Islam ed Europa. I simboli religiosi nei diritti del vecchio continente
(Università)EAN 9788843036660
L’agile volume curato da Silvio Ferrari, docente di Diritto canonico e di Relazioni tra Stati e Confessioni religiose nelle Università di Milano e Lovanio, si inserisce nell’attuale dibattito – non privo di polemiche – sul rapporto tra laicità e religioni. In modo particolare, l’attenzione è focalizzata sulla libertà di espressione religiosa mediante i simboli (la croce, il velo islamico…). Sono sei i capitoli di questo libro: Lo statuto giuridico dell’islam in Europa occidentale (di Silvio Ferrari, pp. 17-62); Il velo scoperto dalla legge: profili di giurisprudenza costituzionale comparata (di Jörg Luther, pp. 63-929); Velo musulmano e laicità francese: una difficile integrazione (di Alessandro Ferrari, pp. 93-132); La legge francese sui simboli religiosi un anno dopo (di Francesco Margiotta Broglio, pp. 133-142); Il problema del velo islamico in Spagna (di Augustín Motilla, pp. 143-156); La laicità “italiana” alla prova del crocifisso (di Paolo Stefani, pp. 157- 188).
Si aggiungono l’Introduzione, a firma del curatore (pp. 11-16), e la Bibliografia (pp. 188-189). L’islam è presente da sempre in Europa e solamente oggi ritorna in modo acceso la discussione sul dialogo tra fede e laicità, tra religione e stato. Il pluralismo religioso investe il Vecchio continente e trova impreparati al dialogo sia i cittadini sia i credenti. Sicuramente, la presenza dell’islam costituisce un importante banco di prova per il costituzionalismo europeo. L’Europa deve dimostrarsi capace di credere al dialogo e al rispetto delle differenze. Attraverso il prisma del velo musulmano, che tanto ha fatto scrivere di sé, si vuole, in questo libro, proporre un’occasione per riflettere in modo più ampio sul rapporto cristianesimo-islamlaicità in Europa. Spesso, il principio di laicità dello stato si scontra con il diritto alla libertà religiosa. Le pagine qui raccolte ne sono una valida ed efficace dichiarazione: sia in rapporto al crocifisso nelle scuole (simbolo solamente religioso, di una fede e/o anche dell’identità di un paese come l’Italia?), sia in rapporto al velo delle donne. È necessario ricostruire le regole che guidano la collaborazione tra stato e confessioni religiose.
Si tratta di definire criteri di natura non solo religiosa e teologica o spirituale, bensì di valore giuridico-normativo e sociopolitico. Importante una conclusione dello stesso curatore del libro: «La presenza delle comunità musulmane non pone problemi giuridicamente insolubili né, a ben guardare, particolarmente nuovi. In base alle esperienze maturate nel rapporto con altre religioni, gli ordinamenti giuridici dei paesi europei dispongono degli strumenti necessari per affrontare e risolvere gran parte delle questioni che sono state indicate in precedenza» (p. 57).
Tratto dalla rivista Asprenas n. 1-2/2010
(http://www.pftim.it)
La scuola, in quanto istituzione pubblica in cui convivono alunni e insegnanti che fanno parte di differenti comunità etniche, culturali e religiose, è uno dei luoghi in cui il problema dei simboli religiosi ha acquistato maggiore risonanza e visibilità. Silvio Ferrari, nell' Introduzione, si domanda: «perché la questione dei simboli religiosi ha acquistato oggi un rilievo così significativo?» (p. 11). Le risposte - egli dice - sono «molteplici [...], come il ritorno delle religioni sulla scena pubblica, il declino delle grandi ideologie secolari, il multiculturalismo e la globalizzazione» (ibid.). Queste spiegazioni - afferma - «convergono nel porre in luce la frammentazione comunitaria della società contemporanea, l'acuta necessità di simboli che esprimano l'identità di queste comunità e la capacità delle religioni di fornirli» (ibid.).
Si domanda inoltre se «l'eliminazione del crocifisso (e di ogni altro simbolo religioso) è l'unica strada per garantire la libertà religiosa di studenti e docenti (nonché la laicità della scuola) oppure se altre opzioni siano possibili» (p. 13). «A mio giudizio - scrive - né la laicità dello Stato né il rispetto della libertà religiosa conducono come soluzione obbligata alla rimozione del crocifisso e alla proibizione dell'esposizione di qualsiasi simbolo religioso a scuola» (ibid.). Nello scritto Lo statuto giuridico dell'Islam in Europa occidentale, Silvio Ferrari analizza la strada che può essere percorsa per assicurare un'equilibrata integrazione delle comunità musulmane nel sistema giuridico europeo. Osserva che le questioni sollevate dalla presenza di crescenti comunità musulmane non richiedono di ricevere una soluzione uniforme in tutti i paesi dell'Unione europea: «quando - scrive - non incidono sulla piattaforma di diritti e doveri comuni, che debbono essere rispettati in tutti gli Stati membri, esse possono venire disciplinate in termini differenti nei singoli ordinamenti giuridici nazionali » (p. 37). Riconosce che, tra i problemi concreti che interessano tutte le comunità musulmane presenti in Europa, il più importante è la costruzione dei luoghi di culto.
