Un ebreo marginale
-Ripensare il Gesù storico [vol_4] Legge e amore
(Biblioteca di teologia contemporanea)EAN 9788839904478
INDICE GENERALE
Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Introduzione al Volume 4: IL GESÙ STORICO È IL GESÙ HALAKHICO . . 9
I. Le molteplici difficoltà nella trattazione
del rapporto tra Gesù e la Legge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
II. Tre distinzioni cruciali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
III. Un itinerario attraverso il Volume 4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
IV. Ancora una volta, un promemoria sul codice della strada . . . 25
Capitolo trentunesimo:
GESÙ E LA LEGGE ' MA CHE COSA È LA LEGGE' . . . . . . . . . . . . . . . . 35
I. Gesù e la Legge: illuminazione reciproca . . . . . . . . . . . . . . . . 35
II. Il significato (o i significati) della Legge:
l'Antico Testamento e il giudaismo intertestamentario . . . . . 37
III. Il significato (o i significati) della Legge:
il Nuovo Testamento e il giudaismo rabbinico . . . . . . . . . . . . 58
IV. Il problema del Gesù storico e della Legge storica . . . . . . . . . 66
Capitolo trentaduesimo:
L'INSEGNAMENTO DI GESÙ SUL DIVORZIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
I. Introduzione: alcuni chiarimenti preliminari . . . . . . . . . . . . . 80
II. Il divorzio nel Pentateuco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
III. Il divorzio nei Profeti e nella letteratura sapienziale . . . . . . . 92
IV. Il periodo intertestamentario:
Filone, Flavio Giuseppe e Qumran . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100
A. Filone 100
B. Flavio Giuseppe 104
C. Qumran 105
V. Uno sguardo in avanti alla Mishnah . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
VI. Le affermazioni del Nuovo Testamento sul divorzio . . . . . . . 122
752 Indice generale
A. 1 Corinzi 7,10-11 124
B. La tradizione Q (Mt 5,32 || Lc 16,18) 132
1. Introduzione 132
2. Mt 5,32 e Lc 16,18 come tradizione Q 134
3. L'originaria forma Q del detto 136
C. Marco 10,11-12 144
D. Il divorzio e i criteri di storicità 148
1. Il criterio della molteplice attestazione
delle fonti e delle forme 149
2. I criteri della discontinuità e dell'imbarazzo 150
3. Coerenza 157
E. Il racconto di disputa di Marco 10,2-12 159
F. Conclusioni 169
Capitolo trentatreesimo: LA PROIBIZIONE DEI GIURAMENTI . . . . . . . 185
I. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185
II. Giuramenti: dalle Scritture ebraiche alla Mishnah . . . . 187
A. Chiarimenti iniziali 187
B. I giuramenti nell'antico Israele e nel giudaismo 190
III. La proibizione dei giuramenti nel Nuovo Testamento . . 198
A. La situazione speciale delle fonti neotestamentarie 198
B. Primo confronto fra i due testi 201
C. La più antica versione
della tradizione a noi accessibile 205
D. La proibizione risale al Gesù storico' 218
Capitolo trentaquattresimo: GESÙ E IL SABATO . . . . . . . . . . . . . . . . . 237
I. Il sabato dalle Scritture alla Mishnah . . . . . . . . . . . . . . . 238
A. Il sabato nelle Scritture ebraiche 238
B. Il sabato nei libri deuterocanonici (apocrifi) 247
C. Gli pseudepigrafi
dell'Antico Testamento e Qumran 249
D. La letteratura della Diaspora ebraica:
Aristobulo, Filone e Flavio Giuseppe 258
E. Un rapido sguardo in avanti alla Mishnah 262
II. Le azioni di sabato e i detti di Gesù sul sabato . . . . . . . 267
A. Miracoli compiuti nel giorno di sabato
che non provocano alcuna disputa 268
B. Miracoli compiuti nel giorno di sabato
che provocano una disputa 269
Indice generale 753
1. I racconti sinottici 270
2. I racconti giovannei 276
'¯
C. Detti di Gesù sulla halakâ del sabato
contenuti nei racconti di miracolo sinottici 279
D. Il grano strappato nel giorno di sabato
(Mc 2,23-28) 292
1. La collocazione del racconto all'interno
del ciclo marciano dei racconti di disputa galilaici
(Mc 2,1'3,6) 296
2. La struttura del racconto del grano strappato 298
3. Dall'analisi strutturale
a un'ipotetica forma originaria 302
4. La storicità della forma originale 305
E. I detti sul sabato di Marco 2,27-28 315
1. Versetto 27: Il sabato è stato fatto per l'uomo 316
2. Versetto 28:
Il Figlio dell'Uomo è signore anche del sabato 323
III. Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 338
Capitolo trentacinquesimo: GESÙ E LE LEGGI DI PURITÀ . . . . . . . . . 344
I. Le leggi di purità nel Pentateuco e oltre . . . . . . . . . . . . . 345
II. Gesù e la purità in Marco 7,1-23 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 365
A. La struttura di Marco 7,1-23 366
1. Principali indicatori della struttura letteraria
di Marco 7,1-23 367
2. Collegamenti verbali e tematici 371
B. Una traduzione strutturata di Marco 7,1-23 378
