Perché l'amore di Dio ci lascia soffrire?
(Giornale di teologia)EAN 9788839908308
Indice generale
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . 5
parte prima
IL PREZZO DELL'AMORE
1. Sofferenza e questione di Dio.
Sfaccettature di un problema . . . . . . . 11
Volti della sofferenza 11
Un problema superato' 14
Un'impresa priva di senso' 20
Sofferenza ' «rocca dell'ateismo» 28
Interrogativi che restano 34
2. Abuso della libertà e della sofferenza . . . . 39
'Onnipotenza' o 'potere dell'amore' 39
'Non hai capito il peso del peccato!' 54
139
3. Creato e sofferenza . . . . . . . . . . 60
4. «Un prezzo troppo caro»' . . . . . . . . 72
«Non lo accetto!» 72
Il Dio com-passionevole 78
Breve excursus: «Completare quello che manca
ai patimenti di Cristo» (Col 1,24) 86
5. Superamento del dolore . . . . . . . . 90
parte seconda
VIVERE CON I LIMITI
1. Limiti ed esperienza della morte. . . . . . 103
La limitazione fa paura 103
Rimozione della morte 106
'Mito dell'onnipotenza narcisistica'
e 'società delle esperienze' 107
Allontanare invece di aiutare 114
2. Dimensioni del superamento . . . . . . . 117
Riconoscere 117
Maturare 119
Amare 124
Sperare 128
Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . 134
140 | Indice generale
Se Dio è infinitamente buono perché esiste la sofferenza umana? È questa la domanda a cui per onestà intellettuale e per oggettivi limiti del pensiero umano si può solo rispondere delineando solo teorie, rinunciando a imporle ad altri, credenti o non credenti che siano, nel nome della fede. Uno dei più noti teologi di lingua tedesca ci fornisce un magistrale esempio di come devono essere condotti temi la cui «risposta» deve solo tener conto che Dio si fa garante di tutte le sue promesse e che, dunque, il dolore, la sofferenza, la morte non hanno l’ultima parola.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2008 n. 18
(http://www.ilregno.it)
Per molte persone la sofferenza, specialmente degli innocenti, è la principale obiezione contro la fede nell’esistenza di Dio. Se Dio esiste, come mai c’è il male nel mondo? Per chi crede, invece, il dolore e la sofferenza diventano quasi come un grido di protesta: si possono sopportare tante prove dolorose, perché Dio si fa garante che l’ultima parola sulla vita degli uomini sarà la sua, cioè la realizzazione della felicità eterna promessa a chi si affida a lui.
La questione su Dio e il male, sorta già al tempo di Leibniz (in seguito al terribile terremoto di Lisbona nel 1755), è diventata ancora più acuta a causa della shoah: si può ancora credere in Dio dopo Auschwitz? La risposta cristiana cerca soprattutto di prendere sul serio il fatto che anche Gesù, nel momento cruciale della sua vita ha gridato: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Greshake affronta dunque queste domande in un’opera la cui prima edizione tedesca risale al 1978 (con il titolo: Il prezzo dell’amore, pubblicata in traduzione italiana dalla Morcelliana nel 1983) e che ora viene presentata in una forma «notevolmente ampliata», con un’intestazione diversa e più immediata, che affronta nella parte finale anche gli scottanti problemi legati alla «qualità della vita» (pp. 103-133).
