Emergenze umanistiche e fondamentalismi religiosi. Con quale dialogo?
(Cultura)EAN 9788838240447
La nuova questione antropologica nasce dalla convinzione che la natura non solo non sia immutabile, ma sia manipolabile per intero e che sia la conoscenza sia la tecnica non possano avere limitazioni nel loro esercizio. In tale contesto anche l’uomo, frutto di costruzione, può essere soggetto a decostruzione. L’assenza di un’antropologia del limite riduce l’umano comune a ciò che è frutto di pattuizione. In tale quadro la ripresa dell’antropologia è possibile solo con la rinnovata domanda teologica su Dio. In una dozzina di saggi (di altrettanti aa.) viene ricostruita la galassia dei pensieri che avviano argomentazioni positive e creative: dalle emergenze umanistiche al femminismo, dalla globalizzazione alla vita, dalla laicità all’universalismo cristiano, dalla società all’autonomia politica.
Tratto dalla Rivista Il Regno 2009 n. 12
(http://www.ilregno.it)
Il volume, curato dall’arcivescovo di Oristano, Ignazio Sanna, è il frutto dei seminari dell’area di ricerca «Teologia Filosofia Scienze Umane» dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose Ecclesia Mater dell’Università Lateranense. Diversi sono gli aspetti della questione antropologica presi in esame, e diversi sono gli apporti (teologico, filosofico, bioetico, economico) mirati proprio a favorire un approccio transdisciplinare, l’unico che consenta di osservare i cambiamenti in corso nella società complessa e di fornire a essi una «direzione di senso».
La globalizzazione – oggetto del saggio di Lorenzo Caselli (La globalizzazione come segno dei tempi, 15-29) – costituisce lo sfondo (non solo economico, ma politico, culturale, religioso, e così via) sul quale si colloca la vita delle persone e dei popoli del XXI secolo. Essa non può essere presentata come qualcosa di «neutrale» o di «asettico», poiché si esprime, prevalentemente, in processi di inclusione ed esclusione, di distribuzione e allocazione di potere. Ma proprio per questo è possibile, anzi giusto, denunciarne le unilateralità – quelle che si incentrano sulla logica del profitto e che enfatizzano gli squilibri (17-20) – e prospettare un «supplemento di razionalità» (20) che sappia dirigerla in senso solidaristico. La visione puramente neoliberistica non è in grado di soddisfare i bisogni delle persona, ma solo la «domanda pagante», essa accentua la dimensione monetario- finanziaria a discapito di quella economico-reale (produzione di beni e di servizi), enfatizza i tornaconti individuali e non l’utilità collettiva, esalta il rapporto con il mercato e trascura quello con l’ambiente vitale (la biosfera). A fronte di queste derive economicistiche, purtroppo abbondantemente in atto, si rende necessario promuovere un’umanizzazione e un trascendimento etico della economia globale (25-27), che sappia rilanciare criteri e valori di salvaguardia della terra, di umanità, di responsabilità, di sobrietà e moderazione, di prudenza, di diversità e di cittadinanza.
Il discorso di Caselli – che verte in maniera più o meno esplicita sul compito delle persone, i veri «attori» delle istituzioni (globali e locali) – può essere declinato anche in termini religiosi, nel momento in cui si affronta la questione dell’identità religiosa e dell’universalità del cristianesimo. Ignazio Sanna (Istanza religiosa e configurazione socio-politica, 141-154) prova a rilevare il contenuto nucleare dell’atteggiamento religioso, che non può essere segnato dall’«irrigidimento identitario» (145), foriero di scontri etnici e politici. Nella nostra società globale, il «fondamentalismo» dell’appartenenza religiosa sembra costituire un argine alle presunte invadenze delle culture altre. Eppure, l’influenza delle religioni nella vita pubblica può farsi valere di più e meglio «nel radicare ed estendere » nelle coscienze gli «assoluti» (148) – dignità della persona, libertà di coscienza, eguaglianza, rispetto dei diritti di tutti, pace – assecondando la via della tolleranza e del dialogo, «la vitalità testimoniale dei segni religiosi», la quale consentirebbe di gestire positivamente la compresenza (talora conflittuale) di simboli (152). Secondo questa prospettiva, anche la «pretesa» universalistica della verità cristiana – rammenta Gianni Ambrosio nel suo contributo su Cristianità: unità della fede e universalismo cristiano (155-166) non confligge con il pluralismo della mentalità odierna.
