Chiesa e salvezza. L'Extra Ecclesiam nulla salus in epoca patristica
(Missiologia)EAN 9788840160160
Segnaliamo questa ricerca scientifica perché la tematica permette di non dimenticare il problema che sottende la pastoralità della liturgia e la sua stessa “teodicea”, almeno nell’istanza di chi si interroga e in quella di chi tenta una risposta. Quei pochi o molti che ancora s’interrogano sulla salvezza la relazionano a Cristo e non certo alla sua Chiesa: un cristianesimo cristologico più che ecclesiale. Cristo è il Salvatore. Una risonanza liturgica non può che essere quella della nullità liturgica. «Extra liturgiam salus, sicut extra ecclesiam Salvator». La personale adesione a Cristo vanifica ogni dimensione liturgica della condivisione salvifica con Cristo. Anche da questo punto di vista questa pubblicazione è preziosa. Come è attuale la sua tematica.
«Lapidaria nella sua enunciazione la formula extra Ecclesiam nulla salus incombe minacciosa nei dialoghi col pubblico, oltre che nelle accademie teologiche (recentemente ne ha parlato V. Mancuso su “la Repubblica”)» (G. Ravasi, sul Domenicale de «il Sole 24 ore»). Come rileva anche l’autrice: «Il pluralismo che contrassegna il nostro tempo pone in discussione l’unicità e l’universalità della mediazione salvifica di Cristo e, conseguentemente, la stessa funzione mediatrice della Chiesa». Lo fanno anche altri recenti e qualificati contributi, come: B. Sesboüé, Fuori della Chiesa nessuna salvezza. Storia di una formula e problemi di interpretazione, San Paolo, Cinisello B. (Mi) 2009; T. Söding, Gesù e la Chiesa, Queriniana, Brescia 2008 e G. Canobbio, «Nessuna salvezza fuori della Chiesa», Queriniana, Brescia 2009: le copertine di queste due pubblicazioni figurano la Chiesa come barca: quella nel Nuovo Testamento con Gesù in primo piano per Söding (lascia pensare a un’alleanza salvifica in Gesù Cristo e nella sua Chiesa?); sulla copertina di Canobbio un Noè che alla finestra dell’arca attende la colomba e su quella della Mazzolini un’arca sicura per i suoi naviganti in pieno diluvio mentre altri tentano una salvezza su un’altra barca o su quell’ultimo lembo di terra ferma: ambedue le figure di un’alleanza più universale come quella noachica e quindi con un altro modello di Chiesa? Le copertine lasciano spiare il testo? Certo, se scelte dagli autori o da una redazione che li consapevolizza nella scelta.
La lettura di questa ricerca richiede attenzione non solo per la complessità del tema, ma anche per la scrittura ampia, dalla frase lunga, dalla concettualizzazione e dalla tematizzazione che prevale sull’evidenziazione dei risultati (caratteristiche richieste da esigenze dogmatiche e dal suo genere letterario?). Per il resto, non potendo addentrarci nello specifico dell’opera, almeno la presentiamo con quel che in IV di copertina si fa vetrina: «Nella prospettiva dello sviluppo e dell’interpretazione della dottrina dogmatica e dei modelli ecclesiologici, lo studio – basato sulle fonti e su una correlata bibliografia ad hoc – individua le radici dell’assioma risalendo al pensiero di importanti autori cristiani dei primi secoli. Emergono e si precisano così significative coordinate di fondo che puntualizzano progressivamente la natura e la missione della Chiesa. Di non poco conto è soprattutto la rilevanza del contesto ecclesiale, che incide anche sul pensiero degli autori di riferimento riguardante la Chiesa e la sua mediazione salvifica».
