavel Evdokimov mediatori del pensiero russo per l’Occidente.
La riflessione russa assume contorni ecologici e incidenza sociale anche in interessanti figure femminili come Maria Skobtsova, finita nelle camere a gas naziste per aver aiutato ebrei perseguitati. Nella facoltà teologica parigina di San Sergio circolano anche punti di vista più critici verso l’Occidente, come in Georgij Florovskij e Vladimir Losskij. Con il romeno Dimitru Staniloae la sintesi neo patristica si allarga oltre l’ambito russo. La teologia greca resta viva per quattro secoli sotto la dominazione ottomana per merito del monachesimo e della pietà popolare. All’inizio del Novecento movimenti religiosi come Zoè portano a un deciso ritorno alle fonti bibliche, patristiche e liturgiche, in analogia a quanto accade nel cattolicesimo e nel risveglio protestante. Christos Yannaras e Ioannis Zizioulas sono figure emergenti, specie il secondo per l’ecclesiologia eucaristica apprezzata in ambito ecumenico. Ufficialmente partecipi del movimento ecumenico le chiese ortodosse offrono teologi come Nikos Nissiotis, capace di avvicinare l’eredità patristica al personalismo cristiano, ma incontrano progressive difficoltà nell’affrontare nella fede società pluraliste, fino ad avvicinarsi alla chiesa cattolica romana su temi ‘eticamente sensibili’. Una sana critica alla modernità assolutizzata può rivelarsi apporto prezioso delle chiese ortodosse, a patto che realisticamente lo sguardo credente sia ormai rivolto in a-vanti ad un futuro mondiale in cui le chiese saranno minoranza.
Sempre avanti
Perciò il dibattito continua all’alba del terzo millennio cristiano: ne dà testimonianza l’ultimo segmento del libro (pp. 257-281) che segnala lo spostamento del baricentro nelle giovani chiese d’Africa e d’Asia, quasi ‘quarta famiglia’ accanto alle tre confessioni consolidatesi nel secondo millennio. Vanno almeno segnalati alcuni fenomeni in corso. In Europa il dibattito sulle facoltà teologiche nelle Università tende a sostituirle con dipartimenti di scienze religiose e con l’emergere di nuovi stili di ricerca. Il pluralismo religioso chiede alle chiese di valutare teologicamente le altre re-ligioni come attivamente coinvolte nel progetto di Dio: tra i tentativi di risposta la valorizzazione della teologia dello Spirito Santo e un riscoperto teocentrismo sembrano permettere una compren-sione simpatetica delle religioni, pur con obiezioni di notevole rilievo. In tale contesto merita un cenno la riflessione del gesuita belga p. Jacques Dupuis nell’accogliere le nuove istanze religiose. Anche la ricerca biblica esprime nuove tendenze con l’odierna ‘terza ricerca’ di Gesú, che persegue un approccio storico e comparativo, coinvolgendo studiosi ebrei.
La ricerca tende a separare la dimensione storica da quella teologica, in una ripresa del costante problema del rapporto tra Gesú sto-rico e Cristo della fede, tra storia e annuncio. Infine la teologia pentecostale ed evangelicale riporta l’enfasi sulla fede personalmente vissuta in liturgie molto partecipate, togliendo la priorità all’elaborazione intellettuale tipica di ambienti accademici. In tali ambienti importanza paradigmatica assume la narrazione di Luca dell’azione dello Spirito negli Atti degli apostoli: porta al ‘battesimo di Spirito santo’, al dono delle lingue e al dono di guarigione. Probabilmente questa forma cri-stiana determinerà le sorti del cristianesimo: In particolare la linea evangelicale traccia uno stile di pensiero trasversale e differenziato che si ritrova nell’esigenza difensiva di una chiarezza dottrinale contro una temuta svendita della fede cristiana alla modernità. A conclusione Ferrario afferma che la teologia è stata pubblica quando è stata ecclesiale nel tentativo di dare supporto critico alla comunità cristiana nell’annunciare l’evangelo nel mondo, nel dire significativamente la morte e la risurrezione del suo Signore nell’attesa della sua venuta. Le quindici pagine di indicazioni bibliografiche, per lo più in lingua italiana, sono pure una garanzia di serietà comunicativa per chi desidera iniziare una ricerca personale su tappe, autori e movimenti che hanno offerto l’oggetto di una splendida narrazione de La teologia del Novecento.