L’intenzione dell’autore non è di risolvere con una teoria il problema del dolore, ad esem-pio prospettando un superamento cristologico (Dio stesso si è calato nella sofferenza umana) o escatologico (alla fine il bene trionferà sul male) delle difficoltà insite a questo riguardo; egli cerca invece di tracciare una cornice per «rendere possibile qui e ora la fede in un Dio di puro amore» (p. 37). Per prima cosa viene quindi esaminata la sofferenza che proviene dall’abuso della libertà umana, cioè il male causato dagli uomini a se stessi e agli altri. Creando il mondo per amore, Dio rispetta la libertà dell’essere umano, che è il culmine della creazione; come tale è l’unico essere dotato di intelligenza e viene chiamato a dare una risposta libera all’«Amore» origine di ogni cosa. Appare chiaro dunque che «il male non è affatto oggetto della volontà divina: Dio non vuole assolutamente il male, la sofferenza, la sventura» (p. 43). D’altra parte, è compito dell’uomo combattere ogni forma di dolore che proviene dall’uso negativo della libertà: il male morale non è mai da accettare fatalisticamente, ma ad esso ci si deve opporre con tutte le proprie forze, per spezzare la perversa spirale, per cui il male continua a produrre altro male. Queste considerazioni presuppongono una purificazione dell’idea di onnipotenza divina, che non si sostituisce mai all’uomo, ma lo rende appunto libero, senza imporsi a lui con la forza e invitandolo a cooperare per il bene del mondo. Qui Greshake si riferisce a una pagina famosa di Kierkega-ard: «Il massimo in assoluto che si può fare per una creatura è renderla libera […], ma soltanto l’onnipotenza è in grado di farlo» (pp. 48-49), perché agisce come amore gratuito e illimitato, rischiando persino il rifiuto e la chiusura dell’uomo ad amare, un rifiuto che a sua volta produce una rete nefasta di dolore in cui anche gli innocenti si trovano impigliati.
Esiste però un altro tipo di sofferenza che dal punto di vista teologico presenta una maggiore difficoltà: è la sofferenza che deriva dalla creazione stessa, come le malattie, le catastrofi naturali, le disabilità fisiche e psichiche. La legge spietata della selezione naturale, per cui solo il più forte sopravvive, e l’animale più grosso mangia il più piccolo, sembra in contraddizione con l’immagine di un Dio buono che crea per amore. La risposta a queste difficoltà va cercata nel senso generale del processo evolutivo, in quanto la creazione non è completa, ma è in movimento; è un abbozzo che richiede di essere completato appunto nella libertà della creatura. «La comparsa dell’essere umano esige determinate “leggi” e “costanti” che come rovescio della medaglia causano sofferenza» (p. 65): è una risposta sulla linea di Teilhard de Chardin, che vedeva il male come un «sottoprodotto» necessario dell’evoluzione. «Esiste dunque una sofferenza strutturale necessaria» (p. 67), in quanto la sofferenza è il prezzo della libertà o meglio il prezzo dell’amore. «Un Dio che in virtù della sua onnipotenza e della sua bontà, impedisse la sofferenza, renderebbe impossibile l’amore (che presuppone la libertà» (ivi).
Tuttavia anche questa impostazione fa sorgere la domanda: come mai Dio ci fa pagare a così caro prezzo la libertà e l’amore? Non sarebbe meglio se non ci fosse nessuna crea-zione? Sono le domande che Dostoevskij pone in bocca a Ivan Karamazov nel dialogo con il fratello Alioscia. Qui entra in gioco, non tanto la «ragione» teologica, bensì la pura fede: da una parte, non solo le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura, come dice Paolo (Rm 8,18), dall’altra, ancor più, vediamo che Dio scen-de nella sofferenza del mondo e la fa propria nella croce di Cristo. Il Dio compassionevole, che patisce con noi, che soffre per amore, innesca il movimento dinamico che trasforma un mondo di peccato in un mondo di amore. «Il prezzo troppo caro della sofferenza del mondo è stato quindi pagato da Dio stesso […] e l’ha pagato in una maniera tanto completa che ogni sofferenza della persona umana può trovare rifugio nell’amore della compassione di Dio e trova in essa la forza per lottare contro il dolore, per resistere in esso e per darvi un senso» (p. 85-86). A questo impegno di lottare contro il male, sono dedicate le pagine finali del libro, che riflettono sulla necessità di stare accanto ai malati come con-solatori che li aiutano a trovare un senso alle loro sofferenze e in definitiva alla loro vita.
