INTRODUZIONE
1. Le Lettere cattoliche
Dalla fine del terzo secolo, nella chiesa orientale di lingua greca furono considerate «cattoliche» tutte le Lettere del Nuovo Testamento che non appartenevano al corpus Paolino (compresa la Hebr. ). Si tratta di Iac., 1-2 Petr. , 1-31o., e Iudae. Questo è l'ordine con cui si presentano nella maggior parte dei codici antichi della chiesa d'oriente. Fu Girolamo a dare questa stessa successione alla tradizione latina della Volga ta. Lutero, invece, per motivi teologici ha cambiato l'ordine tradizionale di Iac. Iudae ed Hebr. che ha riunito davanti ad Apoc., alla fine della sua traduzione tedesca del Nuovo Testamento.
Il grande prestigio goduto in oriente da Giacomo, fratello del Signore, ha probabilmente indotto a collocare la Lettera, che da lui prendeva nome, al primo posto fra le Lettere cattoliche. Vi si aggiunsero poi, secondo l'ordine delle «colonne» di Gai. 2,9, le Lettere di Pietro e di Giovanni, alle quali fu unita la breve Lettera di Giuda. Di conseguenza nel canone della chiesa greca le Lettere cattoliche, che erano considerate scritti autentici degli apostoli, venivano immediatamente dopo gli Atti e prima delle Lettere paoline. In occidente, invece, il nostro gruppo iniziava con le Lettere di Pietro e si trovava dopo le Lettere paoline, e questa disposizione corrispondeva alla loro importanza e ai rapporti storici. A differenza delle Lettere paoline e deuteropaoline, come pure di Hebr. , che vengono presentate sempre col nome dei loro destinatari, già nei più antichi codici a noi pervenuti le Lettere cattoliche hanno per titolo i nomi dei loro autori. Questa circostanza induce ad analizzare ora il significato della definizione di «Lettere cattoliche».
2. Il nome
Il termine «cattolico» significa «universale», «universalmente valido». Può indicare la chiesa universale, nella sua totalità, in antitesi alla comunità singola (Ign., Sm. 8,2), ma può essere usato per leggi o verità universalmente valide. In un primo momento è stata considerata cattolica solo la i Io., che non menziona nessun destinatario, e questo per distinguerla dalle altre due Lettere di Giovanni inviate a una comunità o rispettivamente a una persona ben precisa. Eusebio riporta a questo proposito le parole di Dionigi d'Alessandria (t 260 circa) che a sua volta pare abbia già trovato fissata questa designazione della i Io. (Eusebio, hist. eccl. 7,25,7.1c) s.). Verso la fine del II secolo, Apollonio romano antimontanista accusò il montanista Temistone di aver scritto, a imitazione dell'Apostolo, una Lettera cattolica per oltraggiare il Signore, l'Apostolo e la santa chiesa (hist. eccl. 5,18,5). Può darsi che in questo giudizio si rispecchi la disistima che gli antimontanisti nutrivano per gli scritti giovannei, sicché già prima del 200 la i Io. sarebbe stata definita Lettera cattolica. Questo fatto non significa che fosse universalmente riconosciuta e accettata, ma solo che aveva il carattere di scritto indirizzato a tutta la chiesa. Analogamente, nella prima metà del secolo m, Origene nei suoi commentari definisce Lettere cattoliche la i Petr. , i Io. e anche Bara. Verso il 300 Eusebio conosce un gruppo di «cosiddette» Lettere cattoliche che inizia con Iac. e termina con la «cosiddetta» Iudae (2, 23,24 s.). Egli però annota che la maggior parte di queste Lettere è discussa. Certo vengono trasmesse sotto nomi venerandi e nella maggior parte delle chiese vengono lette pubblicamente, ma all'epoca di Eusebio sono universalmente riconosciute autentiche solo la i Io. e I Petr. (cfr. 6, 14,1; 3,25,2 s.). A dire il vero in lui l'accezione del termine «cattolico» s'è già ampliata. Egli infatti narra pure che Dionigi di Alessandria ha inviato a diverse comunità particolari una serie di Lettere cattoliche (4,23,1-10), e con questo aggettivo indica solo che queste Lettere avevano un'importanza universalmente riconosciuta. Dunque presso il cristianesimo primitivo un po' alla volta, a partire da i Io., sono considerate «Lettere cattoliche» tutte le Lettere cristiane non paoline indirizzate alla chiesa universale. Il loro nome, infine, indica la validità universale di questi scritti, anche se alcuni di loro non furono universalmente riconosciuti come apostolici.
