«Mi fermai a un tavolo dove si giocava al baccarà. Tra i giocatori riconobbi una delle mie bète noire, un lituano dall'aspetto insignificante ma molto ricco, di nome Bloch, particolarmente spavaldo. Non so cosa diavolo mi prese, forse fu il fatto che c'era Fleming alle mie spalle, ma quando Bloch proclamò "banque ouverte!", annunciai con il tono più freddo e distaccato: "Cinquantamila dollari"». Erano soldi che servivano a finanziare un'operazione. Verosimilmente fu questo stile, questo suo modo di fare la spia (e che spia: uno dei più celebri agenti doppi del Novecento) che convinse Ian Fleming a costruire il suo James Bond sul modello vivente di Popov. Nome in codice Triciclo, Dusko Popov è un bon vivant, bello e ricco intellettuale serbo che studia a Friburgo. Uno di quelli che si illudevano di seppellire Hitler con una risata, finirà nelle mani della Gestapo da cui si salva a stento. Riparato a Belgrado, tempo dopo, un ufficiale dell'Abwehr, il controspionaggio tedesco, lo nota e gli propone il reclutamento. Lui è fermamente antinazista ma la prospettiva lo tenta. Così accetta l'arruolamento, prendendo però subito contatto con I'mM16 inglese. E qui comincia la vita da spia raccontata in questo libro: in giro per il mondo, sempre sul filo del rasoio e sempre amando le donne, doppiogiochista ma leale fino alla fine con gli amici. Una carriera con almeno un paio di grandi colpi che hanno inciso nella guerra. «Un classico dello spionaggio» ha detto Graham Greene di "Spia contro spia", perché davvero sembra la trama di un perfetto romanzo di spionaggio. Dusko sa scrivere: gaio, sapiente nel creare la tensione, ironico. Il suo romanzo di una vita sembra il racconto paradossale e frizzante di Ian Fleming, ma corretto da Le Carré. La gaudente leggerezza è quella di James Bond, la metodica professionalità quella di Smiley.