C. Identificazione della mano dell'autore cristiano
(o degli autori cristiani) 380
D. Alla ricerca del Gesù storico
nelle sottounità di Marco 7,6-23 389
1. Versetti 6-8: La prima replica di Gesù,
con citazione di Is 29,13 389
2. Versetti 9-13: La seconda replica di Gesù,
con citazione di Es 20,12 e 21,17 401
3. Versetti 14-23: L'aforisma di Gesù
sulla contaminazione e la sua spiegazione 414
E. Versetti 1-5:
La domanda sul mangiare con mani non lavate 440
III. Altri possibili riferimenti alla purità rituale nei vangeli 452
IV. Conclusioni su Gesù e la purità rituale . . . . . . . . . . . . . 466
754 Indice generale
Capitolo trentaseiesimo: UNA PROSPETTIVA PIÙ AMPIA:
I COMANDAMENTI DELL'AMORE DI GESÙ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 478
I. Introduzione: i vari comandamenti dell'amore . . . . . . . . . . 478
II. Il duplice comandamento dell'amore
(nel Vangelo di Marco) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 487
A. Il posto del duplice comandamento dell'amore
(Mc 12,28-34) 487
B. La struttura e il contenuto di Marco 12,28-34 491
1. La struttura di Mc 12,28-34 491
2. Esegesi di Mc 12,28-34 496
C. L'argomento a favore
della storicità di Marco 12,28-34 520
1. Una breve formulazione dell'argomento 520
2. Discontinuità: L'Antico Testamento 522
3. Discontinuità: Assenza nei Rotoli del Mar Morto 527
4. Discontinuità: Assenza negli pseudepigrafi
dell'Antico Testamento 529
5. Discontinuità:
Assenza in Filone e in Flavio Giuseppe 536
6. Discontinuità: Assenza nei primi rabbini 542
7. Discontinuità:
Assenza nel resto del Nuovo Testamento 545
8. Un argomento basato
sulla molteplice attestazione' 556
III. Il comandamento di amare i nemici nella tradizione Q . . 565
A. Chiarimento della questione 565
B. «Amate i vostri nemici»: esiste un parallelo esatto' 572
1. «Amate i vostri nemici»:
Assenza nell'Antico Testamento 574
2. «Amate i vostri nemici»: Assenza a Qumran 581
3. «Amate i vostri nemici»: Assenza
negli pseudepigrafi dell'Antico Testamento 583
4. «Amate i vostri nemici»: Assenza in Filone
e in Flavio Giuseppe 589
5. «Amate i vostri nemici»: I filosofi greco-romani 591
6. «Amate i vostri nemici»: Assenza nel resto
del Nuovo Testamento 596
IV. La Regola aurea nella tradizione Q . . . . . . . . . . . . . . . . 601
V. Il comandamento dell'amore
nella tradizione giovannea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 614
Indice generale 755
A. Il contesto teologico del comandamento dell'amore
nel Vangelo di Giovanni 614
1. Cristologia alta 616
2. Escatologia fortemente realizzata 619
3. Netto dualismo 619
B. I comandamenti dell'amore: confronto
fra Giovanni e i sinottici 621
C. La questione della storicità 630
D. Il comandamento
dell'amore nelle lettere giovannee 633
VI. Riflessioni conclusive sui comandamenti dell'amore . . . 642
Conclusione del Volume 4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 648
1. Scoperte positive 649
2. Scoperte negative (o inverse) 654
La Palestina al tempo di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 666
La Galilea durante il ministero di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 667
La famiglia di Erode il Grande . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 668
Anni di regno dei Principes (Imperatori) romani . . . . . . . . . . . . . . . . 669
Abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 670
Indice delle citazioni bibliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 688
Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 717
Indice analitico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 731
E siamo al quarto voluminoso tomo dell’opera «Ripensare il Gesú storico»! E il ripensamento critico non è ancora concluso perché si deve aspettare il quinto, che dovrebbe risolvere gli ultimi tre enigmi. Il terzo tomo infatti terminava, annunciando il volume conclusivo che avrebbe dovuto affrontare i quattro enigmi del Gesú storico da prendere in considerazione: l’insegnamento di Gesú sulla Legge, l’enigma delle parabole, l’enigma delle autodesignazioni di Gesú e l’enigma finale o mistero della sua morte (Vol. 3, p. 648). Nella mia lunga recensione dei primi tre volumi (Sulle tracce di Gesú, Cittadella, Assisi 2006, pp. 326-357) concludevo mettendo in luce i punti di forza e di debolezza. A mio avviso la debolezza maggiore è «la mancanza …di una interpretazione olistica di Gesú» dovuta all’analisi accuratissima, ma parcellare. «L’autore stesso alla fine dei tre tomi ha sentito la necessità di presentare un quadro complessivo di Gesú, che… è così deludente da costituire un enigma per la cui soluzione si rimanda al quarto… volume» (p. 357), ed ora al quinto.