Tratto da "Letteratura liturgica" n. 5/2009 della "Rivista liturgica"
(http://www.rivistaliturgica.it)
L’interessante saggio di Sandra Mazzolini, docente di ecclesiologia presso la Pontificia Università Urbaniana, riprende uno dei temi più studiati dalla teologia contemporanea: il problema della salvezza dei non battezzati e l’identità- natura e missione della chiesa. La formula extra ecclesiam nulla salus è stata oramai scandagliata da più fronti e prospettive: in ambito ecumenico, interreligioso, teologico-sistematico, storico-patristico e filologico. Dunque, cosa apporta di nuovo la presente ricerca? Il testo è suddiviso in due parti non pienamente bilanciate. Infatti, la prima – la più interessante – è di appena 45 pagine e riguarda il Vaticano II (prospettive ecclesiologiche, ermeneutica e richiami metodologici), mentre la seconda affronta in modo più sistematico e storico-critico il lemma extra ecclesiam nulla salus in ambito patristico, e comprende più di 200 pagine. I risultati della seconda parte sono ben noti agli esperti di ecclesiologia, e l’autrice sinteticamente li raccoglie nella conclusione: «Un primo elemento posto in rilievo dai padri è la coestensività della chiesa con la storia della salvezza, concepita come l’organico succedersi di tappe differenti che prendono il loro punto di avvio dalla creazione, trovano il loro compimento nell’evento di Gesù Cristo e il loro fine nella consumazione escatologica.
La chiesa, illustrata altresì da Origene come una realtà preesistente alla stessa creazione, è presente con forme e modalità differenti nella storia degli uomini e delle donne; essa è una realtà complessa e dinamica, come bene illustrano le immagini della chiesa popolo di Dio e corpo di Cristo. I contenuti ecclesiologici che queste due figure bibliche implicano sono variamente sviluppati dagli autori presi in considerazione, che ne condividono però un impiego per significare la presenza e la crescita della chiesa nella globalità della storia della salvezza, che nella prospettiva dei padri coincide tout court con la storia umana, la sua origine, la sua destinazione universale, contrapponendosi a ogni tentativo di ridurre la chiesa a una determinata fase storica o a una peculiare esperienza ecclesiale, come accade nel caso delle sette ereticali e scismatiche in generale e in particolare in quello della Chiesa donatista […]. La progressiva attenzione alla storicità della chiesa, ovvero alla sua intrinseca relazione con le diverse tappe della historia salutis, conosce in Agostino una significativa tematizzazione, che può essere delineata sulla falsariga delle note della chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica.
Nell’ottica del rapporto tra la chiesa e la salvezza, in quanto cifra dell’identità ecclesiale e della sua presenza nella storia umana, tali note illustrano in maniera non secondaria ciò che la chiesa è e ciò che la chiesa opera. Unità, cattolicità, apostolicità, santità acquistano accentuazioni differenti, ma la linea di tendenza ravvisabile è quella di un disegno sempre più ampio e complesso di relazioni, che trovano un loro riscontro anche nella concreta configurazione istituzionale e societaria del modello ecclesiologico di riferimento» (pp. 283-284). Mentre Origene, Cipriano e Agostino recepiscono originalmente e con accentuazioni specifiche i dati della tradizione antecedente – condensandoli, appunto, in differenti formalizzazioni dell’asserto extra ecclesiam nulla salus, che essi adoperano anche nella prospettiva di contesti ecclesiali ed ecclesiologici specifici –, Fulgenzio di Ruspe riprende la formula, decontestualizzandola e, simultaneamente, contestualizzandola nell’orizzonte di una professione di fede. In tal modo, la formula sarà recepita e impiegata successivamente, confluendo anche in testi magisteriali di differente grado.
Della prima parte merita attenzione il paragrafo dedicato agli elementi per un’ermeneutica conciliare. L’autrice offre degli ottimi suggerimenti in ambito metodologico. «In tale ottica, il Concilio Vaticano II costituisce un vero e proprio avvenimento di recezione e questo in due sensi: i suoi documenti promulgati sono il risultato di un processo di recezione che si è dato, nel corso del dibattito e dell’iter redazionale dei testi, su diversi piani; la stagione postconciliare è stata caratterizzata da non facili e lineari processi di recezione, talvolta anche alternativi, in quanto fondati in ermeneutiche pregiudiziali e parziali di vario genere. Pur non essendo la medesima cosa, recezione ed ermeneutica stanno in relazione diretta e reciproca; infatti “se è impossibile una recezione del concilio senza una corretta ermeneutica degli enunciati, va riconosciuto che è il processo ecclesiale di recezione nel suo complesso […] a consentire un’ermeneutica adeguata. Questa, a sua volta, fecondando e arricchendo la recezione stessa ne costituisce parte integrante”. Una corretta teologia della recezione è condizione imprescindibile dell’ermeneutica dei testi del Vaticano II, che a sua volta deve guidare i processi di recezione del Concilio tuttora in corso» (pp. 38-39).
