Phineas Finn è il secondo dei romanzi trollopiani appartenente al cosiddetto Ciclo Politico. A differenza degli altri romanzi e degli altri cicli in cui è difficile individuare l'attore principale, qui chi sia sotto la lente di ingrandimento è chiaro. Questo romanzo è il corposo, minuzioso, opulento ritratto di un giovane che si forma alla maturità, in cammino verso l'affermazione politica. E quanto lo scopo generale dell'autore sia quello di raffigurare senza giudizio tipi e ambienti, e anche una città, Londra, risalta nel fatto che Phineas è soltanto una brava persona senza eccessi, un «gentiluomo» che merita un ragionevole rispetto. E che incontrerà, perdonata qualche pecca, l'approvazione del lettore. L'autore lo dipinge obiettivamente, così lo inquadra da vari punti di vista; il proprio ovviamente, ma anche quello delle tante persone che l'eroe incontra: opinioni, esperienze e pettegolezzi che si rimandano a vicenda come in un gioco di specchi. Quando Phineas arriva dalla provincia irlandese a Londra, eletto al Parlamento grazie a una congiuntura favorevole, cerca appoggi perché la carica di parlamentare allora nel Regno Unito non era retribuita e lui aveva quindi bisogno di un reddito all'altezza. Frequenta perciò vari ambienti e si incontra con le tre dame che di molti di questi sono, per così dire, le registe (e in qualche modo lo diventano anche della sua vita). L'allargarsi del quadro d'insieme, dalla provincia irlandese alla metropoli centro del mondo, dalla vita privata alla stagione eccitante e dinamica dell'apprendistato politico-mondano, consente a Trollope di fare, non senza una taciuta e quasi repressa punta critica, quello che sa meravigliosamente fare e lo ha posto, assieme a Dickens e Thackeray, tra i sommi scrittori vittoriani: raccontare l'avventura dell'ordinario.