In conclusione, bisogna essere veramente grati all’autore, non solo per aver delineato una cornice teorica in cui ognuno può muoversi per rielaborare la sofferenza personale, ma anche per la sua testimonianza che chiude il volume e invita a dire: siamo tutti nella mani di Dio!
Tratto dalla rivista "Credere Oggi" n. 169 (1/2009)
(http://www.credereoggi.it)
In questo piccolo ma denso libro, che amplia ed aggiorna criticamente un precedente testo del 1978 (Il prezzo dell’amore. Riflessioni sul dolore, Morcelliana, Brescia 1983), il noto teologo di Friburgo riprende la spinosa e sempre rinnovata domanda circa il male e la sofferenza, (affrontammo personalmente la questione in Rassegna di teologia 43 [2002] 75-98). Due parti dividono il volume: “Il prezzo dell’amore” (11-100) in cui si riflette in modo teoretico sull’enigma del dolore; e “Vivere con i limiti” (103-133) in cui si profila una risposta maggiormente rivolta alla concretezza della prassi. La sezione più speculativa si apre con una disanima delle “sfaccettature” del problema che pone l’esistenza di Dio a fronte della sofferenza. Greshake descrive i vari volti della sofferenza, e indica quanto – a differenza di quanto sostenuto anche da molti teologi – il problema da essa posto imponga anche una risposta argomentata. Ha qualche senso porsi ancora il perenne problema della “teodicea”, allorché pare che l’unica cosa utile sia di affrontare il male nella prassi? Il parere del Nostro è questo: «appunto perché si tratta di fronteggiare la sofferenza sul piano personale ed esistenziale, ma dell’esistenza personale fa anche parte in maniera determinante, la riflessione, è proprio compito della teologia indicare in che direzione vada intesa e in base a ciò esistenzialmente ‘elaborata’ e integrata la sofferenza» (27). È certo infatti che la sofferenza e il male più in generale costituiscano la “rocca dell’ateismo” e sollecitino quindi il credente a proporre delle risposte. A parere dell’A. non bastano i tentativi contemporanei di integrare la sofferenza in una prospettiva escatologica e cristologica (Alszeghi-Flick; Kern). Rimane la questione tremenda di un «mondo tanto misero» in cui Dio permette «sofferenza e miseria terribili» (36). Bisogna quindi provare a «tracciare la cornice di una soluzione … per rendere possibile qui e ora la fede in un Dio di puro amore, in cui non ci sono tenebre» (37). Un’idea centrale, che permette anche di evitare il noto trilemma epicureo (cf. Lattanzio, De ira Dei, 13,19ss), è quella che interpreta l’onnipotenza di Dio nella linea della fedeltà all’amore (sulla scorta di Kierkegaard e Barth) e non in senso di onnipotenza astratta (come in H. Jonas, che la deve poi negare in Dio). L’amore vero si spinge fino al ritrarsi dinanzi alla libertà (anche colpevole) dell’amato. «Se il senso della creazione è l’amore tra il Creatore e la creatura, quest’ultima è davvero posta nella sua libertà» (53). Crediamo che questo punto si avvicini a quanto Isaac Luria intendeva per “contrazione” (zimzum) del Creatore e Bulgakov per “kenosi” del Padre nei riguardi del male del mondo. In questo orizzonte va accolta pure la serietà con cui un s. Anselmo si riferiva al “peso del peccato”. Si aggiunge a questo argomento di tipo teologico-morale una considerazione di ordine cosmologico: la sofferenza insita nel cosmo a prescindere dalla colpa. L’A. discute in questo ambito la visione di Teilhard (che non a caso citava spesso Mt 18, 7 sulla necessità degli scandali) per cui il male è un ‘sottoprodotto’ necessario dell’evoluzione che include il disordine e la casualità come