Il volume è costituito da una introduzione, sei capitoli, da 31 a 36, in continuità con tutta l’opera, e una conclusione che valuta i risultati positivi e critici della ricerca. L’argomento «Legge e amore» allitterato nell’originale «Law and Love» (p. 24, n. 20) intende rispondere al primo enigma: Gesú e la Legge. La risposta a chiare lettere è già data nel titolo dell’introduzione «Il Gesú storico è il Gesú halakhico» (Cf. anche pp. 343, 645, 650) vale a dire: Gesú non rinnega la Legge tutta o in parte (la legge della purità legale) né la accoglie, ma ne nega con autorità carismatica alcune norme (la proibizione del divorzio e la proibizione del giuramento), ne discute altre (le proibizioni del sabato e il qorban quando è in contrasto con la legge fondamentale delle «dieci parole»), è indifferente nei confronti delle leggi di purità legale (l’eliminazione della distinzione di cibi puri e impuri in Mc 7,15.19b sarebbe una creazione della comunità alle prese con questo problema nel rapporto con i cristiani gentili, non ebrei), infine prende posizione di fronte alla Legge nel suo insieme con il duplice comandamento dell’amore ove usa la regola interpretativa ebraica della gezêra sâwâ (deduzione per analogia di due testi, nel nostro caso l’analogia è il tema dell’amore) per unire insieme il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, presenti in due libri e testi diversi dell’AT. Il comando dell’amore ai nemici non avrebbe a che fare con la Legge, anzi sarebbe simile a detti di filosofi greco-romani stoici; il comando dell’amore reciproco nel Vangelo secondo Giovanni (Gv 13,34-35; 15,17) sarebbe una proiezione di una comunità chiusa in sé, in difensiva contro il mondo ostile.
Il Gesú halakhico, secondo Meier, corrisponde bene alle discussioni che si facevano al tempo di Gesú e riguardavano il modo di osservare la Legge, di cui si ha una ricca documentazione nella biblioteca di Qumran, anche se non lo si può inquadrare nel modo con cui trattava la Legge un maestro ebreo del tempo, perché oltre che Maestro abilissimo e conoscitore della Legge, egli è anche un profeta carismatico come Elia e fonda le sue argomentazioni non sempre sulla Scrittura, ma su un suo rapporto diretto con Dio Padre.
Importante sotto il profilo epistemologico è la breve introduzione (pp. 9-34) ove si puntualizza ancora una volta la distinzione cruciale fra cristologia e ricerca del Gesú storico, che prescinde dalla fede cristiana, mettendola fra parentesi. L’a. però ammette una relazione reciproca alla fine del percorso di ricerca: «A dire il vero, esiste sempre la possibilità di una correlazione fra le varie discipline dopo che ciascuna ha eseguito il proprio lavoro conformemente al metodo ad essa appropriato» (p. 18); di conseguenza, ne viene la seconda distinzione «fra la nostra conoscenza su un ebreo palestinese del I secolo chiamato Yeshua di Nazareth e la nostra conoscenza di fede di Gesú Cristo, che i cristiani annunciano come loro Signore crocifisso e risorto» (p. 19); una terza distinzione va tenuta presente, la più importante perché viene ripresa poi nella conclusione generale (pp. 655-56): «quella fra teologia morale ed etica cristiana, e insegnamento di Gesú sulla Legge giudaica» (p. 20). Non si potrebbe ad esempio fondare un’etica cristiana sull’uso critico del principio del comandamento dell’amore. Altro però, a mio avviso, è il principio dell’amore come fondamento di un’etica sistematica sulla cui impossibilità siamo d’accordo ; altro è che secondo Gesú l’orientamento dell’amore possa essere una guida critica nell’uso della Legge e nella vita, anche perché Mt 22,40 («da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti») non necessariamente è redazionale e in ogni caso è deduzione dall’affermazione certa del fatto che i due comandamenti sono i primi, cioè i principali di tutta la Legge (Mc 12,31).