La categoria della recezione è indispensabile per meglio configurare il rapporto tra il dibattito conciliare e i testi promulgati. Diversamente, la separazione dei due momenti può determinare un’ermeneutica parziale dei testi conciliari, nel senso sia della de contestualizzazione, sia dell’opposizione tra “lettera” e “spirito”. «Nella prospettiva della recezione, la fase preconciliare e quella del dibattito conciliare non possono essere disgiunte dai testi promulgati, anche se occorre correttamente dichiarare l’oggettiva diversità non soltanto quantitativa che intercorre tra il pensiero di singoli prelati o di gruppi di prelati e l’insegnamento autorevolmente proposto dai documenti promulgati. L’analisi delle differenti fasi dell’iter redazionale è allora pertinente soltanto in senso esplicativo e non fondativo e vincolante; essa consente, da un lato, di verificare la progressiva recezione della tradizione scritturistica, patristica e magisteriale antecedente operata dal Concilio e la messa in atto di un discernimento sul pensiero teologico precedente o contemporaneo; dall’altro, di individuare argomenti e prospettive sui quali il Concilio non si è impegnato, consegnandoli così in un certo senso alla riflessione teologica postconciliare » (p. 40). Il testo presenta una bibliografia alquanto ridotta.
Dispiace non trovare citati gli importanti studi di ecclesiologia di Severino Dianich, Bruno Forte, Cettina Militello, Marcello Semeraro, Christian Duquoc, Ghislain Lafont. Circa alcuni autori cristiani antichi, poi, rispettivamente per Agostino d’Ippona e per Origene, andavano riportati gli studi della professoressa Maria Grazia Mara e di Francesca Cocchini. Il saggio, tuttavia, è un importante studio per la comprensione storico-critica e teologica del lemma – non sempre felice – extra ecclesiam nulla salus e della sua evoluzione. Sarebbe auspicabile un’analisi della recezione di tale lemma nell’ecclesiologia contemporanea.
Tratto dalla rivista Asprenas n. 1-2/2010
(http://www.pftim.it)
Promette di continuare il percorso storico-teologico che Sandra Mazzolini intraprende con questo volume dedicato alla ricostruzione dell’assioma extra Ecclesiam nulla salus in epoca patristica; l’interesse infatti riguarda il restringimento esclusivista al quale è giunto all’alba del Vaticano II, disseppellito in parte dalla Dichiarazione Dominus Iesus e dalle retrive pulsioni delle frange anticonciliari emblematicamente rappresentate dagli esponenti dello scisma lefevriano, antisemita e refrattario al dialogo interreligioso. È in gioco infatti l’ermeneutica conciliare, la figura di Chiesa disegnata dal Vaticano II e «l’irriducibile eccedenza» (p. 33) del disegno salvifico. Mazzolini si è formata in storia a Trieste e in teologia alla Gregoriana, collabora con Civiltà Cattolica e da alcuni anni tiene la cattedra di ecclesiologia nella facoltà di missiologia dell’Università Urbaniana.
Ritengo che sia proprio questa ultima sua missio ad averle fornito lo stimolo all’indagine, incontrando studenti e colleghi provenienti dalle più varie culture, accomunati dalla prospettiva missionaria. L’intero primo capitolo infatti, che funge da premessa a tutto il percorso, è dedicato alla fondazione del rapporto chiesa-culture, cifra nel quale comprendere il senso della mediazione ecclesiale, operazione niente affatto nuova, ma che si ripete in alcuni crinali storici, quando motivazioni interne o esterne alla chiesa richiedono un approfondimento o una esplicitazione (p. 59). Condivido in pieno la posizione equilibrata espressa in queste pagine, che muovono grosse questioni in breve, distribuendo bene il materiale tra la linearità del discorso e l’approfondimento delle note, e mi ritrovo nella prospettiva inclusiva nella quale l’a. inquadra anche il ruolo del teologo (p. 53, n. 120). La seconda parte entra nell’analisi della protopatristica rivolgendo lo sguardo all’orizzonte africano e spingendosi fino al VI sec.: Origene, Cipriano, Agostino e Fulgenzio di Ruspe.
