Pistolero intellettuale, pecora nera di una ricca famiglia di fabbricanti di calcolatrici, disinfestatore di blatte e cimici, pittore a mano armata, esule uxoricida, tossico impenitente, profeta della paranoia, esploratore del queer, protagonista di oracolari cammei cinematografici e - soprattutto - autore di alcuni dei più stranianti romanzi sperimentali della letteratura americana: se è vero che ogni uomo vive molte vite durante la sua esistenza, quelle di William Burroughs sono state di più. Un percorso composto di ombre e misteri, ma che Burroughs ha costellato continuamente di confessioni pubbliche, colloqui con la stampa, partecipazioni a tavole rotonde e registrazioni radiofoniche. Lui, che notoriamente «odiava rilasciare interviste». Curata dal critico Sylvère Lotringer, la raccolta delle "Interviste" di William Burroughs è una vera e propria controstoria privata del secondo Novecento americano, raccontata in presa diretta dalla viva voce di uno dei suoi più provocatori protagonisti: dalle conversazioni con i sodali di sempre Allen Ginsberg, Gregory Corso e Brion Gysin agli incontri memorabili con David Bowie, Tennessee Williams, Christopher Isherwood e Patti Smith, dall'analisi delle proteste del Sessantotto alle prese di posizione di fronte all'esplodere dell'epidemia dell'Aids, dalle rivelazioni sulle proprie tecniche di scrittura alla confessione delle paure per il futuro. "Interviste" è allo stesso tempo un documento letterario fondamentale e un memoir involontario, parcellizzato nel tempo. Risposta dopo risposta, battuta dopo battuta, Burroughs ci conduce negli abissi della sua anima tormentata e delle sue inquietanti visioni lisergiche, costringendoci a guardare in faccia, in un incubo senza fine, i centopiedi giganti, i poliziotti Nova, gli Esaminatori e i Moscibecchi che ancora oggi abitano la nostra società.