La domanda di Dio dell'uomo contemporaneo
(Biblioteca di teologia contemporanea)EAN 9788839904621
È senza dubbio sorprendente che l’opera qui recensita, pubblicata originariamente in tedesco nel 1956 e ben presto tradotta in francese e in inglese, sia rimasta fino a oggi priva di una edizione italiana, nonostante la fama del suo autore, la sua fortuna editoriale nel nostro paese e i numerosissimi spunti di interesse che lo scritto indubbiamente offre.
In realtà l’editrice Queriniana aveva tentato una prima volta, nel 1966, di proporre il testo nella nascente «Biblioteca di aggiornamento teologico», poi ribattezzata «Giornale di teologia» e destinata a un prolungato successo, ma già allora Balthasar aveva cominciato a nutrire qualche dubbio sulla bontà o almeno sull’efficacia di questo suo lavoro, pensato a partire da un confronto serrato con la modernità scientifica. Negli anni dell’immediato post-concilio, com’è noto, Balthasar divenne scettico non tanto circa la legittimità di un dialogo con il mondo moderno, quanto sul fatto che esso potesse garantire automaticamente alla teologia un rinnovamento coerente con il proprio statuto e il proprio compito.
Del resto già con la pubblicazione di Solo l’amore è credibile, nel 1963, la chiave propriamente dialogica era stata accantonata, per restituire invece alla teologia l’evidenza di un centro unitario in grado di suscitare ancora la fede. Tale centro unitario, secondo Balthasar, è l’annuncio dell’amore divinamente rivelato in Gesú, che ha in se stesso la propria ragion d’essere, incommensurabile a qualunque attesa o pretesa umana. Non v’è dubbio che, rispetto a un tale programma teologico, sviluppato in tutta la sua ampiezza nei volumi di Herrlichkeit (1961-69) e riscontrabile nell’impianto dell’intera trilogia, il saggio di cui ci occupiamo qui segue sentieri diversi, e tuttavia ha ragione P. Sequeri quando, nella postfazione all’edizione italiana, invita il lettore a non radicalizzare tali differenze in una alternativa secca, che finirebbe per ridurre l’una e l’altra prospettiva alla povertà di uno schema concettuale astratto e impedirebbe di cogliere quanto pure in esse c’è di complementare.
Che Die Gottesfrage des heutigen Menchen rappresenti un’opera a parte nel complesso degli scritti balthasariani è però indubbio. Lo stesso Balthasar, che non ne autorizzò la traduzione italiana nel 1966, la escluse poi anche dal piano di pubblicazione della sua Opera omnia, curata da Jaca Book, deluso dai risultati a suo modo di vedere insoddisfacenti di quella pista di ricerca e forse anche dalla poca attenzione riservata al suo scritto in ambito teologico. Uno scritto che potrebbe perfino essere considerato come un’opera d’occasione, se non fosse che tale tipologia si adatta ben poco al suo autore, il cui impegno di ricerca e di scrittura è stato interamente dominato dal senso di una missione da compiere per la chiesa, a essa consacrando ogni stilla di energia intellettuale. Il carattere in qualche misura occasionale è dato dal fatto che i testi qui raccolti e sistematizzati nascono da una fitta serie di conferenze dettate da Balthasar durante la prima metà degli anni Cinquanta, quando, dopo l’abbandono dalla Compagnia di Gesú, egli doveva provvedere economicamente non solo alle sue necessità personali, ma anche a sostenere i costi della casa editrice da lui fondata.
Molte di queste conferenze avevano per teatro proprio le aule universitarie delle facoltà teologiche tedesche che invano in quegli stessi anni offrivano a Balthasar ruoli di docenza sempre rifiutati, in nome appunto di un compito esigente, liberamente assunto davanti a Dio e per il quale ogni altro vincolo istituzionale doveva apparire al teologo di Basilea come un potenziale intralcio. Il contesto accademico per il quale sono state originariamente pensate queste riflessioni merita di essere sottolineato, in quanto sollecita Balthasar – che di tale contesto ha sempre voluto rimanere ai margini, mettendo a punto uno stile e un metodo di lavoro del tutto originali – a confrontarsi qui in maniera piú esplicita con alcune grandi questioni all’epoca ampiamente dibattute dalla teologia di scuola e che animavano in profondità l’intera cultura cristiana: le questioni appunto relative al rapporto con la modernità e piú precisamente al significato della domanda religiosa e della fede cristiana nel mondo trasformato dalla scienza e dalla tecnologia. Significativamente il confronto istruito non è a due termini, tra il mondo moderno scientifico e la fede cristiana, ma a tre, in quanto occorre tener conto, sostiene Balthasar, del campo intermedio della visione del mondo o della religione. Di qui le tre categorie che strutturano il percorso (scienza, religione, cristianesimo), le quali danno luogo a un duplice confronto, quello tra scienza e religione (la prima parte del libro), e quello tra religione e cristianesimo (seconda parte).
