La tradizione cristiana ha individuato sette opere di misericordia corporale e altrettante di misericordia spirituale. Recuperandone la modernità, questo libro conduce a riscoprire il valore delle opere di misericordia per il nostro vivere quotidiano e riesce a dimostrare quanto possa risultare benefico essere disponibili per gli altri.
Dalla quarta di copertina:
Nella tradizione del cristianesimo si sono andate sviluppando sette opere di misericordia corporale e sette di misericordia spirituale.
Anselm Grün incoraggia le sue lettrici e i suoi lettori a riscoprire il valore delle opere di misericordia per la nostra quotidianità moderna, dimostrando quanto possa risultare benefico essere disponibili per gli altri. Rivolge lo sguardo in particolare all'interazione tra opere corporali e spirituali:
«Desidero quindi vedere sempre entrambi gli aspetti: l'agire concreto, come quello che ha presente Gesù, e il significato spirituale di ogni nostro operare concreto».
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
In questo libro voglio restare fedele alla divisione classica tra le sette opere di misericordia corporale e le sette di misericordia spirituale. Vorrei però cercare di descriverle in modo che noi oggi ci sentiamo chiamati in causa. In questo compito vedo due difficoltà: l’una è il pericolo di fare della morale. Non voglio presentarmi come il sapientone che fa la predica agli altri perché finalmente compiano queste opere e donino in abbondanza per gli affamati. L’altra difficoltà sta nella dimensione politica dell’assistenza. Le opere cristiane della misericordia sono soltanto una goccia nel mare?
Non dobbiamo piuttosto cambiare il mondo a livello politico, affinché non ci siano più né poveri, né ignudi, né senzatetto? Il messaggio di Gesù vorrebbe aprirci gli occhi su come far agire in tutto il mondo lo spirito della misericordia e non quello dello sfruttamento, quello del rispetto e non quello del disprezzo. Non basta però accollare le opere di misericordia solo ai politici. In questo caso, infatti, ci scuseremmo di non apportare il nostro contributo a un mondo più umano. Per quanto sia importante la visione politica ed economica, non possiamo aspettare a compiere le opere di misericordia finché regnino in tutto il mondo giustizia, pace e benessere. Pur con tutto l’impegno politico, nell’ambiente a noi più prossimo c’è sempre spazio sufficiente per realizzare le opere di misericordia corporale e spirituale. Con ciò non voglio instillare nei lettori e nelle lettrici un senso di colpa perché fanno troppo poco. Desidero soltanto, come fa Gesù nel suo Discorso sul giudizio, aprirci gli occhi, affinché siamo pronti, là dove Dio ci tocca, a dimostrare misericordia al fratello o alla sorella, indipendentemente se ciò avvenga sul piano corporale o su quello spirituale. Dal Discorso del giudizio di Gesù emerge che egli non fa la morale, ma promette invece una ricca ricompensa a coloro che adempiono queste opere di misericordia.
Il paradosso, però, è che queste persone compiono tali opere non perché ricevono una ricompensa, ma perché si lasciano toccare dalle persone bisognose. Lasciandomi commuovere dal fratello o dalla sorella e lasciandomi ispirare a un’opera di misericordia, sperimento una ricompensa interiore. Sento che la mia vita donando diventa più ricca, che diventa più sana se mi dedico ai malati e che copro la mia nudità se vesto gli ignudi. Le nostre azioni hanno sempre anche un effetto su noi stessi. Le opere di misericordia fanno bene anche a noi. In esse dimostriamo misericordia anche a noi stessi. Ma non le compiamo per fare qualcosa di buono a noi. Le compiamo perché lasciamo che il nostro cuore sia toccato dai poveri, dagli affamati, dai senzatetto, dai malati e dai prigionieri. Il paradosso è che, dimenticando noi stessi perché ci apriamo a un’altra persona, anche noi facciamo l’esperienza della realizzazione della nostra esistenza, una gratitudine interiore per il fatto che una persona con le spalle curve riparta da noi rialzando la schiena e che un ignudo riscopra la sua dignità regale.
L’atteggiamento di fondo delle quattordici opere è la misericordia. Desidero perciò scrivere alcuni pensieri a proposito di tale atteggiamento. La Bibbia conosce diversi concetti e diverse immagini per la misericordia. All’Antico Testamento sono noti soprattutto due termini per misericordia: hesedh, bontà, e rahamîm, pietà. È soprattutto Dio a essere misericordioso. La misericordia di Dio, però, esige anche dagli esseri umani che dimostrino misericordia vicendevole. La misericordia, in questo contesto, non è mai soltanto una disposizione dell’animo, ma è anche sempre un agire. La parola ebraica hesedh significa gentilezza e bontà. Dio si dimostra misericordioso nei confronti dell’essere umano quando lo tratta in maniera gentile, benevola e pietosa, quando gli perdona le sue colpe. L’altra parola, rahamîm, è collegata al termine rehem, grembo materno. Come una madre si dedica al bambino che tiene in grembo, Dio si rivolge a noi uomini in modo materno. Come una madre, Dio tratta con tenerezza l’essere umano che, per così dire, tiene in grembo. Qui la misericordia è l’affetto o il chinarsi di qualcuno in alto nella scala gerarchica verso il più piccolo. Dio non giudica, ma ritiene l’essere umano in grado di svilupparsi sempre di più, così come fa un bambino, fino a diventare la persona che deve essere secondo quanto immaginato da Dio stesso. Questo atteggiamento viene descritto soprattutto a proposito di Dio nei confronti dell’uomo e quasi mai a proposito degli esseri umani tra loro.
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Prof. Marco Vismara il 18 agosto 2015 alle 10:26 ha scritto:
Da sempre capace di parlare al cuore degli uomini, il monaco Anselm Grun, propone una riflessione sulle sette opere di misericordia corporale. La sua è una riflessione che partendo dalla pagina evangelica e dalla tradizione della chiesa, conduce a riflettere sulla propria vita e sull'attenzione di ciascuno al prossimo.