Infine ricorda ancora una volta (lo aveva fatto in tutti tre i volumi precedenti) «il codice della strada», cioè il metodo, tutto sommato quello della seconda ricerca (la discontinuità) aggiornato, ma non ricondotto ad un criterio di plausibilità come in Gerd Theissen e Dagmar Winter (Die Kriterienfrage in der Jesusforschung: Von Differenzkriterium zum Plausibilitätskriterium, Freiburg im Schweiz- Göttingen 1997), che lui ignora, nonostante l’immensa bibliografia citata. Ricorda perciò le fonti (sostanzialmente i Vangeli) e i cinque criteri nell’uso di queste fonti: l’imbarazzo, la discontinuità, la molteplice attestazione, la coerenza, il rifiuto e l’esecuzione di Gesú (pp. 25-34).
I sei capitoli seguono uno stesso procedimento: dopo la spiegazione dei termini del problema si esamina l’AT, quindi l’ambiente giudaico nelle sue varie espressioni (Qumran, Filone, Flavio Giuseppe) fino alla Mishnah, si passa quindi all’esame dei testi evangelici usando la critica delle forme, della tradizione e della redazione e applicandovi infine i criteri di storicità per giungere ad una conclusione, che riassume i risultati. L’amplissima trattazione dell’ambiente giudaico e, quando è necessario, anche di quello ellenistico per stabilire un confronto oggettivo col testo evangelico in esame, e la pignoleria della bibliografia che ad esempio per il divorzio occupa undici fitte pagine (174-184) e per le leggi di purità sei (469-477) spiegano la voluminosità che ha raggiunto questo libro. Che tuttavia è di piacevole lettura, perché l’a. procede quasi come un detective per scoprire quanto risale al Gesú storico, e fa partecipare il lettore alla sua ricerca.
Essendo impossibile in una breve recensione esaminare analiticamente i vari capitoli, ne riporto titolo e conclusione:
Il capitolo 31, introduttorio, tratta il tema: Gesú e la Legge – ma che cos’è la Legge? La tesi qui sostenuta è che al tempo di Gesú non vi era alcuna distinzione fra legge morale e legge rituale; la Legge riguardava tutti gli ambiti della vita, personale familiare e sociale, ed anche quella che noi chiamiamo legge cultuale come il sabato aveva un forte risvolto antropologico, ad esempio il riposo dei servi; tale distinzione la facciamo noi , ma nel giudaismo al tempo di Gesú non c’era. La Legge esprimeva la volontà di Dio che regolava tutta la vita del singolo e del popolo. Sotto questo grande orizzonte, comune al giudaismo, va posto Gesú nel suo rapporto con la Legge. I due capitoli seguenti trattano i casi più seri, in cui Gesú abolisce uno statuto presente nella Legge. Il capitolo 32, che affronta il problema dell’insegnamento di Gesú sul divorzio, conclude: «Gesú proibì assolutamente il divorzio e stigmatizzò come adulterio il divorzio seguito da un secondo matrimonio». Ma come può Gesú essersi arrogato il diritto di opporsi ad un istituto che riguardava un ambito fondamentale come quello della famiglia? La risposta è duplice: per un verso troviamo documenti come l’Apocrifo della Genesi e il Rotolo del tempio, presenti nella comunità di Qumran, che riscrivono e riformulano la Torah mosaica, per altro verso Gesú non è un maestro fra i tanti, ma il profeta escatologico come Elia che deve riunire il popolo di Israele nel tempo finale (pp. 173-74). Il capitolo 33 esamina La proibizione dei giuramenti di ogni genere, pervenendo a questo risultato: «In ogni caso, la mia conclusione è che la proibizione dei giuramenti può stare accanto a quella del divorzio quale secondo esempio dell’abrogazione da parte di Gesú di singoli istituti e/o comandamenti della Legge mosaica… Gesú, per quanto ne sappiamo, non considera le conseguenze pratiche della proibizione totale dei giuramenti più di quanto non consideri le conseguenze pratiche della proibizione del divorzio. Probabilmente abbiamo qui un ulteriore esempio del profeta escatologico che proclama le norme di condotta che sono vincolanti per coloro che vivono proletticamente nel regno di Dio» (pp. 234-35). E veniamo col capitolo 34: Gesú e il sabato. Gesú ha abolito anche lo statuto del sabato? Assolutamente no. Dopo aver esaminato la legge del sabato nelle Scritture e nella Mishnah, l’a. passa in rassegna critica le dispute legate ai miracoli in giorno di sabato per dilungarsi infine sulla vera e propria disputa del sabato nel racconto del grano strappato in giorno di sabato (Mc 2, 23-28), concludendo che al Gesú storico si potrebbe attribuire solo il detto di Mc 