Infatti, nel ribadire la rilevanza non solo normativa, ma esclusiva, della verità salvifica di Gesù Cristo (158), si prospetta pure la strada a un dialogo sincero e schietto, che non comporti la relatività e pariteticità (e dunque l’inconsistenza) di tutti i punti di vista, ossia a un dialogo non sine fundamento, cioè in grado di rinviare alla «Parola unica e definitiva di Dio» (165). Ai fini di un discorso del genere, diventa decisivo interrogarsi sulla laicità, quale esercizio di libertà e tolleranza. Ed è quello che propone Giuseppe Dalla Torre (Laicità: i confini della tolleranza e l’esercizio della libertà, 167-178), quando non soltanto indaga i significati della «laicità» – (a) come ragione contrapposta a mito e superstizione; (b) come processo di secolarizzazione all’interno di una prospettiva religiosa, o più precisamente, cristiana; (c) come pensiero «debole» dal punto di vista cognitivo ed etico; (d) come autonomia delle realtà temporali da quelle ecclesiali (o religiose) – ma, altresì, ne propone una via realmente praticabile. Vale a dire, quella che consente un’«autonomia delle realtà temporali dalle realtà religiose, ma non dalla legge morale oggettiva» (178). In questa maniera – aggiunge nel suo saggio Flavio Felice (Società sacrale e autonomia politica, 179-195) – viene neutralizzata la pretesa dello Stato di diventare «produttore di valori» (195) e la Chiesa può essere riconosciuta quale interlocutrice privilegiata nella identificazione e costruzione del quadro valoriale di uno Stato, proponendo i cardini del «personalismo cristiano» (persona, famiglia e vita) e della «sussidiarietà», che è la reciproca compensazione e corresponsabilità tra i soggetti che compongono il corpo sociale (182-183). L’approccio autentico del cristiano alla vita pubblica – come precisa Giuseppe Lorizio in Fondamento e fondamentalismi. Una questione filosofico-teologica, 112-139 – non è, dunque, caratterizzato da fondamentalismo, ma piuttosto dalla logica «kenotica» e «agapica», di svuotamento e donazione (117).
E tale donazione non equivale necessariamente a martirio cruento, ma innanzitutto «testimonianza» (come dice appunto il significato originario del termine «martirio») del Risorto. «Rendere testimonianza», allora, significherà mettere in campo l’incontro fra eschaton e storia (131); testimoniare vorrà dire «rendere ragione» della fede, e riuscire a farlo mediante una ragione che è «storica» e «personale» al contempo (132), mediante un’esperienza personale che unisce affectus e intellectus, mediante una verità che sa coniugare istanza espressiva e istanza rivelativa (cf 120: l’A. rinvia, in maniera molto pertinente, alla riflessione di Luigi Pareyson su Verità e interpretazione, 1971). Qui trova saldatura il discorso religioso e teologico con quello più strettamente antropologico ed etico. Nunzio Galantino (Questione antropologica e nuove emergenze umanistiche, 197-204) e Ignazio Sanna (L’identità aperta e la persona nell’era della globalizzazione, 31-40) evidenziano le costanti dell’universo personale e i caratteri dell’identità «forte» della persona umana: la concezione dell’uomo imago Dei, dice Sanna, «contribuisce efficacemente alla difesa dell’uomo come persona» e scongiura la riduzione dell’uomo a «materia prima», alla «genericità della vita biologica», della «funzionalità organica» delle parti (39), insomma a un’identità debole e impersonale. Per questo, si rende necessaria una conoscenza approfondita e «scaltra» della guerra del genere – si veda, al riguardo, il bel contributo di Maria Luisa Di Pietro e Manuela Sina (Il femminismo radicale e la guerra del genere, 41-61) – che certa mentalità laicista (o più propriamente, come fanno notare le Autrici, certe lobbies operanti perfino in seno agli Organismi internazionali) sta mettendo in atto a livello linguistico e semantico, mediante l’introduzione di espressioni come genere e gender – che esprimono un’interpretazione culturale dei dati naturali – in luogo di sesso e sex – che designano, invece, gli elementi naturali e biologici e, quindi, preintenzionali e pre-culturali – ponendo, così, le basi per un dominio culturale e politico della «prospettiva di genere» (41-45).
Di fronte a tale sfida, le Autrici ribadiscono la realtà della «differenza sessuata» del maschile e del femminile pur in una «natura umana identica», la realtà delle identità differenti» (di-ferre è portare qua e là) e non delle «uguaglianze diverse» (di-vertere è volgersi altrove) (59-61). Dalla ricostituita (o rimotivata) «identità differente» che è la persona umana può trovare ulteriore giustificazione etica la «sacralità» della vita umana (riproposta da Edmund Kowalski , La vita umana tra qualità, sacralità e dignità, 63-78), la cura del «corpo vissuto», il Leib, secondo i principi di uni-totalità, di proporzionalità, di precauzione e di spendibilità (come rileva Mauro Cozzoli, La salute umana. Premesse antropologiche e istanze etiche, 79-93), e l’insostituibile ruolo sociale e culturale della famiglia «naturale» anche di fronte all’incombere delle potenzialità biotecnologiche sul «processo generazionale» (Anna Giuli, Il progresso biotecnologico e il futuro della famiglia, 95-112).