Sappiamo quanto fortemente siano state connotate e consapevoli quelle comunità che vediamo scorrere sotto gli interventi dei loro pastori, nella continua dialettica tra teoria e prassi. Bisogna pertanto contestualizzare di continuo gli elementi; chi scrive non ha sufficiente conoscenza della letteratura patrologica e storica per poter giudicare se siano stati esclusi o interpretati malamente elementi importanti; ci si limita a registrare la pertinenza del percorso fatto e lo sforzo (noiosamente necessario) di inquadrare ogni testo all’interno della personalità e dell’opera di ciascun autore, spesso condizionate da circostanze esterne che determinano il genere letterario e l’occasionalità dell’opera (p. 61, n. 1). Origene è il primo a formulare l’assioma all’interno del suo tentativo primigenio di coniugare rivelazione biblica e categorie filosofiche classiche e davanti a comunità che cominciano ad istituzionalizzarsi in modo simile. Lo fa in una omelia sul libro di Giosuè (Hom Jos 3,5), leggendo tipologicamente la casa di Raab come la Ecclesia ex Gentibus innestata nell’Ecclesia ex Judaeis. C). Il filo scarlatto costituito dal sangue di Cristo consente di entrare nell’unica casa da cui è possibile scampare all’eccidio della città (p. 101). Centrali sono l’elemento cristologico e pasquale, nonché la scelta personale del credente: la salvezza è per tutti coloro che credono in Cristo, in una prospettiva di espansione, non di esclusione (p. 94). Cipriano di Cartagine si esprime così: «salus extra Ecclesiam non est», marcando maggiormente il ruolo salvifico della Chiesa, che è andata articolandosi in modo non sempre omogeneo e allo stesso modo rapportandosi con il potere imperiale. Per questo la sinodalità episcopale è elevatissima.
Cipriano è preoccupato dell’unità interna della chiesa, esigita prima che dallo scisma donatista, dai doni che celebra e dai ministeri che contiene, primo fra tutti quello episcopale. La sua è una chiesa-madre, che genera alla vita soprannaturale grazie ai sacramenti, la cui figura è distinta da essi. Perciò l’assioma – introdotto nel De unitate Ecclesiae 6.8 e esplicitato nella Ep. 73,21 – «dichiara l’imprescindibile necessità (della Chiesa) in ordine all’istituzione e al permanere del rapporto salvifico tra la creatura umana e il Dio Padre e Creatore» (p. 132). Nell’epistola marca maggiormente la priorità della chiesa rispetto ai sacramenti, che affiora emblematicamente nella discussione riguardante la salvezza dei catecumeni martirizzati prima del battesimo, che ricevono direttamente il battesimo di sangue (p. 138).
L’assioma dunque non riguarda il mondo pagano perché si inserisce in opere dedicate a questioni interne delle chiese. Sulla figura della Chiesa-madre l’a. cita il celebre saggio di K. Delahaye, che sembra trascurare anch’egli una maternalità dell’annuncio, per privilegiare quella sacramentale. In questa immagine tuttavia può confluire anche l’impegno evangelizzatore, espresso attraverso i temi patristici dei semina Verbi o della praeparatio evangelica (p. 148). Interessante l’excursus di p. 113-119 sulle relazione dei diversi soggetti all’interno della medesima chiesa, istituiti sul modello civile del patronato romano, che ci disincanta dall’illusione di un cristianesimo primitivo di pura forma evangelica. Le realtà ecclesiali africane risultavano infatti molto influenzate dai loro rapporti con l’autorità civile, amica oppure ostile, e dalle dispute sacramentali. Spostandosi in avanti, verso il IV-VI sec. la situazione và stemperandosi, le diocesi si moltiplicano e organizzano intorno alla figura del vescovo-monaco. Agostino giunge in un crinale storico difficile, con il pelagianesimo che si diffonde e l’arianesimo che rinasce come eresia esterna e lo scisma donatista che rompe dall’interno l’unità. Anche la sua dunque è una posizione connotata; se il donatismo ricercava la santità dei sacramenti attraverso la purità dei ministri, enfatizzando le posizioni ciprianee, Ottato di Milevi prima e Agostino poi tentano una ecclesiologia meno settaria, mettendo il rilievo la fede e l’invocazione trinitaria, preminenti rispetto al ministro del battesimo. La domanda fondamentale dei donatisti ubi est ecclesia?