Secondo il canone muratoriano, verso il 200 in occidente «vengono tenute nella chiesa cattolica» la Lettera di Giuda e due Lettere di Giovanni. Solo verso la fine del quarto secolo tutto il gruppo viene considerato «canonico» (Decreto Gelasiano, 382 d.C.). Le Lettere acquistano valore di contrappeso teologico alle Lettere di Paolo : mentre l'Apostolo avrebbe parlato di fede senza le opere, presso gli altri apostoli la fede avrebbe valore solo se in connessione con le opere (Aug. de fide et operibus 14,21 ). Comunque il metropolita alessandrino Atanasio aveva preceduto l'occidente canonizzando in pieno le Lettere cattoliche l'anno 367. Il frammento muratoriano permette di rilevare che probabilmente non si è giunti per caso al loro numero settenario, perché già in precedenza a 'proposito degli scritti paolini osserva che, ad analogia delle sette missive di Apoc. , anche le sette comunità alle quali Paolo aveva scritto stavano a indicare tutta la chiesa sparsa nel mondo.
3. Le lettere
Se esse fossero state effettivamente composte per fondare nuovamente le comunità, in un'epoca recente di minaccia per la fede, sulle «colonne» della chiesa nata a Gerusalemme, allora sarebbe chiaro che la loro forma di lettera è fittizia. Una Lettera dell'apostolo Pietro, che da quanto ci è dato di sapere ha subito il martirio a Roma sotto Nerone, non poteva più trovare veri destinatari nell'ultimo decennio del primo secolo. Perciò probabilmente gli scritti sono stati pubblicati dai loro autori come «documenti a lungo dimenticati» e messi in circolazione in determinate circostanze presso un gran numero di comunità. Nel mondo antico, sia ellenistico che ebraico, un siffatto procedimento era considerato un mezzo legittimo per attualizzare in modo vivo il messaggio di grandi modelli e autorità in epoca «post-classica».
Il fatto che anche verso la fine del cristianesimo primitivo si sia giunti a scritti pseudoepigrafici mostra come la giovane chiesa col passare del tempo cercava sempre più di orientarsi ai suoi inizi e alla tradizione tramite il messaggio degli apostoli. La necessità di farparlare ora, accanto alla testimonianza predominante di Paolo, anche le voci degli altri apostoli e fratelli del Signore, indica il cammino della chiesa primitiva, che doveva affrontare le nuove esigenze dei cristiani nel mondo seguendo l'indirizzo del messaggio apostolico e che riteneva di non poter trovare negli scritti autenticamente paolini un sufficiente appoggio per la soluzione di questi problemi.
ESTRATTO DALLA PRIMA PARTE
LA LETTERA DI GIACOMO
Wolfgang Schragc
I. Dall'epoca di Lutero, la Lettera di Giacomo è un documento particolarmente controverso del Nuovo Testamento. Lutero era così fermamente convinto dell'inconciliabilità fra la teologia di Giacomo e quella di Paolo da promettere la sua berretta di dottore a chi fosse riuscito a «mettere d'accordo» le due teologie (TR 3,254). Rispetto a Io., alle Lettere paoline e alla r Petr., la Lettera di Giacomo gli sembrò «una vera lettera di paglia» che «non ha in sé nulla di evangelico» (WA, DB 6,10). Anzi arrivò a esasperare la sua opposizione critica al contenuto di Iac. fino ad affermare che «una volta o l'altra avrebbe acceso la stufa con Giacomo» (TR 5, 382) e «l'avrebbe completamente eliminato dalla Bibbia» (ibid. 414; cfr. 157). A questo proposito va però ricordato che la durezza di questo giudizio si fonda in gran parte sul fatto che Giacomo «issofatto contro Paolo e tutto il resto della Scrittura attribuisce la giustificazione alle opere» e non «ricorda la passione, la risurrezione e lo spirito di Cristo» (WA, DB 7,381 ), di modo che si poteva pensare che la Lettera fosse opera di «un qualche giudeo» che voleva «incontrare» la fede cristiana «e limitarsi a compiere solo le opere» (TR 5,157).
Il giudizio di Lutero circa l'inconciliabile opposizione oggettiva rispetto alla dottrina paolina della giustificazione rimane valido e non vi sarà artificio armonizzante capace di eliminarla, anche se l'esegesi moderna ha riconosciuto che Iac. 2, 14 SS. si contrappone non tanto a Paolo stesso, quanto a un paolinismo aberrante (cfr. l'excursus a Iac. 2,26).