2,27: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» simile e superiore a quello di Rabbi Simeon nella Mekhilta (epoca tannaitica, II secolo d.C.); il resto sarebbe una costruzione della comunità cristiana, che avrebbe difeso il suo libero approccio al sabato ricorrendo alla Scrittura, ancorché in modo maldestro (p. 314). La critica alla storicità del fatto, ridicolizzato immaginando un gruppo di farisei vicini a un campo di grano (p. 305 ispirandosi a E.P. Sanders) mi sembra tuttavia pregiudicata e ridicola a sua volta. Non si potrebbe invece immaginare che i discepoli avessero strappato delle spighe, qualcuno li avesse visti e l’avesse poi riferito ai farisei? E Gesú avesse risposto con una argomentazione halakhica e il detto del v. 27? La conclusione del Meier, in ogni caso, è significativa anche come critica ad altre interpretazioni di Gesú e del suo rapporto con la Torah. «I detti sul sabato autentici, che affrontano e discutono opinioni giudaiche rivali relative alla h?l?kâh sul sabato attorno al volgere dell’era, corroborano la tesi che Gesú non sia stato un hippy ebreo del primo secolo né un filosofo cinico (tesi di Crossan) né un profeta apocalittico dallo sguardo allucinato che non aveva tempo… per i dettagli della h?l?kâh. Al contrario in questi detti sul sabato troviamo un Gesú autenticamente ebreo… l’idea che Gesú abbia… abrogato il sabato è troppo ridicola per essere presa sul serio, sebbene più di un critico l’abbia fatto… Quando affronta il sabato, Gesú presuppone e afferma questa sacra istituzione racchiusa nella Torah, argomentando per tutto il tempo contro il rigorismo settario e difendendo un approccio umano e moderato alle questioni sollevate dalla sua osservanza» (pp. 342-43), rappresentato dal detto di Mc 2,27. Più delicato e complesso è il rapporto di Gesú con le leggi di purità nel capitolo 35. Se Gesú le avesse abolite, avrebbe cancellato una lunga serie di norme e non un semplice statuto come quello del divorzio, del giuramento o anche del sabato. Come nel capitolo precedente concentrava la sua attenzione su Mc 2,23-28, così in questo capitolo concentra la sua analisi critica su Mc 7,1-23, la famosa controversia sul puro e l’impuro che nelle sue conseguenze si riassume nel commento redazionale «rendendo così puri tutti i cibi» (Mc 7, 19c), una affermazione che sembra non abbia gran che a che fare con la disputa, da cui è partito il dibattito: i discepoli che mangiavano con mani impure. E difatti Meier considera la controversia il prodotto di una elaborazione letteraria in tre fasi: il Gesú storico cui è attribuita solo la discussione halakhica sul korban, in relazione critica al comando del decalogo di rispetto per il padre e la madre (Mc 7,9-13), la tradizione giudeo-cristiana che doveva superare l’ostacolo della convivenza con i gentilo-cristiani, non sottomessi alla Torah, e infine la redazione marcana che universalizza la soluzione halakhica fondata dalla distinzione di «dentro», «fuori» (Mc 7, 15.19c). Risulta invece sorprendente il silenzio di Gesú sulla questione del puro e impuro, quando egli ne era praticamente implicato come nel caso del contatto con i lebbrosi, con un morto e con una donna dal flusso anormale del sangue. E conclude: «Paragonato ai suoi contemporanei ebrei ed anche giudeo-cristiani che escono dal suo movimento, Gesú appare teologicamente come un vero e proprio pugno in un occhio (fornendo così un argomento basato sulla discontinuità). Apparentemente per lui il problema della purità rituale non è affatto un problema». Di conseguenza Gesú non avrebbe avuto un pensiero coerente per quanto riguarda il rapporto con la Legge. A detta dell’a. questo è anzi «un errore di fondo» della critica; neppure il comandamento dell’amore potrebbe essere un candidato per un principio critico coerente nei confronti della Legge. E allora? Cosa pensare di Gesú? «Gesú vide se stesso come un profeta escatologico e un operatore di miracoli lungo le linee di Elia. Egli non fu un maestro sistematico, uno scriba o un rabbino, fu un carismatico religioso… che pretende di sapere direttamente e intuitivamente quale sia la volontà di Dio in una determinata situazione o su una particolare questione. Il suo caratteristico ‘Amen, vi dico’… è il suo modo particolare di sottolineare questo punto: le parole che vi dico sono vere perché le dico io- fine del discorso» (pp. 368-69). Gesú dunque non ha mai preso posizione in relazione alla Legge