Tratto dalla Rivista di Scienze Religiose n. 1/2009
(http://www.facoltateologica.it/rivistadiscienzereligiose.html)
Come chiarito fin dalla presentazione del curatore del volume, il cuore del testo è costituito dalla sempre più pressante questione antropologica, che nasce anzitutto dalla crescente problematizzazione dell’identità umana da parte della tecnoscienza, ma che si esprime, anche a livello socio-politico e generalmente culturale, come constatabile nell’ordinarietà dei conflitti identitari, di sovente veri e propri scontri di identità, soprattutto religiose. Data la complessità del tema, il testo non può che svilupparsi in molteplici direzioni, soffermandosi, nei dodici saggi che lo compongono, sulla globalizzazione, sul femminismo, sullo statuto della bioetica, sulla salute umana, sul rapporto tra biotecnologie e famiglia, sul significato cristiano del fondamento e sul suo rapporto con il fondamentalismo… In filigrana, nel testo si coglie la percezione della progressiva perdita da parte della “natura” in generale e della “natura umana” in particolare di quel potere direttivo e normativo, sia sul piano teoretico che su quello etico, che esse avevano sia nel pensiero classico sia in quello cristiano.
Non essendoci più un referente normativo a fare da “calmiere” per la pratica tecnologica, il problema che si pone oggi è quello di rideclinarne i limiti, in modo tale che la tecnica non divenga davvero, come affermato da taluni, un Moloch invincibile destinato a condurre verso un orizzonte post-antropologico. In questa luce sono analizzati i diversi temi specifici. In particolare, nei saggi di Caselli e di Sanna, relativi alla globalizzazione, si sottolinea, sulla scia di Beck, la sua declinazione contemporanea come perdita di confini che ne rivela la problematicità, l’ambiguità e la contraddittorietà, non solo sul piano socio-economico, ma anche su quello culturale. La globalizzazione diviene metafora della questione antropologica, mettendo in gioco diverse concezioni dell’identità umana e richiamando la necessità di ripensarla in termini di apertura: l’interdipendenza diviene la categoria di sintesi della condizione umana attuale, la quale implica, perciò, una nuova responsabilità e, come giustamente afferma Caselli, un supplemento di razionalità, che divenga criterio direttivo sia per l’economia sia per la politica. La concezione cristiana dell’identità aperta si rivela ben lontana dagli esiti della cosiddetta queer theory (teoria debole), secondo la quale non si dà un’identità umana strutturata e sussistente, ma solo come flusso dinamico che il soggetto può mutare a proprio piacimento. Una tale prospettiva si pone a fondamento, per esempio, della cosiddetta teoria del gender, che costituisce l’esito estremo (e di fatto autocontraddittorio) del femminismo: non si danno più sessi differenti, ma solo generi, raggruppamenti culturali nei quali possono entrare individui di sesso biologico diverso.
Senz’altro, le teorie gender sono espressione della cosiddetta “Terza cultura”, quella della biotecnologia che si è ormai imposta su quella umanistica a scientifica: che cosa può dire in questo contesto la fede cristiana? Come deve reagire? Riteniamo si possano ricavare utili indicazinoi in merito dal ricco saggio di Lorizio, Fondamento e fondamentalismi. Una questione filosofico-teologica, nel quale si sottolinea che nell’attuale contesto culturale, caratterizzato dalla perdita del senso e da una “dispersione antropologica”, la fede cristiana deve rispondere nel senso di un’ontologia trinitaria e di una metafisica della carità, che suggeriscono un’indentità non chiusa nella propria autarchia e sprezzante dell’alterità, ma piuttosto tutta giocata nella dinamicità del paradosso. Il testo si segnala, pertanto, per la complessità dei temi trattati, che, seppur non esauriti dalle trattazioni necessariamente sintetiche, data la ristrettezza degli spazi a disposizione, sono chiariti nei loro aspetti problematici e indicati giustamente come le frontiere più urgenti dell’attuale dibattito culturale.
Tratto dalla rivista Asprenas n. 1-2/2010
(http://www.pftim.it)
Questo volume, terzo della serie delle pubblicazioni frutto dei seminari dell’area di ricerca “Teologia Filosofica Scienze Umane” dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose Ecclesia Mater dell’Università Lateranense, di cui il primo volume ha per titolo La sfida del Post-umano. Verso nuovi modelli di esistenza? (Roma 2005), il secondo Legge di natura e interculturalità (Roma 2006), porta l’impronta dell’arcivescovo metropolita di Oristano, Ignazio Sanna, noto come teologo e canonista, e in questo volume egli raccoglie, in perfetta coerenza, e oserei dire maturazione filosofica, dodici interventi e studi di approfondimento dell’antropologia cristiana, che datano da lontano. Alcune affermazioni apodittiche fanno riflettere sulla fine dell’epoca in cui «la natura era pensata come l’immutabile» e l’uomo «poteva concepire la tecnica come mezzo per agevolare il suo dominio sulla natura».