Riconosce altresì che sotto un profilo più strettamente giuridico la possibilità per i fedeli di riunirsi per pregare è esplicitamente prevista come parte essenziale del diritto di libertà religiosa nell'art. 6 della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione ed è riconosciuta, come parte di questo stesso diritto, da tutte le legislazioni dei paesi dell'Unione europea. «L'edificazione - scrive - e il mantenimento dei propri edifici di culto discende da quei diritti fondamentali di libertà religiosa che spettano a tutte le persone residenti in Europa e che non possono essere violati né direttamente né indirettamente» (p. 42). Ammette che l'apertura di luoghi di culto cristiani è proibita in alcuni paesi musulmani. Osserva che «la grande maggioranza dei giuristi concorda nel ritenere che, in materia di diritti fondamentali della persona umana, non si possa applicare il principio di reciprocità» (p. 42, n. 50). Rileva che «in tema di costruzione dei luoghi di culto, disponibilità di reparti separati nei cimiteri, assistenza spirituale, macellazione rituale, fornitura di cibo non contrastante con le prescrizioni religiose, le legislazioni di molti paesi europei non richiedono di essere modificate (se non in punti particolari) ma di essere applicate con equanimita Á e lungimiranza» (pp. 57-58). Conclude che la necessità di assicurare queste libertà fondamentali è pressante; non così, invece, per l'insegnamento della religione musulmana nelle scuole pubbliche e per le questioni connesse allo statuto delle persone e al diritto di famiglia, non essendo ancora conclusa la fase della sperimentazione e della ricerca.
Jorg Luther, nello scritto il velo scoperto dalla legge: profili di giurisprudenza costituzionale comparata, prendendo spunto dal caso della tirocinante per il diploma di educatrice di asilo nido, Fatima Mouayche, respinta da una scuola privata di Ivrea perché indossava il velo islamico, che ha fatto emergere anche in Italia una problematica che già da tempo dà luogo a numerose controversie giuridiche e con¯itti politici anche in altri paesi dell'Europa e del mondo, rileva che «la comparazione giuridica può aiutare a trovare un giudizio adeguato non solo per questo caso, ma anche a riflettere sullo stato attuale della cultura dei diritti fondamentali in questi paesi e sul ruolo centrale della libertà di coscienza nei rapporti tra diritto e religione in un'Europa la cui unione si accinge a dichiarare come valori fondamentali della propria Costituzione ``pluralismo, tolleranza, giustizia, solidarietà e non-discriminazione'' (art. 1-2 del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, TCUE)» (p. 63). Ricorda che l'uso del velo «fa parte sia delle ``pratiche'' mediante le quali si manifesta la propria religione o il proprio credo, sia degli atti di espressione e comunicazione di idee, cioè entra nell'ambito di applicazione delle garanzie europee della libertà religiosa e di espressione (artt. 9, 10 CEDU, artt. II-10, II TCUE)» (p. 88). Alessandro Ferrari, nello scritto Velo musulmano e laicità francese: una difficile integrazione, osserva che nel 1989, bicentenario della Rivoluzione francese, tre giovani collegiali decidevano di indossare il velo. Osserva inoltre che il Consiglio di Stato, interpellato in proposito, escludeva l'esistenza di incompatibilità tra laicità e ostensione dei segni religiosi e, nel corso degli anni, il più delle volte, ha annullato le esclusioni decise dall'autorità scolastica; rileva che nei casi in cui esso ha legittimato le decisioni prese dalla pubblica amministrazione si è servito di argomenti riferiti al rischio per la salute o per la sicurezza delle studentesse.
Sottolinea che all'orientamento del Consiglio di Stato si è progressivamente sostituita una concezione opposta, che, richiamandosi alla laicità , ``essenza della Repubblica'', ha vietato il velo nella scuola pubblica (Legge 228/2004, pubblicata sul ``Journal Officiel'' del 17 marzo 2004). E conclude: «Certamente, la legge ha privilegiato una pedagogia forzosa nei confronti della comunità musulmana accettando il rischio di diseducare un'intera società alla convivenza con gli ``Altri''. Certamente, essa ben esprime il richiamo del monismo unitario, delle sue ``soluzioni finali'', così seducenti nei momenti di crisi. Ciononostante, [...] tale legge costituisce anche un'occasione, [...] per un atto di umiltà , per una comune interrogazione su come i simboli del vecchio continente, come la laicità , il liberalismo, la democrazia, contribuiscano davvero a dar vita a quella società plurale che tanto promettono» (p. 132). Francesco Margiotta Broglio, nello scritto La legge francese sui simboli religiosi un anno dopo, osserva che «non sembra che l'applicazione della legge stessa abbia, però , provocato troppe catastrofi. I casi di studentesse che, dopo il dialogo con le autorità scolastiche, abbiano insistito nell'indossare il velo e siano, quindi, state allontanate dagli istituti, sarebbero veramente pochi» (p. 139).