nel suo insieme? Qui si perviene all’ultimo capitolo, il 36: Una prospettiva più ampia: i comandamenti dell’amore di Gesú, che esamina tre testi della tradizione in fonti diverse: il duplice comandamento dell’amore nel vangelo di Marco (Mc 12,28-34), il comandamento di amare i nemici nella tradizione Q (Mt 5,44b/Lc6,27b) con analogie solo nell’ambiente ellenistico stoico, e il comando dell’amore reciproco nella tradizione giovannea (Gv 13,34-35; 15,17), che risale ad una riflessione creativa dell’evangelista , «che ha riflettuto sul nucleo del messaggio cristiano alla luce sia dell’AT che della tradizione della propria comunità. Con tutta probabilità non risale a Gesú» (p. 641). Per la loro singolarità rispetto all’ambiente giudaico ed ellenistico sono considerati del Gesú storico il duplice comandamento dell’amore (Mc 12,28-31) e quello dell’amore ai nemici «brutale e laconico» (p. 642). Mentre il comandamento giovanneo dell’amore reciproco, non avendo paralleli anteriori al tempo di Gesú e quindi per l’argomento della discontinuità potrebbe appartenere a Gesú, tuttavia la diversità con l’ambiente giudaico «va spiegata con il carattere profondamente giovanneo del comandamento stesso». Si radica infatti profondamente nella teologia giovannea centrata nell’amore di Gesú («come e perché io vi ho amato») e nell’amore fontale del Padre che arriva al cristiano mediante Gesú, e l’accettazione di questo amore nella fede in Gesú. «Di conseguenza l’oggetto dell’amore… si restringe ai membri della stessa comunità giovannea» (p. 645); tale giudizio però dipende dalla sua interpretazione settaria della comunità giovannea, comune in ambiente americano. Dobbiamo però tener presente che la comunità giovannea non è una setta chiusa in sè; è una comunità missionaria (Gv 17,18; 17, 20-23; 20; 19-23) inviata da Gesú nel mondo perché con la predicazione della parola (Gv 17,20) e con la testimonianza dell’unità nell’amore (Gv 17,21-23) possa portare il mondo a credere in lui e nella sua missione, aperta dunque alla missione di condurre il mondo non credente ed ostile alla fede e perciò ad entrare nella corrente del nuovo comandamento dell’amore reciproco.
Dalla disamina dei tre comandamenti dell’amore e dal fatto che il duplice comando dell’amore e quello ai nemici risale a Gesú, Meier trae alcune conclusioni interessanti: Anzitutto «il Gesú storico è allo stesso tempo profondamente immerso nelle Scritture ebraiche (oltre che nei dibattiti su di esse) e aperto all’influsso del più ampio mondo greco-romano» (su questo influsso storico degli stoici su Gesú dubito molto; non si può pensare che queste analogie siano state trovate solo dopo dall’esegeta, confrontando i detti di Gesú con la letteratura del tempo?). Una seconda osservazione è che Gesú argomenta in maniera brillante con quella che poi sarà la regola rabbinica della gezêra sâwâ nel dimostrare che i due comandamenti dell’amore sono i primi e più grandi comandamenti della Torah. «Se è vero che a Qumran sono rinvenibili alcuni esempi parziali di tale regola ermeneutica, può darsi che Gesú sia stato il primo ebreo citato all’interno di fonti scritte ad aver formulato esplicitamente un’argomentazione giuridica, basata sulla gezêra sâwâ. Il Gesú storico è veramente il Gesú halakhico» (p. 645). La terza ed ultima osservazione riguarda Gesú stesso e la sua conoscenza profonda della Scrittura e dei dibattiti su di essa. Da dove Gesú ha attinto una tale scienza, essendo cresciuto in un villaggio sperduto di Galilea? Se si escludono le risposte dei romanzi di fantasia, tale dato rimane misterioso, ed orienta secondo me al mistero stesso della persona di Gesú.
Alla fine, sul rapporto di Gesú con la Legge si deve dire che egli diede delle indicazioni circa la sua posizione di fronte alla Legge, ma non sarebbe arrivato a considerare l’amore come sua chiave ermeneutica; ciò avverrebbe con Matteo «che pone il Gesú halakhico a servizio di un sistema embrionale di morale cristiana» (Mt 5,17-20; 22,40). E conclude: «E alla fine la sua riflessione condusse all’amore, specificamente all’amore di Dio e all’amore del prossimo come superiori ad ogni altra cosa. C’è soltanto bisogno di amore? Niente affatto. Per Gesú c’è bisogno della Torah nella sua totalità. Niente potrebbe essere più estraneo a questo ebreo palestinese di una facile antitesi fra Legge e amore. Ma l’amore, come comandato dalla Legge, viene per primo e per secondo» (p. 647).
