Giambattista Vico
(Interpretazioni)EAN 9788838241291
Bene informato sul “conflitto delle Interpretazioni” a proposito dei temi esaminati, l’A. ha innanzitutto il merito di non riproporre uno dei tanti schemi interpretativi imposti al pensiero del Vico: il passaggio dal De Antiquissima alla Scienza Nuova senza soluzione di continuità per sostenere un presunto primato del metafisico e la storicità derivata dal primo tipo di impianto. Sabetta, infatti, non disconosce la svolta delle Scienze Nuove e, tuttavia, non trascura ciò che le precede.
Al centro del capitolo I, dedicato opportunamente al principio del verum-factum e alle sue applicazioni, nel De Antiquissima (DA), al mondo della conoscenza umana, spicca la proposta critica di allontanare ogni forma di monismo e di necessità naturale, per rovesciare quel Dio-natura a base della lettura del Badaloni e contrapporle quell’«orizzonte trinitario» che certo Vico conosce ed ammira ma che da filosofo, a mio giudizio, è interessato se non a trasformare certo a conciliare con le proprie esigenze teoriche altre da quelle teologiche: innanzitutto la necessità del riferimento ad un universale nuovo rispetto a quello logico e astratto degli scolastici, per gli errori e i danni causati in medicina, in giurisprudenza e nella vita pratica. Non solo, la religione del Verbo può essere quella cristiana, perché solo per essa il mondo fu creato nel tempo dal nulla e il vero creato si converte col fatto, l’increato con il generato, la natura in forma di scienza alla luce della conoscenza del genere o forma in cui la cosa si fa.
Lo insegnano gli antichi, sostenendo la sinonimia tra genus e forma, come Vico avverte nel capitolo II del DA, svoltando il discorso verso la nota tesi del valore della geometria sintetica che procede per forme, risultando certissima nei procedimenti e nei risultati. Alla virtù dell’estensione e all’essenza del movimento, anteriori rispettivamente alle cose estese e al corpo fisico si richiamano le note tesi del “punto” metafisico e del conatus (quest’ultimo medio tra il moto e la quiete). Tale fondazione metafisica della fisica apre prospettive molto importanti in sé (la composizione dei moti, l’incomunicabilità del moto, la sua assenza nel vuoto) e con riferimento, nel capitolo VI del DA, alle prerogative della mens animi. Esse inducono alla confutazione di Cartesio e degli agostiniani- cartesiani come Malebranche che propongono questioni delicatissime, concentrate sulla «libertà del nostro arbitrio». Il Sabetta le riferisce a note pagine del DA, efficacemente sottolineando la presenza di Agostino (quello del De Trinitate e non solo del De civitate Dei e del De libero arbitrio) (47, 49).
Ritornando al verum-factum Sabetta spiega, poi, il passaggio ai temi del Diritto universale con l’introduzione del certum alla luce dell’articolato rapporto con Grozio che non è ancora quello criticato nelle Scienze nuove, ma è senza dubbio il giurista olandese, teorico di un diritto di natura, inaccettabile da Vico, perché razionalmente autonomo e valido indipendentemente da Dio. Sulla presenza dell’unico vero e sommo bene nel Diritto universale l’A. insiste con argomentazione acuta, privilegiando, dopo Agostino, Malebranche e la sua idea di “ordine” che affianca in Dio anche l’origine dei principi delle scienze in quanto primo vero metafisico e logico. Qui sta la risposta alla grave minaccia degli scettici da cui muove anche l’intenzione di conciliare, già nel De uno autorità e ragione e, nel De constantia, filologia e filosofia. A emergere sono - come bene avverte il Sabetta - i princìpi dell’umanità che alimentano la nuova antropologia vichiana, nata dal riconosciuto uomo del peccato originale e dalla ineludibile traccia di Dio.
In proposito nel Diritto universale spiccano i noti motivi della vis veri e, soprattutto, nel De constantia, il contrassegno del pudore, dell’«ignorati veri pudor», «fonte dell’intero diritto naturale e quindi, fondamento antropologico del “certum”», nonché del rapporto con il mondo delle cose per il legame con la libertà e il «moderatum utilium rerum» attraverso le relazioni di .dominio. e di .tutela. (79, 83). Al grande tema della libertà - che pur nei suoi addentellati umanistico- rinascimentali è conformata al modello cristiano anche nelle sue trasformazioni da “sfrenata” a “ordinata” - si ispirano le pagine del denso capitolo dedicato alla “scienza nuova” della storia che interviene a definire il campo umano della certezza e della verità dopo quello della matematica e degli enti mentali. La storia è, infatti, “teologia filosofica” nel senso di «teologia civile ragionata della provvidenza divina» e, quindi, non naturale come negli scolastici-tomisti (15-16). Ma questa opera di orientamento e guida del vero Dio, unico bene, è meno salvifica di quanto appaia all’intelligente interprete, attento, invece, a ridimensionare finanche i momenti di decadenza, che, a suo giudizio, «non rappresenterebbe mai l’ultimo stadio della storia (122). Ma come riparte l’uomo? Quali strutture antropologiche dinamiche conserva per potersi orientare nel pensiero e nella vita? A tali domande rispondono meglio le argomentazioni che trasferiscono, trasformandola, la riflessione vichiana della metà degli anni Venti al piano della storia delle nazioni in cui i temi dell’«eterogenesi dei fini e della libertà» conoscono adeguato approfondimento.
Ne è consapevole lo stesso interprete, attento a privilegiare tra le Scienze Nuove quella del 1730, in cui la «ricerca dell’utilità propria si allarga a spirale abbracciando (paradossalmente) sempre più il bene comune», pur nella consapevolezza delle «spinte distruttive dell’uomo che mira all’utile piuttosto che al giusto» (125). E con tutto ciò ritorna la questione centrale nella lettura del Sabetta: il rapporto tra la provvidenza e la libertà umana «all’interno del paradigma del rapporto tra grazia e natura, teologia rivelata e filosofia». Ma perché le Scienze Nuove, se tutto fosse così adeguato e coerente con il «significato trascendente della provvidenza, quale forma dell’agire ordinario immanente di Dio nella storia » (132)? Credo si possa dire, al di là del raggio d’azione di questa lettura, che dopo il Diritto universale la questione centrale sia quella dell’origine, della riformulazione in termini di genetismo del rapporto tra etica e storia con cui si erano chiuse le indagini sul “diritto naturale delle genti”. L’opposizione al moderno e l’insufficiente giusnaturalismo imponeva il riconoscimento di una diversa idea della filosofia che alla scienza umana della “natura naturata” sostituisse la “scienza nuova” della storia umana, rifatta dal primo mondo dei popoli e attenta a disciplinare le relazioni tra modello profano e modello sacro.
Su questa distinzione insiste poco l’informato studio del Sabetta, assai sensibile, però, a tenere distinti i piani quando con equilibrio tratta dei rapporti del filosofo napoletano con la religione cristiana, Il cristianesimo non è stata una “copertura” di comodo: senza la pietà e la religio l’uomo non è saggio, come Vico ricorda alla fine della sua opera principale (18).
Tratto dalla rivista "Rassegna di Teologia" n. 2/2013
(www.rassegnaditeologia.it)
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