In questo modo Balthasar si ricollega fin dall’inizio del percorso alla legge dei tre stadi di A. Comte (stadio teologico, metafisico e positivo, ma per lui piuttosto stadio magico, filosofico e scientifico), utile a suo avviso a descrivere il progressivo mutare nella storia dei rapporti tra l’essere umano e la natura, a condizione di accantonare ogni festoso positivismo progressista e di riconoscere che nei passaggi da una fase all’altra i guadagni si accompagnano inevitabilmente a qualche perdita, la quale peraltro, secondo Balthasar (e a differenza di quanto sosteneva H. De Lubac ne Il dramma dell’umanesimo ateo), era stata avvertita dallo stesso Comte. Il passaggio cruciale dal secondo al terzo stadio, con l’accantonamento definitivo dell’antico atteggiamento contemplativo-religioso nei confronti della natura e l’assunzione di una «nuova mentalità oggettiva», forgiata attraverso le scienze sperimentali che costringono le cose a «rispondere in una forma piú precisa» (p. 37) alle domande poste dall’essere umano, viene analizzato dettagliatamente lungo la prima parte dell’opera. Balthasar lo interpreta come passaggio dalla filosofia all’antropologia, nel senso che ora «tutta la realtà del mondo è per l’uomo, e l’uomo non può piú considerarsi riferito a un essere che lo circondi (a modo di mondo). Egli è l’“assoluto” del mondo» (p. 45). Ciò significa anche che per lui Dio ha perduto l’evidenza che possiedono le cose del mondo e che ora la sua coscienza è il solo organo deputato a riconoscerlo, o rifiutarlo.
«La libertà della decisione è penetrata fino al cuore; il sí e il no non sono piú detti in regioni secondarie» (p. 90), o in nome di altri, cosicché la coscienza del singolo è posta di fronte al problema religioso in una maniera piú diretta rispetto a tutte le epoche passate. Non si pensi tuttavia che una simile analisi conduca Balthasar a dichiarare superata la via cosmologica accettando quella antropologica come l’inevitabile destino consegnatoci dalla modernità (qui si insinuerebbe l’abbaglio di scoprire in queste pagine un «Balthasar pre-critico», dal quale giustamente Sequeri mette in guardia). A questo stadio del confronto, non si dimentichi, Balthasar considera la domanda religiosa, il suo progresso e il suo affinamento nella coscienza moderna, facendo astrazione del fatto cristiano, o perlomeno dello «scandalo della chiesa cattolica» (p. 99), la quale non si adegua, a differenza delle altre forme del cristianesimo storico, a lasciarsi ricondurre nell’alveo delle religioni dell’umanità che accettano di buon grado l’inevidenza della propria prospettiva particolare e rifiutano di conseguenza ogni pretesa di assolutezza, per ricondurre il proprio slancio spirituale nell’unità del problema dell’umanità.
Qui si coglie tutta l’importanza, per Balthasar, della religione intesa non, «barthianamente», come elemento di contrasto, ma come campo intermedio che consente di differire il confronto tra la modernità scientifica e il fatto cristiano, riconoscendo da un lato, e con insolita apertura, tutto il positivo e l’irrinunciabile della svolta moderna, ma senza che questo ponga in questione in nessun punto la validità universale di Cristo e della sua chiesa, unici tra tutte le religioni a promettere all’umanità «qualcosa di diverso» (p. 27) da un’eco o un prolungamento della sua propria essenza. Naturalmente una simile e netta distinzione tra religione e cristianesimo, in cui la prima categoria tende a riassorbire le religioni storiche nell’indistinto della religiosità naturale e la seconda si riduce al solo cattolicesimo romano (implicitamente inteso come «vero» cristianesimo) è assai problematica, ma non priva di coerenza interna, e di una coerenza nemmeno poi distante da quella dei testi balthasariani piú celebri e precedentemente citati, dal momento che essa si sostiene sull’idea di una rivelazione divina «personale e sovrana» (p. 91) che consente di riconoscere al cristianesimo storico, o meglio all’evento-Cristo, quel carattere di evidenza e dunque di «credibilità» che la religione ha perduto con l’uscita definitiva dal mondo magico.