Agustìn Motilla, nello scritto Il problema del velo islamico in Spagna, rileva che il Consiglio dell'educazione della comunità autonoma di Madrid ha ordinato alla direttrice della scuola pubblica Juan di Herrera di El Escorial l'ammissione della bambina marocchina Fatima Ledrisse con l'hijab, in nome del prioritario diritto all'educazione della bambina e del rispetto dell'identità culturale della minorenne. L'autore è dell'avviso che l'hijab «debba essere consentito in nome del rispetto del diritto di espressione e di manifestazione dell'identita Á religiosa e culturale dell'alunno» (p. 149). Anche l'insegnante può indossare il foulard islamico nella scuola pubblica. «Indossare un foulard, infatti, non può essere automaticamente considerato come una violazione dei doveri propri dei funzionari pubblici né può essere interpretato come prova dell'inadeguatezza dell'insegnante ad adempiere la propria missione» (pp. 151- 152). Per quanto riguarda il foulard islamico nelle relazioni lavorative, Motilla sottolinea che nel diritto spagnolo le poche decisioni giurisprudenziali si ispirano al criterio di rispettare la libertà religiosa del lavoratore fintanto che essa non pregiudichi l'attività dell'impresa. Per quanto riguarda il foulard islamico e la sicurezza pubblica, Motilla osserva che nel diritto spagnolo la normativa che stabilisce le caratteristiche delle fotografie da allegare alla Carta d'identità e al passaporto esige che il titolare sia ripreso con la testa scoperta. Tuttavia, fonti del ministero dell'Interno hanno confermato che, nella pratica, fotografie con foulard islamico sono ammesse sia per la carta d'identità sia per il rilascio del passaporto e del biglietto di identificazione degli stranieri. Infine Paolo Stefanì, nello scritto La laicità ``italiana'' alla prova del croci- fisso, prendendo spunto dall'ordinanza cautelare emessa dal Tribunale di l'Aquila, con la quale si ordinava la rimozione del crocifisso dalle aule della scuola materna di Ofena, frequentata dai figli di Adel Smith, rappresentante dell'Unione musulmani italiani, la meno rappresentativa del mondo islamico in Italia, osserva: la questione del crocifisso nei locali pubblici «è stata posta da un ``musulmano''[...]. Se ne è fatta una ``questione politica'', che ha finito per assumere le sembianze dello ``scontro di civiltà ''. Non si è minimamente considerato che Adel Smith non è rappresentante dell'islam italiano, non è cittadino di paesi a fondamentalismo islamico, bensì cittadino italiano; che la questione andava affrontata in termini molto meno altisonanti» (p. 164).
L'autore è dell'avviso che la presenza del crocifisso in un'aula scolastica «non sia elemento di pregiudizio della coscienza della persona» (p. 167). Il problema - egli dice - «non è se il crocifisso rappresenti o no una lesione della libertà religiosa o di coscienza, quanto se esso, o meglio la sua esposizione nei locali della scuola pubblica, sia o no compatibile con la laicità dello Stato» (pp. 169-170). Ciò che connota il principio di laicità - sottolinea - «è che esso si pone a garanzia della distinzione-separazione fra politica e religione, nel rispetto delle dimensioni distinte dell'esistenza umana» (pp.171-172). Ne conseguono - sottolinea inoltre - due principi fondamentali: «la distinzione degli ordini, religioso e secolare (Corte cost. 8 ottobre 1996, n. 334), correlato alla necessità della non identificazione religiosa dell'agire politico, e quello dell'aconfessianalità dello Stato» (p. 172). L'autore conclude auspicando che «la laicità , emancipata da un riferimento esclusivo alla problematica delle fonti del diritto, possa divenire fondamento dell'attività politica di un potere politico che si riappropri della sua capacità di scelte di politica ecclesiastica, tramite le quali porre a fondamento del proprio operato i valori della laicità , della libertà religiosa e dell'uguaglianza dei cittadini in materia religiosa» (p. 187).
Tratto dalla rivista "Sapienza. Rivista di Filosofia e di Teologia" n. 2/2010
(http://www.edi.na.it)