anticipo e prefigurazione della libertà (66). Ma è soltanto a causa del peccato che questa sofferenza ‘cosmica’ si rivela come oscura ed opprimente (cf. 67). Nondimeno, la posizione dell’esistenza della sofferenza come prezzo della libertà e dell’amore non fa che spostare ulteriormente il problema. Perché questo prezzo da pagare? È la domanda ed anche la rivolta di Ivan Karamazov. Di fronte a ciò il cristiano sostiene che «Dio non vuole assolutamente la sofferenza» eppure che egli «scende nella sofferenza e la fa propria» (76). È la risposta del Dio biblico pieno di com-passione annunciato dalla tradizione profetica giudeo-cristiana (cf. Heschel…) che culmina nel “Dio crocifisso” (Moltmann…) che «sopportò così la frattura generata dal peccato tra il sì incondizionato di Dio alla creatura e il no di risposta dell’essere umano a Dio, soffrendola nel proprio cuore e sul proprio corpo» (82). Greshake non teme di parlare di un coinvolgimento di tutte e tre le divine persone in questa sofferenza divina, ma insiste pure sul fatto che la potenza divina può prevalere e quindi farsi carico e togliere (aufheben) il dolore (83s). Le stigmate eterne del Cristo glorioso attestano sia la drammaticità del male che la sua sconfitta nell’amore: «il soffrire passa, l’aver sofferto no» (L. Bloy, 85). Illuminato da questa fede sull’amore paterno di Dio (cf. Lc 15), il cristiano combatterà per superare e trasfigurare il dolore con la preghiera, la speranza escatologica e soprattutto l’amore. Sono così poste le basi per «la rielaborazione personale della sofferenza » (99) che è l’oggetto della Seconda Parte del breve trattato. In queste ultime trenta pagine, l’A. denuncia dapprima i rischi di una società e mentalità che tende a rimuovere limiti e morte per compiacersi in un mondo di narcisismo e di ‘esperienze’, in cui la sofferenza anziché essere aiutata e sollevata viene solo esorcizzata dall’allontanamento. A fronte di questo atteggiamento, di fatto puerile, si sollecitano, come “Dimensioni del superamento”, il riconoscere e quindi l’assumere la sofferenza, il maturare attraverso di essa, e, infine ed ancora, l’amare (come «protesta radicale contro la morte e così contro tutti limiti», p. 126) e lo sperare. Il saggio è, come ci si poteva attendere, forte e penetrante, genuinamente attaccato alle problematiche esistenziali, ma non vuole rinunciare al rigore dello sforzo del pensare teologico. Esso è quindi pure rispettoso della tradizione. Se bisognasse fare talune critiche, le faremmo più sulla struttura del volumetto che sul suo contenuto. Crediamo infatti che il c. 5 della Prima parte, (“Superamento del dolore”) potrebbe, essere integrato nella seconda parte, c. 2 (“Dimensioni del superamento”) ed in questo contesto andrebbe pure inserito il breve excursus su Col 1, 24. Notiamo pure dal punto di vista bibliografico che Greshake cita quasi solo autori tedeschi. La riflessione e l’argomentazione avrebbero potuto avvalersi pure di riferimenti a Balthasar, Bulgakov, A. Gesché, H. Häring, V. Mancuso, Ph. Némo, Ricoeur… così come si sarebbe potuto menzionare Origene circa il pathos divino (81ss) o s. Bernardo, ripreso pure da Benedetto XVI sul Dio “impassibilis” ma non “incompassibilis”. Questo non toglie nulla alla gratitudine che proviamo verso il prof. Greshake per questo ulteriore sforzo da lui compiuto a servizio non solo dei teologi, ma soprattutto di «coloro che soffrono e che si interrogano sul senso della loro sofferenza» (6).
Tratto dalla rivista Lateranum n. 2/2008
(http://www.pul.it)
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