Trova una prima risposta globale nell’affermazione della cattolicità (p. 172) che Agostino costruisce a partire proprio dal contributi di Ottato e Cipriano, superando l’identificazione con la purità-santità e operando una distinzione tra il piano del sacramento e quello della grazia. La chiesa terrena è societas permixta, nella quale sono compresi anche i peccatori, suoi membri numero non merito. Questo non toglie l’elemento dinamico, verso l’ecclesia qualis futura est, ma afferma l’unicità della mediazione salvifica di Cristo, che ricade sulla Chiesa. Siamo già in contesto di prevalenza storica cristiana, permangono residui pagani, ma il cristianesimo è religione di stato e può confrontarsi con le filosofie, porsi il problema della salvezza precedente l’incarnazione (Ep. 102) e seguente ad essa (Sermo 26). La Chiesa di Agostino è di molto eccedente quella dei donatisti: «l’Ecclesia ab Abel, la Catholica, la città di Dio non sono infatti né sinonimi, né categorie alternative; Agostino afferma la correlazione di queste tre figure, con quali mi sembra voglia esprimere l’universale necessario profilo ecclesiale della salvezza» (p. 240). Più rigido lo schema di Fulgenzio di Ruspe, l’ultimo autore preso in esame, per il quale l’extra Ecclesiam nulla salus è fondato sia dalla teologia battesimale sia dall’unità/unicità della Chiesa; nessuno si può salvare fuori dall’arca, né pagani, né ebrei, né eretici, né scismatici. Viene cancellata l’ipotesi agostiniana di chi senza colpa si trovasse fuori dall’appartenenza esplicita alla Chiesa.
È finito il tempo delle dispute teologiche, ora vi sono eresie da confutare e gruppi dai quali fuggire. La conclusione riprende le ipotesi iniziali: affermare la mediazione salvifica della chiesa significa confrontarsi con la sua natura, ma anche con il contesto in cui essa prende forma storica. Gli autori dell’Africa proconsolare – ad eccezione di Origene – sono stati scelti proprio perché sono i primi a tematizzare questo rapporto tra chiesa e salvezza. Sono emerse anche delle differenze al loro interno, che l’a. interpreta come uno spostamento di accento: da Origene, più proteso al mysterion ecclesiale, si passa agli africani, più interessati agli aspetti istituzionali e questo comporta una diversa interpretazione dell’appartenenza alla chiesa e del suo rapporto con la salvezza. Unità/unicità si correla sempre più all’avverbio extra/foris, nella ricerca di «forme lessicali atte ad esprimere la necessità della Chiesa – e dunque della piena appartenenza ad essa – in ordine al conseguimento della salvezza» (p. 290).
Nel continuare la sua analisi verso le epoche che cristallizzeranno l’assioma in senso esclusivo, inviterei a tenere presenti anche altri due aspetti che il presente saggio sfiora in alcuni punti: quello della (o delle) prassi catecumenali e battesimali e quello della scomunica e riammissione nella comunione, che a loro volta mettono in pratica la teologia del battesimo e dell’eucaristia. Altri lavori sono stati editi recentemente sullo stesso tema, segnale di un interesse preciso; questo si caratterizza per la sua concentrazione tematica e per l’approccio scientifico. Le citazioni straniere non vengono tradotte, mentre quelle latine lo sono in nota; si tratta di un testo di studio.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 2/2011
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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