Lo spazio dedicato alla fatica del docente della Facoltà valdese di Roma sembrerà senz’altro eccessivo per chi non ha letto le 300 pagine. Chi l’ha percorso due volte con un pizzico di entusia-smo ritiene invece di non aver reso pienamente onore alla fatica di un collega più giovane che sa accompagnare la vicenda teologica del Novecento con la ‘letizia’ tanto augurata da Barth. La probabile fretta dell’ultima parte ha permesso qualche errore di stampa, comprensibile ma un po’ pesante: ad esempio, al centro di p. 240 il computer intelligente (!) ha corretto in ‘farmaco di immoralità’ (sic!) l’espressione di Ignazio di Antiochia sul sacramento; nella terza riga di p. 271 manca un aggettivo capace di dare senso all’affermazione che segue. Ma nel complesso va detto un grande grazie anche all’editrice Carocci per la chiarezza della stampa di pagine fittissime di autori dai nomi stranieri e dai titoli non sempre semplici. All’autore va ribadito l’augurio iniziale che tanti lettori (non solo studenti dei corsi teologici) possano scoprire e gustare l’avventura teologica del Novecen-to attraverso il suo sforzo comunicativo non comune e sempre rispettoso.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 2/2011
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
Non è certo la prima volta che segnaliamo – e sempre con grande apprezzamento - testi di Fulvio Ferrario, docente presso la Facoltà Teologica Valdese e presso l’ISE “S.Bernardino”, nonché direttore della rivista “Protestantesimo”. La sua produzione – della quale ricordiamo in modo particolare opere come Dio nella Parola. Frammenti di teologia dogmatica I e Teologia come preghiera - è ampia e stimolante e intreccia la riflessione sistematica con l’attenzione per alcuni testi di riferimento della fede cristiana.
Il volume che presentiamo si inserisce in essa, ma con alcune caratteristiche particolari, dedicato com’è ad una presentazione delle principali traiettorie teologiche che hanno caratterizzato un secolo complesso qual è stato il Novecento. Un lavoro, dunque, di storia della teologia – un genere letterario esigente, che chiede a chi vi si cimenta una capacità di confronto con pensatori assai diversi, come stile e come linea di riflessione. L’autore si trova così stretto tra due rischi: quello dell’erudizione minuziosa, che soffoca il lettore sotto una farraginosa montagna di dettagli, e quello della superficialità, che non riesce a rendere adeguatamente conto della ricchezza dei pensatori trattati.
Rischi e difficoltà che vengono, però, qui segnalati solo per esprimere in modo più chiaro – per contrasto - il piacere provato nella lettura del testo di Ferrario, che riesce ad essere assieme agile e puntuale, simpatetico nella presentazione della materia, ma anche rigoroso e non parco di segnalazioni quanto a snodi critici e problematicità. Tramite il volume che egli ci offre il lettore viene, infatti, efficacemente introdotto a quella vera e propria lotta del pensiero che ha visto la teologia del secolo appena concluso misurarsi con il Dio vivente e con la sua Parola, in un tempo di profondo mutamento degli scenari culturali. È, dunque, un’esposizione che si concentra su quella che diremmo la produzione della teologia sistematica, senza avventurarsi in aree come la teologia pastorale o l’etica teologica. La scansione cronologica muove dalla “teologia liberale” del primo ‘Novecento, per affrontare immediatamente la grande stagione della “teologia dialettica”, soffermandosi in modo particolarmente ampio su Karl Barth (pur senza certo dimenticare Bonhoeffer e Bultmann), e giunge a figure e movimenti che fanno parte della contemporaneità (si pensi alla teologia del pluralismo religioso, a pensatori come J.Moltmann o al pensiero postliberale americano).