Da qui la profonda rivoluzione, da molti ostinatamente minimizzata, quando non addirittura perfino negata, con cui «la tecnica guarda sia l’uomo sia la natura come semplice materia su cui compiere la sua sperimentazione». Da qui il rifiuto dei limiti della natura umana. Da qui i disperati e disparati tentativi di «creare nuovi modelli di esistenza, determinati » non dalla sacralità della vita, ma dalla sua qualità. Da qui infine lo scompiglio nel mondo della cosiddetta bioetica e dell’ingegneria genetica, che rende quasi impossibile «la ricerca delle tracce di Dio nella vita». Lo sconvolgimento è molto più evidente allorché lo si confronti con la biblica creazione dell’uomo, fatto ad immagine di Dio, e soprattutto con l’incarnazione di Dio stesso, che volle assumere la forma di uomo. Gli autori dei vari contributi hanno preso in esame alcuni aspetti di questa complessa questione antropologica, a cominciare da un’analisi approfondita delle emergenze umanistiche (N. Galantino), la disamina del femminismo radicale e della guerra del genere (M. L. Di Pietro e M. Sina), la salute umana e le sue istanze etiche (M. Cozzoli), il fenomeno della globalizzazione nei suoi molteplici aspetti (I. Sanna e L. Caselli), la diversa valutazione della sacralità della vita umana e la difesa della sua dignità (E. Kowalski), le ripercussioni del progresso biotecnologico sul futuro della famiglia (A. Giuli).
Si esaminano inoltre la specificità del radicalismo evangelico e del martirio cristiano (G. Lorizio), il concetto di laicità con la descrizione dei confini della tolleranza e l’esercizio della libertà (G. Dalla Torre), l’unità della fede e l’universalismo cristiano (G. Ambrosio), la società sacrale e l’autonomia politica (F. Felice). Di fronte a situazioni comportamentali abnormi, che estrapolano il caso pietoso dalla responsabilità civile e politica della società, o che in senso inverso universalizzano un buonismo unidirezionale verso derive delinquenziali, a tutto discapito e oltraggio della solitudine delle vittime, occorre ricordare che tali sono i frutti di un soggettivismo e relativismo etico, che non sembra avere attitudine al dialogo, ma sa giustificare solo il proprio egoismo, considerando gli altri esistenti in funzione unicamente della propria libidine, di qualunque genere essa sia. E se appaiono esagerate queste affermazioni, non si può che inorridire di fronte a quanto ha scritto di recente Engelhardt: «Non tutti gli esseri umani sono persone. Non tutti gli esseri umani sono autocoscienti, razionali e capaci di concepire la possibilità di biasimare e lodare. I feti, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza costituiscono esempi di non persone umane» (Manuale di bioetica, p. 126). Movimenti e partiti politici, in passato e ancora oggi, pur essendo minoranze impazzite e conservatrici ad oltranza della loro tramontata ideologia, con la complicità di fasce paludose della società, seguono in pratica tali orientamenti e li difendono sulle piazze, delle quali sembrano avere il dominio assoluto e senza mostrare briciola alcuna di coscienza morale, bloccano le attività e l’esistenza di quanti non possono condividere le loro farneticazioni.
Il documento pontificio Dignitas personae dell’8 settembre 2008 è un monito luminoso in tanta tenebra voluta: «Ad ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale, va riconosciuta la dignità di persona. Questo principio fondamentale, che esprime un grande “sì” alla vita umana, deve essere posto al centro della riflessione etica sulla ricerca biomedica, che riveste un’importanza sempre maggiore nel mondo di oggi». La globalizzazione, è stato scritto, consiste nella evidente perdita di confini dell’agire quotidiano nelle diverse dimensioni dell’economia, dell’informazione, dell’ecologia, della tecnica, dei conflitti transculturali e della società civile. «L’antropologia filosofica che si sviluppa all’interno di questo orizzonte, afferma Galantino (p. 204), permette di accostarsi ad una verità – quella dell’uomo – che corrisponde al reale non quando la si semplifica, fino a banalizzarla attraverso formule fin troppo schematiche, ma quando, anche sul piano teoretico, conserva tutta la sua complessità e di essa ci si fa anche carico».
Tratto dalla rivista "Salesianum" 72 (2010) 4, 805-805
(http://las.unisal.it)
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