Nel capitolo conclusivo riassume le scoperte positive e negative raggiunte in questo quarto volume sulla relazione di Gesú con la Legge. Le tre scoperte positive sono polemiche nei confronti di altre interpretazioni di Gesú presenti o passate. Anzitutto risulta che il Gesú storico è il Gesú halakhico, che accetta la Legge e la discute. E qui l’a. polemizza con l’ambiente americano: «È strano che gli studiosi americani abbiano avuto bisogno di tanto tempo per assorbire questa idea fondamentale, o si prende sul serio e si comprende correttamente la Legge o si deve abbandonare del tutto la ricerca del Gesú storico… Strano a dirsi quanto più i libri americani su Gesú si sforzano di essere dei tomi ‘rilevanti’ e all’avanguardia che creano un ‘nuovo paradigma’, tanto più tendono a perdere di vista questa ovvietà» ( p. 650). La seconda scoperta è l’importanza dei valori e insegnamenti morali che scaturiscono dal suo confronto con la Torah, indipendentemente dall’essere credenti o no. «Eludere la questione della verità e dei valori umani nel caso del Gesú storico semplicemente perché egli è una figura religiosa fondamentale tradisce dunque una ben strana concezione di che cosa sia la storia e del contributo che essa può dare al progetto di essere pienamente umani» (p. 651). E qui se la prende con l’interpretazione di Gesú come rivoluzionario sociale: «Mi pare molto strano che coloro che strombazzano la presunta rilevanza di Gesú come critico sociale o come forza politica ignorino la questione della rilevanza e della verità quando si arriva ad alcune voci meglio attestate nell’inventario delle direttive morali di Gesú. Schivare tali voci è l’opposto di essere rilevanti. Ritengo invece che è esattamente perché ci colpiscono spesso con la loro sgradevolezza, estraneità e utopicità, che gli insegnamenti legali/morali di Gesú sono così rilevanti» (p. 652). La terza scoperta positiva demolisce la retorica liberale sull’insegnamento morale del Gesú storico «deplorando le presunte deformazioni dogmatiche…», e conclude: «Tirando le somme, una ricerca rigorosa dell’insegnamento della Torah del Gesú storico rende insostenibile il programma illuministico di estrarre chirurgicamente il moralista Gesú nascosto sotto il rivestimento redazionale dei vangeli… Se vogliamo esaltare l’insegnamento morale di Gesú, perlomeno dobbiamo avere una visione chiara di che cosa sia» (p. 653). E veniamo così alle cinque scoperte negative, che illustrano piuttosto come «l’enigma (di Gesú) rimane» (p. 654). Anzitutto «i materiali legali che possono ragionevolmente far risalire al Gesú storico sono fastidiosamente sparsi e sparpagliati». Ciò sarebbe dovuto al fatto che molte h?l?kôt di Gesú sarebbero andate perdute in ambiente pagano ove i dibattiti di Gesú sarebbero apparsi irrilevanti e incomprensibili. Per di più il movimento ebraico di Gesú presso una base pagana creava la necessità di nuove decisioni halakhiche non contemplate dalle istruzioni di Gesú; tale sarebbe Mc 7,15.19b. In secondo luogo i pronunciamenti di Gesú non costituiscono un sistema morale, non si richiamano l’uno all’altro; solo Matteo avrebbe cercato di plasmare un sistema morale con l’insegnamento di Gesú «senza riuscire nel suo intento». In terzo luogo, e in particolare è difficile vedere un nesso fra il duplice comandamento dell’amore e le h?l?kôt di Gesú. «Il Gesú storico non collega mai direttamente i propri singoli pronunciamenti halakhici a qualche principio basilare od organizzatore riguardante l’amore» (p. 658), e ciò si estende anche alle rare volte che cita la Scrittura. Infine il fondamento ultimo o la giustificazione dei pronunciamenti di Gesú è la sua autorità carismatica, il fatto che egli è un «profeta carismatico», in rapporto diretto con Dio. Dato che egli è il maestro-profeta carismatico si potrebbe legare il suo insegnamento morale al tema così diffuso del Regno di Dio e considerare la morale di Gesú una morale escatologica? In ogni caso non però nel senso dell’«etica provvisoria» di A. Schweitzer praticata aspettando la prossima venuta del Regno. «Piuttosto nel modo in cui vede le cose Gesú, la vita halakhica da lui richiesta è una vita che è già resa possibile dal potere del regno di Dio e che a tale potere, presente nel suo annuncio e nelle sue azioni, già risponde. I comandamenti legali di Gesú esprimono dunque l’appropriata attuazione escatologica della volontà di Dio… pensata non soltanto per un breve intervallo di tempo…, ma per l’intero futuro di Israele in quanto popolo di Dio restaurato nel tempo finale». E conclude: «Tutto questo, sono pronto ad ammetterlo, è soltanto il mio modo personale di rimettere insieme i pezzi del puzzle. Ma è la spiegazione più soddisfacente che mi riesce di trovare di come Gesú profeta escatologico - simile ad Elia - si combini col Gesú maestro esigente della Torah. L’enigma è illuminato e tuttavia rimane» (p. 665). Si rimanda perciò all’ultimo volume. Seguono cartine geografiche e genealogiche, e gli indici. Come abbiamo detto, la bibliografia è data all’interno della trattazione ed è impressionante.