I riferimenti su cui si articola l’asse principale di tale traiettoria - che si distende attraverso i primi sette capitoli del volume - sono prevalentemente a pensatori del cristianesimo d’Occidente, in un disegno che si completa con il nono, che getta uno sguardo ad alcuni temi critici per il futuro del pensiero teologico. Trova spazio al suo interno anche una considerazione delle teologie contestuali, che si sofferma sulle teologie della liberazione (con riferimenti in particolare a Boff e Sobrino), come sull’elaborazione legata alla riflessione teologica delle donne (da M. Daly ad E. Schlüsser Fiorenza e R. Radford Ruether, fin a E. Johnson) e sulla teologia nera (J. Cone). Costante da parte Ferrario l’attenzione ad un’introduzione efficace ai nodi teologici che tali autori evidenziano, al contributo positivo che essi portano ad una miglior comprensione del volto di Dio, anche quando si avverte che le soluzioni da essi proposte sono distanti dalla sua prospettiva (e penso, ad esempio, ad autori come R. Harnack, P. Tillich o W. Pannenberg, per citare tre nomi assai diversi nella storia della teologia protestante novecentesca)
A completare – in modo forse un po’ essenziale - il panorama confessionale provvede poi l’ottavo capitolo, dedicato all’ortodossia; essa viene evidentemente colta in una singolarità caratterizzata nel Novecento da movimenti di pensiero con dinamiche differenti da quelli delle altre due confessioni cristiane – anche se forse si sarebbe potuto sottolineare maggiormente la sua interazione (talvolta critica) con la riflessione cattolica. Da pensatori come Solov’ev e Afanassiev la trattazione giunge ad autori recenti come Yannaras e Zizioulas, a disegnare efficacemente il profondo rinnovamento che ha caratterizzato un pensiero che pure si caratterizza per la sua attenzione ad alcune grandi categorie tradizionali (non a caso richiamate nelle prime pagine del capitolo). Significativa è pure la considerazione del coinvolgimento di alcuni di essi nel movimento ecumenico, cui peraltro viene dedicata un’attenzione che attraversa l’intero volume e che non omette di segnalare il valore teologico di testi e movimenti. Articolata la considerazione della ricerca condotta nel Novecento dalla teologica cattolica, con uno sguardo che muove dai fermenti di inizio secolo, per esaminare in modo particolarmente approfondito il pensiero che ha accompagnato la stagione conciliare del Vaticano II – prima e dopo di essa. Autori come Y. Congar, H. De Lubac, K. Rahner, von H.U. Balthasar, H. Küng, solo per citare alcuni nomi, vengono presentati in modo attento e puntuale, anche se in alcuni casi (come per E. Schilleebeckx) si ha l’impressione di una concentrazione su quegli aspetti del pensiero che più sono stati oggetto di controversia. Una grande e positiva attenzione viene però dedicata soprattutto al confronto con lo stesso evento conciliare e con i testi fondamentali in cui esso si è espresso.
Qui, infatti, Ferrario individua una svolta incisiva nell’approccio cattolico, capace di aprire importanti prospettive anche per il dialogo ecumenico. Altrettanto forte è, però, l’interrogativo, che più volte ritorna nelle pagine dedicate al cattolicesimo, circa il futuro di tale svolta, che lo stesso Ferrario vede interpretata in modo assai problematico dal Magistero dei decenni successivi, tanto da far pensare in alcuni passaggi che egli la ritenga incompatibile con lo stesso quadro istituzionale della Chiesa cattolica. La prospettiva dello storico della teologia si intreccia qui con quella del teologo evangelico, che non rinuncia a porre domande significative per il confronto ecumenico – anche se non sempre il lettore cattolico potrà condividere le prospettive cui egli guarda in quest’ambito. Gli interrogativi che si potranno porre all’opera riguarderanno piuttosto alcune scelte, legate certo in parte ad esigenze di spazio, in un volume che intenzionalmente intende caratterizzarsi anche per una buona leggibilità.
Piacerebbe una maggior attenzione per la teologia italiana, che viene in primo piano solo in relazione a quegli autori evangelici che “recepiscono” la riflessione di K.Barth (evidentemente per Ferrario un punto di riferimento centrale per il ‘Novecento teologico) ed alla “scuola milanese”, oltreché alle numerose traduzioni che la mettono in contatto col pensiero europeo, mentre avrebbero forse meritato almeno qualche cenno autori come L. Sartori o S. Dianich. La loro elaborazione si colloca, del resto, in primo luogo in un ambito - quello della riflessione ecclesiologica cattolica - cui forse avrebbe potuto essere dedicata un’attenzione più ampia nel testo (e lo stesso vale per il ripensamento del concetto di sacramento). Chi scrive avrebbe pure apprezzato una maggior considerazione per quella ripresa della teologia della creazione che ha caratterizzato il tardo Novecento e che ha trovato espressione nella riflessione sull’ecologia (appena citata anche in relazione a J. Moltmann, che pure l’ha assunta come componente fondamentale del suo pensiero) e nel dialogo col mondo scientifico (accennato solo in relazione a P. Teilhard de Chardin e W. Pannenberg).
Ma si tratta forse di esigenze eccessive nei confronti di un volume che ha tra i suoi pregi proprio anche un senso dell’essenzialità nella trattazione. Ferrario ci offre, così, un testo che sarà utile allo studioso di teologia, ma che potrà essere fruttuosamente affrontato anche dal lettore meno dotato di competenze specifiche. Ci offre soprattutto una buona introduzione storica a quella riflessione che - nel secolo appena concluso, come nel presente - tenacemente continua a “pensare, nella chiesa e con la chiesa, la fede: senza complessi e, come amava dire Karl Barth, con letizia” (dal cap.9).
Tratto dalla rivista "Studi Ecumenici" n. 1/2012
(http://www.isevenezia.it)
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