La tensione balthasariana verso il superamento del duplice riduzionismo cosmologico e antropologico è dunque già ben marcata in queste pagine, come pure il fatto, certificato fin da subito nella seconda parte del libro, che tale superamento non è un balzo cieco in avanti ma un radicamento fiducioso nell’unica Parola rivelata da Dio. Per essere ascoltata nella sua verità, tuttavia, questa Parola ha bisogno di risuonare ancora nella sua radicalità inaudita, ha bisogno dunque del «grande respiro» (p. 118) della teologia apofatica, del senso della dialettica del Dio sempre piú grande e inconoscibile. Perfino la diffusione dell’ateismo dovrebbe apparire, in quest’ottica, come un’opportunità forse provvidenziale per riportarci a forza «a un modo piú alto di pensare Dio» (p. 117). Allo stesso modo in cui l’ateismo appare come un «fenomeno tremendo» ma cristianamente pur sempre trasformabile «in qualcosa di luminoso e di vincolante» (p. 117), cosí i successivi capitoli che compongono la seconda parte identificano alcuni aspetti tipici della svolta moderna come sfide provvidenziali per la fede, in grado cioè, nonostante la loro oscurità o negatività, di condurre a un’assimilazione piú cosciente, densa e drammatica della verità cristiana.
Questi aspetti sono la solitudine dell’individuo moderno, che non è piú come in passato occasione di presenza a sé, ma al contrario certificazione di estraneità a se stesso, il senso della perdizione o della dannazione e la patologia dei rapporti sociali che finiscono per rendere l’altro individuo insopportabile in quanto specchio che mi restituisce la mia propria insufficienza. A tali provocazioni, che guardano lucidamente in faccia il vuoto di una perdita di senso, la fede deve rispondere non scendendo a patti, ma attraverso una verticalità assoluta (la verticalità della preghiera e della vita mistica) che le consente di riscoprire, rispettivamente, l’inabitazione dello Spirito, la perdizione di sé negli abissi di Dio (corrispondente alla perdizione di Dio nell’oscurità del sabato santo) e il sacramento del fratello, ossia una relazionalità umana in cui possa spirare un «soffio di infinito» (p. 163).
L’empasse moderna dice una verità dell’umano e di un mondo dal quale Dio si è ritirato silenzioso. Ma la fede non può limitarsi a constatare tale verità come qualcosa di estraneo a sé che le viene rivelato solo nella luce della modernità, né giustapporre a essa un’altra verità, alla ricerca di un improbabile punto d’equilibrio. Un «dialogo» con il mondo moderno condotto in questo modo apparirebbe a Balthasar meramente compromissorio. La fede è chiamata invece a scoprire coraggiosamente che questo «occultamento della Parola di Dio» nel mondo forgiato dalla scienza e dalla tecnica è in realtà «opera dello Spirito santo» (p. 173), perché solo l’asprezza di questa scoperta le consentirà di offrirsi ancora come possibile risposta alla domanda di Dio dell’uomo contemporaneo, e cosí adempiere alla sua missione: «a partire dall’offerta del tempo, plasmare qualcosa di cristiano» (p. 111). Il saggio si conclude con un denso capitolo inserito nella nuova edizione tedesca del 2009 come appendice postuma, ricostruita grazie alle annotazioni lasciate dall’A. a margine di due copie del testo, e con le quali Balthasar aveva provato a reagire al senso di insoddisfazione che l’opera gli procurava. Il nuovo capitolo sembra voler gettare un ponte tra le due parti del libro, troppo chiaramente separate l’una dall’altra per il ruolo mediano assicurato dalla religione tra gli estremi della scienza e del cristianesimo.
Se la focalizzazione scientifica dell’uomo su se stesso lo ha privato del mondo, egli, in quanto spirito del mondo, non potrà cristianamente ritrovarsi facendo astrazione di esso, ma solo nel suo grembo, in cui può manifestarsi «l’evoluzione dell’idea e della possibilità di Cristo nella storia dell’uomo» (p. 186). L’interesse di queste pagine conclusive, come sottolinea Alois M. Haas nella prefazione, è dato anche dal ruolo decisivo riconosciuto alla teoria dell’evoluzione, per quanto Balthasar ponga ancora su tale teoria un fortissimo accento teleologico. Solo l’idea dell’evoluzione, osserva Balthasar, riesce ad avvalorare il legame reale di divenire tra uomo e mondo agli occhi di una modernità scientifica tentata di rappresentarsi «un uomo senza mondo, acosmico, con la sua libertà» (p. 176). Proprio tale idea, di conseguenza, può consentire il recupero di uno sfondo cosmologico adeguato a una riproposizione della verità cristiana integrale.
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" n. 3/2013
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
-
16,00 €→ 15,20 € -
7,00 €→ 6,65 € -
8,00 €→ 7,60 € -
37,00 €→ 35,15 € -
38,00 €→ 36,10 € -
7,00 €→ 6,65 € -
10,00 €→ 9,50 €