Mi limito a qualche riflessione critica, dopo quest’ampia presentazione dell’opera. Va riconosciuto il rigore scientifico con cui Meier conduce la sua inchiesta sul Gesú storico, «ebreo marginale», con una sbalorditiva conoscenza delle fonti dirette e la loro trattazione critica, conforme alla scienza esegetica attuale, ancorché senza gli apporti della critica narrativa. A me sembra che il contributo più importante alla «terza ricerca» sia quello critico: le serie conclusioni scientifiche cui perviene distruggono le pretese ricostruzioni scientifiche di Gesú specie in ambiente americano dal Gesú cinico a quello rivoluzionario fino al profeta apocalittico, che risultano perciò infondate.
Avrei due domande da porre alla trattazione critica del materiale legale e morale della predicazione di Gesú nei confronti della Legge. Per Mc 2,23-28 Meier tende ad assegnare alla comunità cristiana quanto riguarda il racconto e la discussione seguente sullo strappare le spighe salvando solo Mc 2,27 il detto dialettico «Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato»; ho già osservato che l’episodio potrebbe essere storico (qualcuno che ha visto avrebbe riferito ai farisei) e storica anche qualche discussione in cui rientrava Mc 2,27; che l’argomento sia strano rientrerebbe nella stranezza delle posizioni di Gesú. La stessa cosa si potrebbe dire di Mc 12,28-34 sul problema delle norme che riguardano la purità cultuale sia nei cibi puri e impuri sia nel modo di prenderli. È chiaro che vi è una elaborazione della tradizione sistemata dal redattore. Però rimane il problema: se è così poco logica la sequenza e se per questo non viene attribuita a Gesú, la sua mancanza di logica la si deve in ogni caso attribuire almeno all’evangelista. Non si potrebbe invece ipotizzare che l’evangelista sia stato così poco logico, perché doveva mettere insieme varie tradizioni di Gesú che riguardavano la purità legale, ricavando da queste un insegnamento attuale per la sua comunità gentilo-cristiana? Inoltre, anche se qualche elemento è stato aggiunto dalla tradizione cristiana, tuttavia è da chiedersi se questa aggiunta sia una conseguenza dell’insegnamento di Gesú, una sua Wirkungsgeschichte, come la proibizione del divorzio per la donna in Mc 10,12 conseguenza logica in ambiente greco-romano della proibizione assoluta del divorzio da parte di Gesú. Lo stesso si potrebbe dire del comandamento dell’amore reciproco in Giovanni (Gv 13,34-35; 15,17), fondato sull’amore a Gesú che esige l’osservanza dei suoi comandamenti; un tale quadro complessivo rimanderebbe a proprio a Deut 6, 4-5, in cui amore di Dio e osservanza dei comandamenti sono uniti nell’orizzonte dell’alleanza [cf. Johns Varghese, The Imagery of Love in the Gospel of John (Analecta Biblica, 177), Gregorian and Biblical Press, Roma 2009, pp. 281-360]. E quindi allo stesso Gesú storico, secondo Meier.
Tutto sommato, rimango del mio parere complessivo: che il modo troppo analitico di procedere senza una visione unitaria sia pure ipotetica, rende ancor più enigmatica la ricerca di un volto e di una identità del Gesú storico, ma che questa opera del Meier è destinata a diventare un classico di quella che va sotto il nome di «Terza ricerca di Gesú», come già sostenevo nella recensione del primo volume [Studia Patavina 48 (2001) 510].
Tratto dalla rivista "Studia Patavina" 2010, nr. 2
(http://www.fttr.it/web/studiapatavina)
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